Mirko Tondi – Lavorare sulla struttura (Parte seconda)

Mirko Tondi – Lavorare sulla struttura (Parte seconda)

C’è un bel romanzo breve di Tolstoj che si intitola La morte di Ivan Il’ič e che nelle sue prime righe annuncia appunto la scomparsa del protagonista. Il romanzo comincia dalla fine, poiché nel secondo capitolo la vita di Ivan Il’ič ci viene difatti raccontata. Ora, noi siamo più che mai abituati a questo genere di approccio alla storia, e lo siamo ancor di più se pensiamo al cinema e a come il mezzo visivo abbia sdoganato certi meccanismi narrativi (ripescate dalla memoria pietre miliari come Quarto potere e Viale del tramonto, oppure il più moderno American beauty – la cui voce fuori campo altro non è che un omaggio al capolavoro di Billy Wilder – e farete un salto all’indietro di diverse decine di anni), ma nel 1886 il cinema ancora non esisteva; è possibile pure che chi, a quel tempo, si trovò a leggere il libro di Tolstoj, non avesse piena consapevolezza della potenza di quell’espediente, preso a prestito mille e mille volte fino a divenire oggi fin troppo abusato. Del resto il cinema esiste proprio perché esiste la letteratura, e ne è la sua naturale conseguenza: quella di trasformare un linguaggio in un altro e dunque, in questo caso, trasporre le parole in immagini, in un processo artistico che oggi ci appare normale ma che all’epoca rappresentò una delle più grandi innovazioni di sempre nella storia dell’umanità.

L’autore, si sa, ha facoltà di spostare a piacimento le scene di un testo per ottenere un qualche effetto sul destinatario dell’opera, ed ecco allora il ricorso a flashback e flashforward (non sono certo un anglista, ma i due termini in lingua conservano un certo fascino e fanno parte ormai del nostro linguaggio comune; inoltre, sono sempre meglio rispetto a “analessi” e “prolessi”, che sembrano usciti dalla terminologia medica e potrebbero essere benissimo i nomi di due brutte malattie… quelli della Crusca mi perdoneranno). Se rispetto ai primi vi verrà senz’altro in mente qualche esempio (la letteratura di tuffi nel passato è piena: dalle ampiamente sfruttate madeleine proustiane ai ricordi che compongono le autobiografie, come quelle in più volumi di Canetti, Bernhard e, venendo ai giorni nostri, del norvegese Knausgard), per quanto riguarda i secondi, ovvero anticipazioni del futuro, i riferimenti potrebbero non essere così immediati. Gli incipit dei titoli citati come esempio in apertura non possono considerarsi flashforward, poiché si collocano nella linea del tempo sulla posizione che corrisponde al presente narrativo; semmai, possiamo ritenere il resto di ciò che viene raccontato come un lungo flashback, fino a regalarci la spiegazione di quanto era stato posto al punto di partenza (in quei casi, la morte del protagonista). Un classico esempio di flashforward è l’inizio di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez: “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”. D’altronde Marquez, se si pensa anche a un’altra sua celebre opera, Cronaca di una morte annunciata, ha spesso giocato sul meccanismo delle anticipazioni, pur non togliendo tensione alla storia. Tornando sull’altra sponda invece, quella cinematografica, gli esempi in questo senso fioccano: dagli spostamenti avanti e indietro nel tempo di un ormai classico come C’era una volta in America a quelli del recente musical La la land, fino al mai abbastanza citato Se mi lasci ti cancello (il cui titolo italiano grida all’ingiustizia, poiché per passare da Eternal sunshine of the spotless mind dell’originale a quella specie di richiamo per spettatori da commedia sentimentale ce ne vuole, eccome…), che offre agli spettatori un flashforward proprio nelle primissime sequenze. 

Quello della linea del tempo è un esercizio che vi invito a fare, utile a capire in che punto esatto collocare gli eventi una volta stabilito l’arco temporale che si intende narrare: vi basterà semplicemente tracciare una linea, scrivendo una data (un giorno, un mese, un anno, un certo periodo che può essere anche più lungo) per ognuno dei due estremi e posizionando nel mezzo date intermedie. Ciò, se volete, potrà essere sviluppato in maniera più estesa e dettagliata in una scaletta numerata, nella quale i vari punti si susseguiranno secondo l’ordine che voi avete stabilito. Non stiamo necessariamente parlando di plot fantasy o di fantascienza, sia chiaro: la maniera in cui l’autore decide di posizionare i fatti ha a che fare piuttosto con la struttura e lo stile, anziché con il genere. Ma farò un esempio in un senso o nell’altro citando un paio di romanzi nei quali si incontrano scansioni temporali durante tutto lo svolgimento della trama: Mattatoio n° 5 di Kurt Vonnegut e Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron. Nel primo caso, i salti nel tempo sono al servizio di una storia che parte da uno spunto autobiografico (la cattura dello stesso autore da parte dei tedeschi a Dresda nel 1945) ma che prevede presto i viaggi nel lontano pianeta di Tralfamadore: si tratta quindi di uno sviluppo fantascientifico delle vicende. Nel secondo, invece, la struttura di tipo diaristico consente di muoversi, in un’altalena di capitoli, tra i diversi mesi dello stesso anno, procedendo in più direzioni). 

Bene, spazio esaurito. Nella prossima occasione, riprenderemo il discorso collegandoci al punto di vista.

Mirko Tondi