La lentezza del fumo - Francesca Casella

La lentezza del fumo – Francesca Casella

L’inesorabile lo abbiamo avuto lì, a portata di mano, e Francesca ha la grande penna di schiaffarcelo di nuovo davanti, senza pietismi, ovattandocelo di un silenzio che farebbe ancora più paura se non fosse per quella punta di lirico che avanza, insieme al fumo. Se sono salvi loro, alla fine, siamo salvi pure noi.

La lentezza del fumo

Sei disteso nel tuo stato di febbricitante dormiveglia, gli occhi chiusi che si ostinano perché non vuoi aprirli, nonostante tu abbia già perso il conto delle volte in cui ti sei voltato sul fianco destro, sul fianco sinistro.

A un certo punto ti fermi e l’unica cosa che fai nel mezzo di tutta quella irrequietezza è ascoltare. Ascoltare il respiro lento di chi dorme dinnanzi alla fine del mondo, i fremiti ansiosi di chi non ce la fa proprio, il ticchettare dello smartwatch del tuo vicino che ti ricorda quanto spaventosamente lento è il tempo quando non puoi fare altro che aspettare.

Alla fine, gli occhi li riapri nella semi-oscurità di quell’ampia sala lettura, i soffitti alti, le librerie imponenti di metallo grigio carico dell’odore delle pagine che chissà da quanto tempo sono lì. Osservi il soffitto e pensi a tutte le cose che giacciono oltre – quante volte sei rimasto disteso a pensare a quanto fosse più bella la prospettiva delle fronde degli alberi dal basso, quando si intrecciavano alle nuvole pigre nel cielo. Osservi il soffitto e sai che ora che non le vedrai mai più, ti piaceranno come ti piace l’inarrivabile, tutto quanto non hai posseduto e che ora non riesci a lasciar andare via.

Ti rimetti pigramente a sedere, il fruscio lento delle vesti di cui non ti preoccupi mentre ti scivola via il tessuto leggero della coperta. Ti volti a cercare l’ampia vetrata alle tue spalle – quello che un tempo era un giardino con le sue sculture di ferro e di erba ora totalmente invaso da quel fumo sottile. Quello che si muove lentamente, si libra nell’aria, leggero e sfuggente, come se danzando si prendesse gioco di te – di ciascuno di noi.

Lentamente ti rimetti in piedi e nel farlo ti prende l’assoluta consapevolezza di non ricordare nemmeno quando è cominciato tutto questo – come è cominciato tutto questo. Ti ritrovi a ricordare il fumo che ha iniziato a ricoprire ogni lembo di vita, silenziosamente, pigramente, e nonostante questo nessuno è riuscito a fermarlo mentre divorava la terra, l’oceano, le stelle del cielo, la luna e il sole – perché il fumo, come lo fermi il fumo?

Nella dimensione grigia in cui non aveva più importanza distinguere il giorno dalla notte, sospesi nel velluto ovattato e soffocante dell’ignoto solo l’oblio. 

Mentre ti sposti, senti i tuoi piedi prendere consapevolezza del freddo, della polvere, del silenzio che ammanta quelle sale – e, solo per un attimo, ti sembra tutto normale come se, in fondo, non fosse successo proprio nulla. Come se, in fondo, la fine non ci stesse venendo incontro con la leggerezza delle cose lievi che si insinuano e non ce ne accorgiamo nemmeno.

A un certo punto, però, lo senti – quello spiffero di freddo del tutto innaturale che sferza la tua faccia in maniera del tutto sconsiderata, inaspettata. Gli occhi si risollevano e davanti a te la vedi quella finestra aperta ma soprattutto vedi Lei, seduta su quella poltrona, sulle sue stesse gambe intenta a fissare l’inesorabile come fosse lo spettacolo più bello del mondo. Guardava quel fumo grigio prendere possesso dell’aria con l’indolenza di chi non riesce nemmeno ad avere paura.

Improvvisamente erano tutti lì, dinnanzi a te: l’aria che ti consuma, l’odore della terra che ti brucia, il calore ancora tiepido del sole che ti ghermisce, i suoi occhi insonni che ti fissano, ti riconoscono e sanno cosa dire in quel silenzio. Improvvisamente ti ricordi di non avere più ricordi, come quando ti risvegli da un sonno in cui sei certo di aver sognato senza averne memoria – ma era qualcosa di bello e ricordarlo lo rovinerebbe, come il giorno rovina tutti i dettagli che di notte ci fanno orrore. Improvvisamente sai che avresti potuto chiederle qualcosa, che avreste potuto vivere qualcosa – mille parole ti adombrano il cervello, ma è un’anima persa come te. Solo gli insonni sanno la solitudine. La persistenza della lentezza che ti riempie e ti soffoca.

Alla fine quel fumo ci prese – a noi sopravvissero solo i libri.

Francesca Casella