Sergio Calzone - "La breve, lacrimevole storia di Gino Ginocchio, scrittore fai da te"

Sergio Calzone – “La breve, lacrimevole storia di Gino Ginocchio, scrittore fai da te”

La premessa (ovvero: l’importante è non passare per fessi)

Voglio fare lo scrittore. Sento che è possibile e sono convinto di avere tanto da raccontare. Però, non sono sicuro ma immagino che i rapporti con le case editrici non siano per niente facili: ci sono quelli che ti chiedono un monte di denaro per pubblicare; ci sono altri (mi han detto) che ti fregano addirittura i testi, se glieli mandi; altri ancora (l’ho sempre sentito dire) ti fanno grandi promesse e poi spariscono. È davvero brutta gente.

Bel casino. Uno scrive, scrive; si strizza il cervello; cerca di essere originale; legge i migliori, insomma i soliti: la Maino, Zerocalcare, Sicignano, Camilleri, un po’ di tutto, insomma, per capire dove tira l’aria, se mi spiego.

Bene, ti fai un mazzo tanto e, poi, ecco che ti fregano. I grandi editori non ti rispondono nemmeno, i piccoli, non sai se fidartene.

Per fortuna, c’è l’autopubblicazione! Faccio da me, risparmio un sacco di grane e magari faccio pure i soldi, alla faccia di tutti quelli dell’”apparato”…

In fondo, che ci vuole? Devo soltanto trovare uno che mi faccia l’impaginazione e uno che metta insieme una copertina che sia una figata, come dice Bebe Vio. L’immagine, la prendo da Internet, ché ce n’è un milione!

Ah, l’impaginazione! (ovvero: non è tutto oro ciò che riluce)

L’agenzia Torci ché qualcosa viene mi ha mandato la fattura per l’impaginazione. Ci sono rimasto un po’ male: 250 euro mi sembrano davvero tanti. Vero è che, se metto il libro in vendita a 15 euro, con 16-17 copie me la pago. E che cosa sono 16-17 copie, in confronto, per dire, a mille?

Però, non capisco: mi dicono che non ho tolto la sillabazione e che, quando hanno impaginato, i trattini degli a capo erano andati ovunque. Tante grazie! Certo che, quando scrivo, metto la sillabazione! Dicono che, avendo dovuto rifare il lavoro, hanno aggiunto altri 50 euro ai 250, e che è pure un prezzo di favore. Figurati se non lo era!

Comunque, ora ho il mio pdf e mi sembra che ci siamo già quasi. O no?

Mio Dio, le bozze! (ovvero: che cosa viene prima di cosa?)

Passa di qui Romeo, il mio amico-amico, e mi dice:

«Ebbene, ‘sto libro?»

Gli faccio vedere il pdf e me la rido: «Ci sei rimasto, eh?»

Lui c’è rimasto. Tanto che mi dice: «Mi ci fai dare un’occhiata?» Che sarebbe come dire che se lo vuole leggere gratis.

Erano le quattro. Io ci ho l’happy hour da Ezechiele alle sette. Dico: «Hai due ore e poi sloggi. Ok?»

«Ok», borbotta lui. E si piazza a video.

Io cercavo la mia felpa grigia, quella con la scritta “Ora o mai più” e, siccome non la trovavo, l’ho lasciato da solo per un dieci minuti. Ritorno e vedo che ride.

«Che ti ridi, scemo?»

«Rido perché tutti i sì di affermazione sono senza l’accento… E non hai un solo vocativo con la virgola… Guarda qui: “Ciao Marco”. La virgola ci vuole, somaro! E, a proposito di virgole, ce n’è una cifra con uno spazietto bianco dopo la parola a cui stanno dietro… Ma chi ti ha corretto ‘ste bozze?»

«Bozze?»

«Bozze! Non dirmi che hai fatto impaginare prima che qualcun altro ti correggesse le bozze, eh? Sarebbe da te!»

«No. L’ho riletto diverse volte e andava bene così!»

«Ma sei scemo davvero? Mica deve correggerle l’autore, le bozze! Tu sai che cosa ci dovrebbe essere scritto e finisci per non vedere quello che è invece scritto davvero… Devi farlo leggere a un altro. Quanto t’è costata ‘st’impaginazione?»

«Trecento».

«Trecento? Sei tutto scemo, allora. Prima correggi le bozze e, poi, fai impaginare. Adesso, è tutto da rifare…»

Depre assoluta.

Un po’ d’aritmetica (ovvero: è la somma che fa il totale)

Pago duecento euro una correzione di bozze. Il tipo mi dice che ci ha lavorato tre giorni, dieci ore al giorno. Non l’ho guardato in faccia perché ci scriviamo via mail, ma doveva avere il naso più lungo di Pinocchio. Trenta ore per correggermi le bozze: andiamo!

E siamo a cinquecento euro. Ora, però, devo far rimpaginare… Ho scritto a Torci ché qualcosa viene e ho chiesto di farmi uno sconto, visto che sono già cliente. Mi hanno disposto di sì: che bastano duecento euro. Evvai!

Un’immagine che sia l’immagine! (ovvero: quando la foto spacca!)

Mentre Torci ché qualcosa viene sta rifacendo l’impaginazione, ho setacciato come un pazzo mezzo web: voglio per la copertina un’immagine che spacchi. Ma non sono fesso: niente sesso, niente roba astratta, niente melensaggini. Ci vuole qualcosa d’impatto ma che sia furba, perché, in libreria, deve spiccare ma mica essere pacchiana!

Ne trovo tre, una meglio dell’altra. Ma quale sia quella meglio non riesco a stabilirlo. Mentre sono lì, che mi gratto la pera e non so decidermi, capita di nuovo Romeo, l’amico-amico. Per una volta capita a fagiolo! Dico a Romeo, gli dico: «Guarda un po’: qual è la migliore?»

Lui le guarda, piega la bocca come per dire “non male”; poi si mette le mani in tasca e mi dà un’occhiata:

«Buone. Dove le hai prese?»

«Dove le hai prese?», gli faccio il verso. «Dove vuoi che le abbia prese: sul web, no? Ce ne saranno un miliardo!»

«Si dice “ce ne sarà un miliardo”», mi corregge lui. Poi mi guarda con aria di commiserazione: «E i diritti?»

«Che diritti?»

«Che diritti? Vedi che sei scemo! Ogni foto è sotto diritti d’autore, proprio come il tuo libro, se mai uscirà…»

«Certo che uscirà!»

«Sì, e, se uscirà con in copertina una foto sotto diritti, ti becchi una denuncia. Contento di beccarti una denuncia?»

«Vuoi dire?»

«Voglio dire…»

«E come faccio, allora?»

«Se vuoi un’immagine, la compri: ci sono le banche immagini apposta per quello!»

«E la pago?»

«E certo che la paghi! Te la danno gratis per il tuo bel faccino?»

«E poi pago il grafico che mi fa la copertina?»

Lui ride: «Se non è tuo cugino…»

«Mio cugino fa il pizzaiolo».

«E allora?»

«Allora, pago…»

«Già!»

«E poi pago la tipografia…»

«Già!»

«E se non vendo?»

«Come pensi di vendere?»

«Gia!» Questa volta, lo dico io.

Lui mi batte su una spalla:

«Provare con un editore no, eh?…»

Se ne va, e mi ha pure fregato una lattina di birra, l’unica fresca che tenevo in frigo.

Sergio Calzone