Lorenzo Ratisti - Floreale

Lorenzo Ratisti – Floreale

I fiori sono quasi finiti. Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Quando raccoglierò l’ultimo, la mia vita cambierà drasticamente. Ne sono certo. Tutto il piacere di vivere che anima me e i miei cari si affievolirà come la fiamma di una candela ormai stanca di illuminare sempre la medesima spelonca. Da mesi non penso ad altro. E’ un tarlo fisso, doloroso, difficile da nascondere. Ho cercato di fare del mio meglio ma Diana si è accorta che qualcosa non va. Sa che non è il lavoro e sa che non ho un’ amante. Il problema è più profondo, forse pericoloso, e per questo ha paura persino a farmi delle domande. Mio figlio di otto anni, di fronte ad alcuni rimproveri particolarmente energici, ha avuto un guizzo di terrore negli occhi. Un lampo passeggero e probabilmente inconscio. La premonizione di qualcosa che fortunatamente non è mai scattato. Una domenica pomeriggio Diana lo ha accompagnato ad un teatrino con i cuginetti. Mattia e Niccolò, di un anno più grandi, sono i due bambini modello per cui tutti i genitori del quartiere dovrebbero provare giusto un pizzico d’invidia. Finalmente solo a casa, mi sono sdraiato ai piedi del divano, col viso schiacciato sul tappeto, la polvere negli occhi e nella bocca. Scosso da violenti tremiti febbrili, penso di essere rimasto in quello stato per più di un’ora. Sono terrorizzato. Mi sforzo di trovare una soluzione ma è tutto inutile. Devo assolutamente riuscire a provocare una seconda pioggia. Ma come posso fare? Forse con un gesto estremo…

Ada, la nonna di Mauro, aveva capito sin dal principio che qualcosa non andava in lui. Niente di grave … forse. Era un bambino così fragile e sensibile. Dopo pochi giorni di vita era già in grado di fissarti negli occhi, presagendo un’intelligenza precoce. Poi invece era stato lento a parlare, lento a camminare, lento a leggere, lento, anzi lentissimo, nel socializzare con gli altri bambini. Spesso perso nel suo mondo, costantemente schivo e taciturno, ma in fondo sempre di buon umore e felice.

Due giorni prima del mio sedicesimo compleanno, avevo avuto una lite furiosa con mia madre. Per via della scuola. Quella notte, mentre la luna cercava di far capolino da nuvole cariche di pioggia, feci il sogno che magicamente mi avrebbe cambiato la vita. Ero nella mia stanza, seduto a gambe incrociate al centro del letto, con la trapunta azzurra che sembrava inghiottirmi come una palude di sabbie mobili. Avvolto dal buio e frastornato da un silenzio irreale. Nell’aria un profumo romantico ed una melodia appena accennata. Una musica che conoscevo molto bene. Stavo pensando alla volta in cui, in un malconcio zoo di periferia, avevo visto un gruppo di lupi magrissimi e probabilmente maltrattati, quando improvvisamente un impulso sconosciuto ed irrefrenabile mi spinse ad affacciarmi alla finestra. Quello che vidi mi lasciò senza fiato. Una pioggia silenziosa ed interminabile di migliaia di fiori. Rose, margherite, gigli, tulipani, papaveri, viole, orchidee, begonie, e molti altri. Di alcuni non conoscevo il nome, altri non li avevo mai visti, ma osservandone le forme bizzarre ed i colori sgargianti, era facile immaginare che fossero cresciuti su di un altro pianeta. Corsi al piano inferiore e poi fuori in giardino. Aprii il cancello che da più di un anno aspettava una bella mano di vernice e mi precipitai in mezzo alla strada deserta. I fiori avevano già nascosto l’asfalto e si erano posati su panchine, automobili, cassonetti. Colsi una tulipano giallo e lo portai al naso. Profumava di universo. Feci un passo in avanti, ad occhi chiusi, assaporando lo scricchiolio dei fiori sotto i miei piedi. Il sogno si interruppe così, ed era già mattina. Mia madre si scusò con me per il giorno prima, come se la nota sul quaderno fosse stata colpa sua. E quel fine settimana ricevetti un regalo. Non succedeva così spesso. Da quel giorno, se mi trovavo in difficoltà o avevo una delusione, se litigavo con qualcuno o ero semplicemente triste, sognavo di tornare a raccogliere un fiore e la mattina seguente tutto si risolveva. La mia vita cambiò decisamente in meglio. Furono anni pieni di gioie e di conquiste. La scuola, il lavoro, gli amori, le amicizie. Ma c’era un problema. L’avevo notato sin dal principio, tuttavia, come pensano i giovani della vecchiaia, era inutile preoccuparsene prima del tempo. Se coglievo un fiore, nel sogno successivo non mancava solo quello, ma anche quei cinque o sei a lui più vicini. E il perimetro del sogno era limitato al giardino di casa mia e ad una porzione di strada di una quarantina di metri. Dunque i fiori, che all’inizio sembravano infiniti, non sarebbero durati per sempre.

Dopo gli anni dell’asilo e i primi tre della Scuola Primaria, le cose iniziarono un po’ a migliorare. Mauro apprendeva più in fretta, quasi quanto gli altri. Lo psicologo, da cui la madre fu costretta a portarlo, cercò di spiegarle che il bambino soffriva di una forma molto lieve di autismo che con la crescita, e le dovute terapie, se fossero stati fortunati, sarebbe potuto regredire. La miglior cura alla fine si rivelò la musica, e Paolo Sbardassi, il suo maestro di pianoforte, diventò per loro molto più di un semplice amico di famiglia.

Ieri a lavoro ho affrontato a muso duro il nuovo direttore dell’ufficio acquisti. L’idea di arretrare di fronte a quell’idiota non mi ha neppure sfiorato. Così stanotte sono sceso in strada per cogliere un fiore. Mentre guardavo assorto una begonia rossa abbracciare con i propri petali quelli di una viola, indeciso su quale dei due fiori raccogliere, ho sentito un rumore provenire dalla mia destra. Una luce si è accesa nel giardino del mio vicino e dopo qualche secondo lui è uscito. Una vampata di calore mi ha ghermito stretto ed ho iniziato a respirare a fatica, come da dietro una spessa maschera in lattice a cui si fossero dimenticati di intagliare la bocca. I pugni serrati di scatto, le vene dei polsi emerse prepotenti come lampi bluastri pronti ad esplodere fuori dall’epidermide. Com’era possibile. Nessuno poteva condividere con me l’incanto di quel sogno. Lo sgomento si è tramutato in terrore quando il mio vicino si è chinato a raccogliere una rosa. Se l’è portata al naso. In quell’istante l’ho odiato, avrei voluto strappargli il fiore di mano e colpire con un pugno la sua faccia antipatica su cui erano ancora visibili i segni dell’acne giovanile. E fargli male, tanto male. Invece non ho potuto guardare oltre e sono corso in camera a rifugiarmi sotto le coperte. Il giorno successivo, a lavoro, ho ricevuto per la prima volta in vita mia una lettera di richiamo.

Da ragazzino veniva chiamato Mauro il solitario. La nonna Ada non se ne faceva una ragione e attribuiva gran parte della colpa alla figlia, con cui ormai da tempo non riusciva più ad avere un dialogo. Perché non era stata in grado di darle un nipote come tutti gli altri? Forse le voleva far scontare la sua assenza di fronte alla cinghia del padre. Per ironia della sorte, fu proprio qualche settimana dopo la sua morte, che Mauro fece il sogno che gli avrebbe cambiato la vita. Una pioggia di fiori e di note a tessere la melodia di una vita.

Sono tornato a respirare. Mi sono strappato dalla faccia la maschera senza bocca. Finalmente stanotte ho assistito ad una nuova, ancor più sbalorditiva, pioggia di fiori. Questa volta mi basteranno fino alla fine dei miei giorni. Ho già colto la prima margherita e l’ho dedicata al Dott. Chiti. Vediamo quanto durerà ancora alla Lynux Industries. Stamattina, mentre stavo facendo colazione con mia moglie e mio figlio, tutti e tre finalmente sorridenti come non capitava da tempo, la sirena di un’auto della polizia ha smorzato il potente ululato proprio di fronte a casa nostra. Diana mi ha guardato con aria preoccupata. Io mi sono alzato e, senza dire una parola, le ho posato un bacio delicato e rassicurante sulla fronte.

Nelle prime ore della mattina via Lamezia già brulica di giornalisti e di televisioni. Un brutto fatto di sangue ha sconvolto uno dei quartieri bene della città. Il più famoso pianista italiano della sua generazione, Mauro Tardio, è stato ucciso nel sonno. Prima ancora di chiedersi chi possa essere stato, penso che in ognuno di noi già staranno risuonando le prime note della sua indimenticabile “Sonata per pianoforte n°1”, comunemente detta “Floreale”, la cui splendida melodia, secondo la leggenda, è stata da lui interamente composta in sogno.

Lorenzo Ratisti