Anna Pagani - La natività mistica

Anna Pagani – La natività mistica

La neve si accumulava intorno alla foresta Aokigahara fin dalla mattina. Aveva cancellato la strada asfaltata che collegava il Monte Fuji con Kyoto, gli alberi piegavano i rami verso il basso, i cespugli sembravano bioccoli di lana buttati nel campo. Le piccole orme del gatto giravano in tondo verso l’ingresso. Mimì era uscito e subito rientrato. L’aspro vento siberiano che da giorni stringeva la casa degli Yoshida aveva reso il paesaggio ancora più silenzioso del solito. Kiko, la più giovane dei figli degli Yoshida si aggirava per casa scalza. Aveva perso l’abitudine di camminare con i geta da quando era stata in Italia a studiare Arte. Aveva imparato un vocabolario risicato di parole per non morire di fame e per non dormire all’aperto, per il resto bastava la carta di credito che le aveva aperto tutti i più bei negozi di moda. Era partita con una valigia e ne aveva riempite otto. Sua madre e suo padre erano allibiti quando erano andati a prenderla all’ aeroporto non la riconoscevano. Aveva tagliato i lunghi capelli neri in un caschetto mesciato di più colori. Indossava tacchi a spillo e calze a rete, una minigonna di pelle e una finta pelliccia leopardata. L’ avevano richiamata in Giappone perché ormai aveva l’età per prendersi cura della fabbrica di famiglia di recupero plastiche. Aveva l’età per lavorare, sposarsi, fare figli. Questo era il suo destino. Perpetuare la ricchezza, perpetuare la specie.

Kiko si avvicinò alla finestra. Dal cielo roteavano veloci i fiocchi di neve. Danzavano nell’aria, ora verso una direzione, ora verso un’altra. A volte si incontravano e si abbracciavano formando un fiocco più grande, quasi a volersi scaldare e sciogliersi in una goccia d’acqua. Già, l’acqua. Corse in cucina dove il bollitore ormai fischiava impazzito. Lo tolse dalla piastra e versò nella tazza l’acqua necessaria per il tè. Un rito che aveva mantenuto e rinsaldato ogni volta il legame con la sua terra, con il ricordo della nonna che con pazienza le aveva insegnato la cerimonia del tè. A volte di nascosto le aveva anche confidato che cosi avrebbe potuto conquistare l’amore di qualsiasi uomo, anche il più sfuggente all’innamoramento.

Kiko si era innamorata del suo insegnante di Arte. Un uomo di mezza età, sposato, stempiato e un po’ sovrappeso. Sempre elegante e gentile. Amava i suoi occhi chiari, buoni e sinceri. Prima di partire era andato a trovarla nella sua piccola casa in centro, i loro corpi si erano incontrati per l’ultima volta. Non c’erano state lacrime, solo la rassegnazione di un addio e appoggiato sul tavolo un piccolo dono per lei. Ecco, ora ricordò che doveva disfare le valigie e finalmente scartare il pacchetto che quell’uomo le aveva donato come sigillo del loro amore negato.

Le aprì tutte di getto. Una nuvola di colori, stoffe, scarpe si dilatò nella stanza. Prese il pacchetto da sotto uno stivale e con curiosità lo aprì facendo attenzione a non sciupare la carta che lui aveva toccato prima di donarglielo.

La natività mistica.Sandro Botticelli – Atti del convegno– Londra 1992, a cura di Carlo Pontelli. Una raccolta di appunti su un viaggio, il loro, a Londra davanti al dipinto conservato alla National Gallery.

Kiko sfogliò le pagine e rilesse nelle immagini la dimensione di una ideale e arcaica simbologia che raccontava il tema sacro della nascita. Carlo le aveva spiegato che il dipinto poteva essere letto partendo dalla scritta sulla cornice: Questo dipinto, sulla fine dell’anno 1500, durante i torbidi d’Italia, io Alessandro dipinsi nel mezzo tempo dopo il tempo, secondo l’undicesimo di San Giovanni nel secondo dolore dell’Apocalisse nella liberazione di tre anni e mezzo del diavolo; poi sarà incatenato nel dodicesimo e lo vedremo (precipitato?) come in questo dipinto. Una nascita apocalittica, capace di stravolgere il futuro dell’animo umano. A Kiko queste parole erano risultate incomprensibili e si era soffermata sulle figure: al centro il piccolo Gesù appoggiato su un candido lenzuolo tendeva le braccia verso la Madre adorante. Il padre Giuseppe era di spalle, rannicchiato e pensoso sul Mistico Avvento. Il resto fra angeli, diavoli, fiori e cielo dorato le era apparso come una magica danza di pace e armonia. Si sentiva felice, con Carlo abbracciata a un sogno. La sera in albergo ricordava ancora addosso il suo sguardo mentre toglieva piano piano il kimono e la sua pelle candida veniva sfiorata dai baci. Poi il ritorno in città. Agli incontri furtivi nella sua piccola casa in centro erano subentrate attese mancate, appuntamenti non rispettati, fragili scuse e serate solitarie. Kiko si era illusa che Carlo l’amasse e che sarebbe fuggito con lei e con quella nuova vita che si era attaccata e cresceva dentro la sua carne. Aspettò di vederlo per dirglielo. Aspettò una settimana, aspettò notti sveglia in quel letto vuoto senza di lui. Poi decise che era ora di muovere il mondo, sì avrebbe parlato con la moglie di lui, le avrebbe detto che amava Carlo. Indossò il Kimono più prezioso, legò i capelli e si presentò con la scusa di riportare un libro al professore. Erano i giorni precedenti il Natale. Aveva aperto la porta il figlio più grande, poi era apparsa la moglie, una donna delicata in avanzato stato di gravidanza, infine lui, sorpreso e irritato. Li aveva visti insieme, pieni di luci, colori e un’armonia di pace le era stranamente esplosa dentro. Porse il libro e scappò via. Carlo andò da Kiko quella sera, ancora una volta il kimono cadde ai loro piedi e i baci sfiorarono la sua pelle candida. Nessun pianto avrebbe spezzato il suo destino, il silenzio avrebbe avvolto il loro futuro. Nessun rimpianto sarebbe cresciuto nel cuore di Kiko. Con calma aveva preso il biglietto d’aereo che i suoi genitori le avevano inviato e rassegnata era rientrata in Giappone.

Kiko sorrise, strinse i fogli al petto e poi li lasciò cadere sul pavimento, sparsi. Una nuova speranza fiorì tra le ciglia bagnate. Sarebbe rinata come un fragile fiore di ciliegio a primavera. Sarebbe volata insieme ad altri petali nel tiepido vento di una nuova stagione, sarebbe caduta sulla terra come anima bianca e di nuovo sarebbe stata vita.

Lentamente si tolse i vestiti, camminò fino alla porta e nuda si diresse verso la foresta, nella neve fumosa che incessante cadeva dal mattino, le sue orme furono presto cancellate come la strada che si dirigeva verso Kyoto. I rami piegati verso terra l’accolsero e la ripararono dalla luce accecante che prese il suo corpo, la sua mente e il suo sorriso. Nell’aria di pace rimase il pensiero scritto dal suo amore lontano: Buon Natale mia dolce Kiko Yoshida.

Anna Pagani

Anna Pagani laureata in Storia dell’Arte ha orientato negli anni il suo lavoro sia come curatrice di mostre di giovani esordienti sia per progetti artistici con valenze sociali e in collaborazione con enti statali. Ha scritto di Arte su cataloghi di artisti affermati, articoli e interviste per alcune riviste. Da alcuni anni propone a titolo volontario l’insegnamento di Storia dell’arte all’interno del carcere di Sollicciano. Ha fatto parte come giurata di alcuni Premi Letterari e da due anni cura la sezione Arti Visive del Gruppo Scrittori Firenze ed è presidente del Premio arti visive “ARTWORK”. Ha pubblicato due racconti in due antologie. Attualmente continua a lavorare come critica d’arte. Appassionata di letteratura sta frequentando un corso di scrittura creativa per trasformare il linguaggio tecnico dell’arte in linguaggio letterario.