Visti da Gordiano Lupi – La grande abbuffata di Marco Ferreri

La grande abbuffata (1973)
di Marco Ferreri

Regia: Marco Ferreri. Soggetto: Marco Ferreri. Sceneggiatura: Marco Ferreri, Rafael Azcona. Dialoghi: Francis Blanche. Fotografia: Mario Vulpiani. Montaggio: Amedeo Salfa, Claudine Merlin. Effetti Speciali: Paul Trielli. Musiche: Philippe Sarde. Scenografia: Roger Jumeau, Michel Suné. Costumi: Gitt Magrini. Trucco: Alfonso Gola, Jacky Bouban. Genere: Grottesco, Drammatico, Commedia, Erotico. Durata: 132’ (versione completa), 123’ (versione distribuita in Italia), 112’ (versione censurata). Paesi di Produzione: Francia, Italia. Produttore: Edmondo Amati. Casa di Produzione: Mara Film S.a.r.l. (Parigi). Capitolina Produzioni Cinematografiche S.r.l. (Roma). Distribuzione: Fida Cinematografica. Titolo originale: La grande bouffe. Interpreti: Ugo Tognazzi (Ugo), Marcello Mastroianni (Marcello), Philippe Noiret (Philippe). Michel Piccoli (Michel), AndréaFerréol (Andréa, la maestra),Solange Blondeau (Danielle, prostituta), Florence Giorgetti (Anne, prostituta lesbica), Alexandre Michèle (Nicole, prostituta lesbica), MoniqueChaumette (Monique, moglie di Ugo), Rita Scherrer (Anulka), Henri Piccoli (Hector), Bernard Menez (Pierre), Louis Navarre (Braguti), Cordelia Piccoli (Barbara), Giuseppe Maffioli (lo chef), James Campbell (Zac), Patricia Milochevich (Mini), Mario Vulpiani (il copilota), Gérard Boucarou (l’autista), Margaret Heneywell (una hostess), Annette Carducci (una hostess), Eva Simonnet (la segretaria), Giani Altobelli, Simon Tchao, Maurice Dorléac, Bernard Prin. Doppiatori: Pino Locchi (Michel), Sergio Graziani (Philippe). Premio FIPRESCI, Festival di Cannes 1973.

La grande abbuffata viene presentato in concorso al 26° Festival di Cannes, riceve sonori fischi dalla platea composta soprattutto da critici, ma si prende una bella rivincita scandalizzando e sconvolgendo il pubblico europeo, allibito di fronte a tanti eccessi erotico – gastronomici, visti in chiave grottesca. La censura ne limita sin da subito le potenzialità espressive che vogliono mettere alla berlina la società dei consumi e del benessere, condannata all’autodistruzione, riducendo il film di ben venti minuti. In sintesi la storia, non così importante rispetto al significato. Quattro uomini, stanchi e annoiati della vita, decidono di suicidarsi mangiando fino alla morte, chiusi in una villa alla periferia di Parigi. Ugo (Tognazzi) è un cuoco sopraffino amante del cibo, Marcello (Mastroianni) un pilota sessuomane, Philippe (Noiret) un giudice represso sessualmente, Michel (Piccoli) un regista televisivo effeminato. Ai quattro uomini si aggiungo tre prostitute (due di loro lesbiche) e una giunonica maestra elementare (Ferréol) che si innamorerà dei quattro uomini, accompagnandoli con dolcezza verso una morte che così tanto bramano.

La grande abbuffata è una favola nera, grottesca, un apologo alla Ferreri che risente del clima culturale del tempo, molto vicino ai lavori di Pasolini, impregnato della cultura di De Sade e anticipatore di un’opera totalmente autodistruttiva come Salò o Le 120 giornate di Sodoma, vera eredità culturale del regista friulano. Un film che segue opere interessanti e originali di Ferreri come La donna scimmia (1964), Dillinger è morto (1969), L’udienza (1971) e La cagna (1972), ma che anticipa il Ferreri de L’ultima donna (1976), Chiedo asilo (1979), Il futuro è donna (1984) e del dissacrante La carne (1991). Presenti i temi abituali del regista, che vanno dalla decadenza della società borghese a un rapporto complesso tra uomo e donna che vede la parte femminile sempre vincente. Ferreri non è un autore facile, non fa concessioni ai gusti del pubblico, ma segue un suo discorso teorico che trascrive per immagini, affondando con decisione il coltello nella piaga di un mondo in disfacimento, condannato all’autodistruzione. Facile trovare tra i suoi motivi ispiratori l’intera opera di Sartre (La nausea, Il muro…) e l’esistenzialismo francese, per un autore che riscuote maggiori consensi oltre le Alpi piuttosto che in patria, mai troppo amato dal pubblico e oggi quasi dimenticato. La grande abbuffata è una storia eccessiva di cibo e sesso, grottesca al punto giusto, piena zeppa di flatulenze, orge a base di cibo e donne disponibili. Molti i piatti presentati da un Tognazzi nel ruolo della sua vita, cuoco per mestiere e appassionato di ricette astruse, che finisce per uccidersi ingurgitando fino a scoppiare quattro diversi tipi di paté. Gli eccessi di Marcello sono soprattutto erotici, insaziabile amatore passa da una donna all’altra e finisce per morire assiderato al volante di una Bugatti appena restaurata. Philippe è un giudice represso da una nutrice che lo vorrebbe soltanto per sé, si innamora della maestra che prima lo tradisce con tutti, infine lo aiuta a morire servendogli un dolce che ha la forma di due enormi tette. Michel muore per un attacco di aerofagia dovuto al troppo cibo, dopo aver esternato una personalità effemminata, da gay non dichiarato. Sopravvive la donna giunonica, che assicura la continuità della specie, la maestra che dopo aver aiutato tutti a compiere il destino prefissato si ritira silenziosa nelle segrete stanze. Molti gli eccessi presenti nella pellicola, da una gara a base di ostriche e champagne condita da immagini libidinose, alla gran mangiata di spiedini di uccellini e galletti, fino al maiale, la polenta, il purè, la pizza, i tortellini, la pasta con i sughi più disparati, il tutto condito da personali perversioni, aerofagia, flatulenze, coiti improvvisati nei luoghi più impensati. “La vita è un pasticcio”, afferma Tognazzi, poi aggiunge: “Un buon cuoco dev’essere un perfetto chirurgo”. Molte le scene di sesso esplicito, soprattutto con protagonista Mastroianni, che si possono apprezzare solo nella versione non tagliata e in spezzoni non doppiati in italiano. “Non si può morire mangiando!”, esclama Marcello. E infatti morirà assiderato. Sequenze indimenticabili, mentre tra gli amici esplodono contraddizioni e vengono a galla le personalità represse, la deflagrazione di escrementi nel bagno (L’odore della merda non ci lascerà mai più, dice Tognazzi) e il capolavoro del cuoco, il piatto più bello che pare una cattedrale composta da paté e uova, perché le uova secondo i giudei sono il simbolo della morte. Forse la scena più tagliata è quella della morte di Ugo che avviene in un eccesso di erotismo e cibo con la maestra intenta a masturbare il cuoco mentre Philippe lo imbocca con grandi cucchiaiate. Altri tagli riguardano la torta Andréa che Ugo compone durante un rapporto sessuale con la maestra, i baci espliciti alla francese tra Marcello e Andréa e la parte in cui il cadavere di Marcello viene adagiato nella cella frigorifera.

La grande abbuffata è un film molto teatrale, girato in interni, tra lunghe soggettive, primi piani e dialoghi serrati, moderato uso dello zoom e delle dissolvenze. Fotografia nitida e intensa di Vulpiani, che recita anche un piccolo ruolo come aiuto pilota di Mastroianni. Sceneggiatura tipica di Ferreri e Azcona, surreale e grottesca, ricca di dialoghi forbiti e citazioni (Temo i greci anche quando portano doni!, Eneide di Virgilio), persino imitazioni di Marlon Brando nel ruolo del Padrino messe in scena da un Tognazzi in gran forma. Inutile dire che un film complesso e così poco cinematografico come La grande abbuffata non sarebbe lo stesso senza i grandi interpreti che sono stati scelti per rappresentarlo con recitazione partecipe e teatrale. Tognazzi, Piccoli, Mastroianni, Noiret e Ferréol sono bravissimi e indispensabili per la riuscita di un’operazione disgusto, viscerale e sadica, quanto politica e fisiologica. Operazione antiborghese e volutamente scandalosa, come piaceva fare a Ferreri.

Gordiano Lupi