La coperta - Marisa Miranda

La coperta – Marisa Miranda

Il presente non è così scontato come dovrebbe, anzi. Per molte persone non esiste, annientato da un passato che cancella ogni traccia di futuro. Non si sceglie dove nascere, ma si sceglie come vivere: la dignità non si compra coi danari, ma con le azioni che ci rendono umani. Marisa Miranda, con il suo racconto, ce lo schiaffa in faccia senza troppi giri di parole.

 LA COPERTA

Rosso: le mani macchiate del sangue di mio padre, stretto tra le mie braccia.

«Kamal, devi studiare» ripeteva mentre ero sui libri, poi si avvicinava e mi sussurrava:

«Hai imparato l’inglese? E il francese? Studia, sei bravo e intelligente, troverai un lavoro lontano da qui e starai bene. Ricordati, figlio mio: ciò che più conta è la tua dignità, non lasciarti corrompere e l’onestà ti premierà». Rosso: il sangue di mio padre stretto tra le mie braccia, il colore della macchina che mi ha portato via in lacrime e in silenzio per non farmi scoprire, la coperta che mia sorella ha messo nel mio borsone e con cui ho riscaldato le mie gambe infreddolite, di notte, sulla nave che mi portava via dalla mia terra, dalla mia casa. Azzurro: il mare che mi portava lontano, stretto tra gente stretta che ogni giorno perdeva un po’ di vita, azzurro che dava una speranza, che mi indicava un orizzonte aperto e legato al cielo da una retta che voleva e poteva accoglierci tutti, azzurro il vestito di Eliana quando ci siamo incontrati. Come sono arrivato a Oulx? Non so, nel mio cervello c’è un inspiegabile vuoto, ma sento ancora il freddo, la paura, la fame e ricordo i momenti passati ad aspettare un piatto di pasta, il soccorso che mi privava ogni giorno della mia dignità e mi rendeva un numero tra i tanti disperati, lontano dal profumo del cous cous e dai cammelli di mio zio Alì. Rosso: il sangue di mio padre; azzurro: mare senza confini, il vestito di Eliana quando mi ha portato un quaderno e una penna per scrivere i miei pensieri nelle lunghe giornate fatte di noia, perse nella ricerca di un lavoro che non mi avrebbero mai dato e che mi negava ogni giorno la dignità che mio padre voleva per me. Non potevo rimanere ad attendere il vuoto, non avrei avuto rispetto per il lieve sorriso sulle labbra di mio padre quando mi ha lasciato, per la sua speranza di un futuro diverso per l’amato figlio. Dovevo andar via, raggiungere mio cugino a Lione, stare per un po’ a casa sua cercando un lavoro qualsiasi, almeno per i primi tempi. Non avrei più rivisto Eliana, lo so, ma come avrei potuto guardare ogni giorno i suoi begli occhi senza un lavoro, una speranza, una casa? Rosso: il sangue di mio padre, la coperta di mia sorella; azzurro: il mare che mi portava via, il vestito di Eliana quando l’ho incontrata; bianco: la neve su cui cammino per andare a Lione da mio cugino Akram. Cammino in questa strada in salita, affondo i piedi nella neve fredda, mi sembra di non avanzare, non ho più cibo e sono solo. Rosso: il sangue di mio padre; azzurro: il mare senza confini e il vestito di Eliana; bianco: neve interrotta da vestiti sparsi. Perché qualcuno si è spogliato se fa freddo? È un’allucinazione? Sono stanco, ma proseguo, vedo ancora vestiti, poi incontro un uomo disteso, mezzo nudo. Tremo, mi avvicino, lo tocco: è freddo di morte. Cosa faccio? Sono giovane, non voglio morire. Accendo il cellulare, chiamo il 112, piango, mi metto accanto al cadavere, lo abbraccio e chiudo gli occhi. Rosso: il sangue di mio padre; azzurro: il mare senza confini, il vestito di Eliana con in mano il quaderno e la penna; nero: il nero di questa gelida notte tra il bianco di neve, il nero in cui abbraccio il fratello morto e aspetto la fine. Urlo, urlo ancora per scacciare la paura, ma sento il rumore di un elicottero e prego per il fratello morto, per il sangue di mio padre, per Eliana, per la mia vita. Sento delle voci, qualcuno si avvicina, mi parla, mi avvolge in una coperta che assomiglia alle ali di un angelo, mi prende in braccio e mi porta via.

Marisa Miranda