Gordiano Lupi - Edmondo dei languori - Vita di De Amicis narrata da lui stesso

Gordiano Lupi – Edmondo dei languori – Vita di De Amicis narrata da lui stesso

Son nato sul mare d’Imperia, tra olivi che discendono dalle colline e scogliere a strapiombo sul mare, un fiume a dividere Oneglia e i palazzi distanti da Porto Maurizio e le palme di via Cascione, le stradine in salita tra vicoli e scalinate che degradano a mare. Buona borghesia vacanziera, d’estate ma pure a svernare, ché il tempo era mite, si mangiava bene, olio buono e pane scuro, formaggio e vino, pigato bianco che ricorda le valli lontane, ti porta verso l’infinito. Ho vissuto per poco in riva al mare, il Piemonte chiamava mio padre a fare il banchiere dei Sali e tabacchi in una grigia città delle Langhe, una Cuneo che mi ha dedicato una statua e una piazza, e ora c’è chi crede che sia la mia terra natale. No, signori miei, son Ligure di scogliera e profumo di vento salmastro, anche se mi ha visto crescere la montagna e ho sofferto la neve, ma più d’ogni cosa la mancanza d’un padre, ché vivevamo a Torino quando lui se n’è andato, un male terribile e son rimasto solo con mia madre a dividere vita e rimpianti. Avevo sedici anni, avrei voluto iscrivermi all’Università ma non potevo, eravamo borghesi ma senza mio padre eravamo anche un poco spiantati. Esercito, disse mia madre, che un po’ generale è sempre stata, che comandava a bacchetta la mia vita; collegio a Torino e poi Modena, Accademia Militare. I racconti della Vita militare, quei bozzetti scherzosi, li penso tutti qui, tra passeggiate davanti al duomo mano nella mano con qualche signorina e le marce impietose nel freddo inverno emiliano. E mia madre che manda i libri, da leggere, che li mette in borsa ogni volta che torno a Torino. Edmondo, leggi Manzoni! E io l’ascolto, non sia mai che non faccio quel che dice la mamma, leggo Manzoni, imparo quasi a memoria I promessi sposi e La colonna infame, ma pure le tragedie, gli Inni sacri, le liriche intense. Tra un libro e l’altro combatto a Custoza che ho appena vent’anni, scrivere mi vien meglio di sparare, lo confesso, i miei racconti del tempo son tutti allegri, come dirà qualcuno il poeta è un fingitore, più sembra triste meno lo è davvero. Finisce che conosco davvero il grande Manzoni, sarà stata mia madre che legge ogni pagina di quel milanese come fosse il verbo del Signore, forse è lei a fargli avere il mio libro. Lui pare sincero. Hai la stoffa dello scrittore, ragazzo. Impara a osservare e racconta. Descrivere la vita è importante. Tu sei come un pittore ma in mano non hai alcun colore, soltanto inchiostro e parole. E io faccio ancora il soldato, la patria mi chiama, mi manda in Sicilia, sconfiggo il colera, poi vado a Firenze e dirigo L’Italia Militare, scrivo ancora bozzetti, cerco di far capire alla gente quanto ci sia da lottare e che in fondo siam uomini e donne con degli ideali, siam tutti uguali. Firenze mi piace, si respira cultura, come diceva Leopardi, è qui che conosco mammina, una donna più vecchia di me che si chiama Emilia e m’incoraggia, mi spinge a scrivere ancora, fino al giorno che Treves mi pubblica La vita militare e a me non par vero di vedere il mio nome in un libro, pure se gente che legge non ce n’è molta in giro, ché l’italiano ancora è una roba per pochi. Vedo Roma in un fulgido giorno di gloria, festeggio la mia patria unita in punta di penna e moschetto, son qui per scrivere non per sparare, ma i miei venticinque anni fiammeggiano sogni di gloria e la vedo questa terra riunita sotto i grandi Savoia. Scrivere sarà la mia vita, pure se far lo scrittore non è mica un mestiere, ma Novelle e Ricordi mi vengon fuori da soli mentre racconto politica e guerra su tanti giornali e viaggio, sorrido, mi fermo, racconto, poi riprendo a viaggiare. Spagna è il mio libro più bello, dura nel tempo, un libro di viaggio che mi resta nel cuore, parlo di Barcellona, Madrid, Saragozza, Cadice e tori massacrati in corride cruente, ma pure di chiese barocche e deserti affocati dal sole in faccia al Marocco, da Gibilterra. Scrivo best-seller di viaggio che vendono trentamila copie in un posto di analfabeti dove son solo cinquecentomila persone a leggere in italiano. Per questo continuo a viaggiare, da Londra a Parigi, persino in Olanda, scrivo pagine sparse e impressioni di viaggio, scrivo cose sociali e pian piano mi convinco che son socialista, ché la sola cosa che conta è che siam tutti uguali. A trent’anni mi sposo, ma la mamma non vuole, non le piace Teresa, dice che non è donna per noi, non è del nostro lignaggio e poi la vita che ha fatto. Stai attento, Edmondo! Le donne. Ah, le donne Edmondo! Ma tu non sei donna, mammina? Non sei donna anche tu? Che c’entra io sono tua madre. E allora solo in chiesa mi sposo e poi penseremo al da farsi, ma l’errore più grande è che andiamo a stare in casa di mamma e le liti che devo subire, per fortuna che viaggio e ogni tanto scappo con la scusa dei libri, degli articoli ancora da fare, di barche da prendere, treni, carrozze, nel momento migliore. Turchia, Marocco e Costantinopoli, viaggiare e scrivere sarà la mia vita, e Marocco finisce per vendere più di Spagna, un libro importante, la gente che vede la vita con le mie parole, che viaggia leggendo i ricordi d’un sognatore. Furio avrebbe potuto avere destino e vita migliore, quando nasce non lo possiamo sapere, ma lui sarà sempre triste avrà sempre qualcosa nel cuore che lo fa soffrire. Però ora basta scrivere di case e di vestimenta, dopo Costantinopoli basta, ché c’è ben altro da fare, io sono un vero scrittore che vuole affrontare problemi sociali, parlare d’amore, di vita, di scuola, di gente che soffre, lavora e cerca di riuscire a campare. Il libro della mia vita nasce da Jules Michelet, il mio Cuore scaturisce da L’Amour, goccia dopo goccia di dolore, mentre un poetastro maremmano nato a Valdicastello che vive tra Bolgheri e Pisa mi sbeffeggia, mi chiama Edmondo dei languori, parrucchiere in poesia. Saran belli Pio bove e Pianto antico, quella sciocca Ballatetta a filastrocca e le Odi barbare senza cuore … disfida in prosa, fino a quando ci vediamo e allora sentiamo che in fondo il ceppo è simile, siam entrambi poeti. Ricordi di Parigi, Poesie, Ritratti letterari, Alle porte d’Italia, soprattutto Gli amici, che prelude a Cuore, ma tra un libro e l’altro nasce Ugo che farà vita migliore del mio povero Furio, morso dal germe dell’insana follia della vita, distrutto sul nascere da un se stesso incompreso. Editori che vanno, editori che vengono, Treves e Sommaruga, viaggio di nuovo, lascio mia moglie con mamma ai vecchi litigi, vado a parlare ai nostri emigranti negli Stati Uniti. Quarant’anni è l’età più matura, io la festeggio con Cuore che esce il primo giorno di scuola e lo leggono tutti, tradotto in venti paesi, tra pagine che grondano lacrime e amore di patria, rimpianti, dolori, sapore di gesso e matite dai rossi colori. Ai socialisti non piace, ma Cuore è un romanzo operaio che parla di povera gente e famiglie borghesi, è romanzo sociale, io lo dico, certo non grido non son tipo da urlare, lo dico a bassa voce, ma mi faccio sentire, io lo so che quello è il romanzo che non mi farà morire, io lo so che con quello qualcuno avrà sì da ridire, ma in fondo a me piace pensare a una mamma che piange mentre legge il mio Cuore, a un bambino che si perde tra pagine zuppe di lacrime e intrise d’amore. Vado forte con Cuore, alla faccia di chi mi vuol male, e pubblico ancora i miei tanti languori, dal racconto del viaggio per mare sulla Galileo al Romanzo d’un maestro che è ancor più sociale. Nasce il partito socialista e io voglio la tessera, subito, ché son socialista da sempre, l’ho sempre saputo, ma adesso con questo ritratto su carta dal rosso colore son qui che scrivo le pagine fitte d’inchiostro del mio Primo maggio, ma ancora non son soddisfatto, mi pare che manchi qualcosa per poter volare. Amore e ginnastica parla ancora di scuola e La maestrina degli operai di scuola e lavoro, son questi i miei temi, ma il mio Primo maggio mi resterà nella penna, incompiuto, sì lo faranno uscire, un secolo dopo, ma io non avrei voluto, non era il libro perfetto che volevo lasciare. E il calcio, pure del calcio devo parlare, che quando non ho niente da fare la domenica vado a vedere il Torino al mio Filadelfia, e scrivo pure un libro sul calcio prima di morire, Gli azzurri e i rossi, dedicato ai colori, alle maglie, alla sfida sportiva. Meglio il calcio d’una politica che mi delude, ché Umberto I, il re buono, un giorno a Milano fa tuonare i cannoni di Bava Beccaris sugli operai e io scendo in piazza con loro. M’indigno, difendo Turati, ma lui finisce in galera, non serve lo scrittore di Cuore con i suoi languori alla causa sociale, non serve, che tra l’altro son vecchio, ho passato i cinquanta e resto sempre più solo. Muore la mamma e mio figlio si spara, tutto nel solito anno, terribile 1898, quel parco del Valentino teatro del dolore dove non son più riuscito ad andare, vicino a quel fiume, sotto la vecchia collina e tra i glicini in fiore. Furio non so che t’è preso quel giorno, avevi poco più di vent’anni e un dolore nel cuore, la pistola alla tempia grondava dolore, non so se forse hai pensato al mio sguardo, ai miei sogni, a quello che avrei voluto, non so, ma io son sicuro che tu non sei morto per vendicare aspirazioni tarpate, ché in fondo di scrivere a te mica importava. A me crolla tutto d’intorno, mia moglie che grida, io fuggo, esco di casa per vicoli bui, di notte, una sera mi porto via Ugo, lui no, lui non deve morire, lui non mi deve lasciare, ha diciott’anni e un sorriso che mi ricorda mia madre, lui non lo lascerò soffocare da quella donna impossibile che ho voluto sposare. Aveva ragione mia madre. Le donne. Edmondo, le donne! Stai attento. Fuggi da loro! Pubblicare libri ormai a cosa serve ma lo faccio lo stesso, soltanto per sentirmi vivo, lo faccio con un fiorentino che pubblica pure fumetti, Nerbini si chiama, e con lui escono Lotte civili, poi le Memorie e La carrozza di tutti con il vecchio Treves. E i Ricordi d’infanzia e di scuola, ché quando s’invecchia si torna bambini, si rivede il passato, mentre Teresa m’infama con il suo Conclusione, scribacchia una storia cattiva sulla nostra storia, ma dopo poco lei muore. Conosco D’Annunzio e mica mi piace, così diverso me, dai miei languori, troppo sicuro e vorace, convinto del suo grande ardore, il tempo d’un’intervista, solo qualche parola perduta per scrivere ancora. Ecco che adesso son solo, c’è soltanto mio figlio, lui sta spiccando il suo volo, io scrivo ancora, ricordo serate lontane di primavera a casa di donna Peruzzi, mammina, il mio salotto fiorentino del secolo scorso, incontri passati, momenti sbiaditi. Non starò ancora per molto, lo so, e allora meglio narrare e viaggiare, andare in Sicilia, sognare ricordi, giorni lontani di armi e soldati, scolari e regine, maestre e perduti amori. Ugo ti devo lasciare, lo so che hai soltanto me, ma si sa che si deve morire. Ugo ricorda soltanto che il mio ultimo libro si dovrà pubblicare. Ma non Primo maggio, no, quello lo devo ancora finire.

12 – 13 marzo 2018

Gordiano Lupi