Elena Ciurli - "Il pallone di carta"

Elena Ciurli – “Il pallone di carta”

Quell’aria densa le faceva bruciare gli occhi sempre più spesso, soprattutto il mercoledì e il sabato, quando arrivava il carico.
Sapeva che era sufficiente bagnarsi le palpebre per stare subito meglio. Anna prese un po’ d’acqua e se la schizzò sul viso.

Aveva il vestito sporco di sangue all’altezza delle ginocchia, per colpa di una brutta caduta dietro al cumulo delle lavatrici. Era il suo posto preferito, ma sua nonna non voleva che andasse lì a giocare. Le ordinava di rimanere sempre vicino casa, dove poteva vederla; ormai era anziana, le ossa fragili, e non riusciva più a correrle dietro come prima.

Anna non amava le bambole senza occhi o gambe che le regalava Amelia, ma erano il meglio che potesse trovare per la sua bambina. Lei però voleva di più. Desiderava vedere cosa ci fosse fuori.
Amelia le aveva insegnato tutto ciò che sapeva e tramandava la sua conoscenza grazie ai libri; quelli non erano mai mancati nel corso degli anni. I più vecchi avevano le pagine fragili, spesso erano sottolineati. Quelli più recenti e patinati, se avevano fortuna, erano gettati via ancora provvisti dell’involucro di plastica. Dalla matematica, la poesia, l’astronomia, la storia, le ricette di cucina tradizionale e di cucito. Anna avrebbe saputo come cavarsela fuori.

– Ti prego nonna, fammi andare. Vieni con me?
– No, io non tornerò mai più laggiù. Cerca di avere pazienza: per il tuo prossimo compleanno ti lascerò andare a fare un giro fuori.
Anna fece un rapido calcolo mentale: i numeri le piacevano molto, la calmavano, dirigevano tutto con ordine. Mancavano 32 giorni e avrebbe compiuto 10 anni.
Non conosceva che sua nonna e il domatore di ruspe che vedeva due volte alla settimana ormai da sempre. Ogni tanto le portava un vero e proprio regalo, con tanto di pacchetto, coccarda e cartellino. La prendeva sulle ginocchia e se era di buon umore, le faceva manovrare la bocca del suo mostro di ferro.
Gli altri bambini li aveva visti solo sui libri, nelle storie che la nonna le raccontava. Il suo sogno era di incontrarne uno vero, poter giocare con lui o mangiare insieme un gelato.
La sua casa era carina: di lamiera, plastica e vecchi elettrodomestici che Amelia aveva accumulato con pazienza durante gli anni. D’inverno era molto freddo e si riscaldavano bruciando vecchi giornali dentro a un grande bidone di ferro arrugginito.

A primavera dovevano rimanere sempre al chiuso perché c’erano spesso violenti temporali. D’estate, invece, l’aria era così torrida e pesante, che erano costrette a immergersi più volte al giorno nella vasca di acqua piovana, dietro i pilastri dei televisori. Quando il vento soffiava forte si riparavano dentro a un’automobile nell’ala est, quella più antica. Intorno a loro spiravano vortici scuri di una polvere velenosa che faceva friggere la gola e provocava brutte eruzioni cutanee.

Il tempo sembrava scorrere al contrario, Anna sognava ogni minuto della sua gita. Il giorno del suo compleanno si svegliò all’alba, i corvi volavano bassi, alla ricerca di qualcosa da mangiare, le ruspe riposavano e il sole stava sorgendo dietro i container. Era proprio una bella giornata.

Amelia le preparò una colazione speciale: pesche sciroppate ricoperte da una valanga di panna spray.
Quella mattina Anna non aveva molta voglia di parlare e rispondeva alle domande di sua nonna a monosillabi, senza distogliere lo sguardo dalle sue pesche.

– Non ti allontanare troppo.
– Abbastanza da trovare un bambino.
– Non sarà così facile.
Lei pensava solo a ciò che avrebbe visto fuori, non le importava ciò che diceva sua nonna.
Per uscire indossò il suo cappotto rosso, l’unico, con i bottoni a forma di fragola: era della figlia del domatore. Doveva avere almeno 20 anni, quella giacca. Poi prese un libro di matematica e lo infilò nel suo zainetto di jeans scolorito. Avere un po’ di formule e numeri sulle spalle la tranquillizzava.

Non ho neanche un pallone. Come si fa a giocare senza un pallone?

La nonna la aiutò a costruirne uno con la carta di giornale, resa più resistente e impermeabile da tre giri di scotch marrone, che aveva trovato dentro il cassetto di una scrivania semi bruciata dell’ala ovest.
Anna uscì dalla baracca, aveva freddo e si strinse nel cappotto. Era domenica mattina e la sua città dormiva, eccetto i topi, che festeggiavano con gli avanzi di una pizza gettata per terra accanto alla casetta degli uffici.

Erano sempre vuoti, a volte vi entrava il suo amico domatore, per fare delle telefonate. L’unico elemento vivo di quelle due stanze era il Pannello del Re, fitto di luci rosse che si accendevano a intermittenza dando vita alla danza di apertura e chiusura dei cancelli.

Per fortuna l’ingresso della città aveva anche una piccola porta con serratura manuale, e sua nonna ne custodiva la chiave.

Anna era fuori, con la porta chiusa.
Camminò a lungo prima di raggiungere il cuore della città nuova.
Le automobili le sfrecciavano accanto come proiettili, aveva paura. Non le aveva mai viste in movimento.
Incrociò le braccia sopra il petto per trovare un po’ di calore. Riuscì con difficoltà ad

attraversare la strada, le auto la terrorizzavano, ma aveva visto un prato, degli alberi dalle foglie arancio. Quello era proprio un parco, lì avrebbe trovato sicuramente i suoi nuovi amici.

Si sedette su un’altalena cigolante, guardò lo scivolo sporco di fango e la giostra verde ormai quasi completamente scrostata. Aspettò per

un po’, ma non arrivò nessuno.
Gli unici bambini che vide erano quelli disegnati su un cartello sradicato. Lo trovò nascosto nell’erba alta che cresceva intorno a una fontanella di pietra, posta al centro della piazzetta principale.
Anna era scossa dai brividi e aveva fame. Forse i suoi nuovi amici non c’erano perché stavano mangiando: era ora di pranzo.
Continuò a camminare su una lunga strada alberata, fino a scorgere una giungla di alti edifici con piccole finestre quadrate. Alcuni avevano insegne luminose, Anna cercava la scritta ristorante.
Si fermò davanti a una enorme lettera lampeggiante rossa e gialla. Si attaccò al vetro del locale con le mani a parentesi intorno al viso, voleva vederne meglio l’interno. Gli occhi le si riempirono di lacrime. C’erano uno, due, cinque, più di dieci bambini di varie età seduti a mangiare con le loro famiglie.
Tutti erano impegnati a guardare in basso, ma non nel piatto. Osservavano delle sottili tavolette rettangolari. Molti le toccavano con il dito indice. Erano di varie dimensioni: grandi come una mano, come un libro o un foglio A4.
Nessuno parlava.
Anna entrò, ma le era passata la fame, era emozionata, le si era stretto lo stomaco come un maglione infeltrito.
Si avvicinò a un tavolo da tre persone con un uomo dalla barba brizzolata e tavoletta palmare, donna con occhiali di celluloide verde menta e tavoletta formato A4, e soprattutto bambino con lentiggini della sua età, dotato di tavoletta dimensione libro, che colorava il suo volto di luci e suoni.

Si fece avanti, tirando fuori dallo zaino il suo pallone di carta. Poi toccò la spalla del bambino, per sapere se aveva voglia di giocare con lei.
Lui alzò per un attimo gli occhi dal suo totem luminoso, erano velati come quelli di un pesce morto da tempo. Girò la maschera nella sua direzione, sbatté le palpebre e si chinò di nuovo.

Anna lo chiamò ancora, ma lui non la guardò più. Fece altri tentativi: le reazioni erano sempre le stesse.
Le cadde la palla per terra e rotolò sopra la pozza di una bevanda marrone che era gocciolata da un tavolo nell’indifferenza totale. Si deformò: non era così impermeabile come aveva promesso sua nonna.

Serrò i pugni, gli occhi rossi e gonfi di lacrime. Voleva solo tornare a casa, tra le sue scorie.

Bio

Elena Ciurli (Piombino, 1982) vive a San Vincenzo.
Nel 2012 ha creato il blog Ziggy’s Cafè (www.ziggyscafe.org), dove pubblica i suoi racconti e cura alcune rubriche di scrittura, musica e attualità.
Nel 2013 ha pubblicato la raccolta di racconti “Gente di un certo (dis)livello Manuale di sopravvivenza nella giungla metropolitana”, con Marco del Bucchia Editore.
Collabora, insieme a Beatrice Galluzzi e Alice Scuderi, al blog Donne Difettose (www.donnedifettose.com).
A dicembre 2016 è uscito il suo primo romanzo: “Andata e ritorno”, con Edizioni Il Foglio Letterario.

Elena Ciurli
Mail: ciurliele@gmail.com Web: www.ziggyscafe.org

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