Patrizia Raveggi – Incredulità e speranza: un messaggio nomade dalla Serbia al resto d’Europa
Le proteste di massa dalla Serbia si stanno allargando ad altri Paesi della ex Jugoslavia (Slovenia, Croazia, Macedonia…). La testimonianza di un giornalista croato.
A novembre scorso è crollata una pensilina alla stazione ferroviaria di Novi Sad, in Serbia. Sono morte 15 persone. Da allora hanno avuto inizio le proteste.
In tre mesi, centinaia di migliaia di persone hanno reso omaggio alle vittime dell’incidente nelle strade di oltre 130 città del Paese. Le proteste più massicce si sono svolte a Belgrado il 22 dicembre e il 27 gennaio, quando, secondo alcune stime, si sono riunite più di 200.000 persone in due giorni.
I manifestanti non sono solo studenti: Gli studenti sono gli organizzatori. Gli studenti guidano la carica. Ma ora tutte le fasce d’età stanno protestando. Se fossero solo gli studenti a protestare, il Presidente serbo, Aleksandar Vučić non si sarebbe tirato indietro, non avrebbe licenziato il Primo Ministro, non sarebbe pronto a sostituire tutti i ministri, ecc.
L’opinione dominante è che queste proteste, potenziale detonatore di fondamentali processi di democratizzazione in Serbia, abbiano qualcosa in più e meritino sostegno.
Ma perché queste proteste sono così diverse? riflette il giornalista Repovž che in un articolo sulla storica rivista slovena Mladina illustra e approfondisce con il distacco dell’analista politico l’afflato lirico del racconto di Tomislav Kukec: che alle proteste per quattro giorni ha partecipato di persona.
La società serba è profondamente frustrata. In Serbia, non si può accedere a nessuna posizione senza il giusto sostegno (politico o di magnati), non si può ottenere denaro senza fare accordi con le persone giuste. D’altra parte, se fai parte della casta politico-economica o se questa ti prende come proprio, ottieni tutto, un diploma, un lavoro, uno stipendio, un dottorato, finanziamenti per progetti, un ufficio o uno studio, un appartamento, letteralmente tutto e niente
Tuttavia, la riservata freddezza di Repovž cede all’emozione nel constatare che una società così perversa, pervertita, corrotta in ogni senso del termine, una vera e propria corruzione dello spirito costituisce un’unica abissale disperazione per qualsiasi persona. In una simile situazione non si può che disperare.
Ma proprio la tranquilla fermezza delle immense, dilaganti e costanti proteste apre uno spiraglio di possibile futuro, per Repovž come già per Tomislav Kukec e come nel video https://www.facebook.com/ugo.poli.52/posts/1306250887381662/?rdid=NeoYvjAOG7lcmefC che illustra gli inizi delle proteste, i giovani travolti dalle auto e manganellati dalla polizia.
Così conclude Repovž: Ecco perché queste proteste sono così massicce. Perché in una società che è sprofondata così tanto, è difficile risollevarsi. E ora si stanno sollevando.
Il giornalista croato Tomislav Kukec, rimasto quattro giorni a Belgrado e a Novi sad mentre le proteste erano in corso, dà di questa sua esperienza una testimonianza partecipe e commossa. E soprattutto stupefatta che tutto ciò possa veramente accadere. Che veramente ci si possa opporre in modo pacifico all’imperante clientelismo, al non rispetto della legge, alla distorsione della realtà e alle riscritture della storia, ai ripetuti attentati alla Costituzione.
Come stupefatti e commossi sono gli anziani che nelle città serbe guardano i giovani per le strade e piangono: piangono perché vedono che la speranza non è perduta, piangono perché i piedi insanguinati degli studenti hanno ricordato loro la forza che loro stessi avevano una volta. Piangono perché non piangono da anni, intrappolati nella disperazione e nell’apatia e pensando che è così che deve essere e che non possiamo farci nulla.
Patrizia Raveggi
Qui di seguito l’articolo di Tomislav Kukec:
“Sono in Serbia da quattro giorni, prima a Belgrado, ora a Novi Sad. Ho parlato con decine di persone, ho ascoltato vicende di ogni tipo, storie di vita, materiali esistenziali perfetti per scrivere un libro. E, onestamente, per la prima volta nella mia carriera giornalistica, non so cosa scrivere.
Ciò che sta accadendo stasera a Novi Sad è qualcosa di completamente surreale, qualcosa che nessun articolo o servizio televisivo può descrivere, uno di quei momenti della storia in cui stai zitto e guardi, percepisci…
Sono arrivato con l’illusione che i serbi stessero rovesciando il regime di Aleksandar Vučić e che come giornalista avrei raccontato della caduta di una dittatura. Cammin facendo, mi sono reso conto che era solo una briciola, un granello della storia della ribellione in Serbia
Qui i giovani nemmeno ci badano a Vučić. Per loro lui è irrilevante (è questo ciò che lo ferisce di più). A loro non interessa affatto chi sarà il presidente della Serbia. Potrebbe essere, mi dice una studentessa, la Pantera Rosa. Quello che importa è che le istituzioni funzionino. Che si osservino le leggi. Che per un reato penale si vada in prigione e non che invece si ottenga una promozione a una posizione più elevata.
Che per le strade delle città non vengano investiti e messi sotto coloro che la pensano diversamente. È importante che ognuno sia responsabile del proprio lavoro, della propria parola, di ogni propria mossa. I serbi si ribellano al sistema. Contro l’illegalità, contro la criminalità. La miglior dimostrazione che questa non è una lotta politica è il fatto che gli studenti non hanno un leader, non prendono nessuna posizione politica, non sono affatto interessati né all’op-posizione né ad alcuna posizione.
Non sono di sinistra, non sono di destra, cosa sono!? Eh, è questo che più di tutto spaventa i politici che sono al potere e coloro che al potere vorrebbero arrivarci. Perché vedono che questi giovani sono intelligenti, eloquenti, colti e soprattutto più coraggiosi e forti di quanto si pensasse. A un certo punto, questo problema dovrà essere tolto dalle strade e affrontato a livello istituzionale. Ma come? Come, visto che la strada non si fida di nessuno. La strada cerca il lavacro lustrale (non ho un termine migliore), la catarsi, la pulizia dal fango accumulato non solo nel decennio di Vučić, ma anche in quelli precedenti. Studenti, liceali, giovani… Non chiedono che Vučić se ne vada, anche se questo è ovvio. Stanno cercando un cambiamento radicale, forse l’utopia, la democrazia assoluta, a volte l’anarchia. Stanno cercando un mondo nuovo e migliore, senza nazionalismo, senza disonestà, senza violenza.
Sono ingenui in questo? Certo, sono ragazzi dal cuore grande, ragazzi che amano veramente il loro Paese e gli augurano ogni bene. Il mondo migliorerà grazie a loro da un giorno all’altro? Ovviamente no. Ma se il loro messaggio è arrivato a una persona su dieci in Serbia, in Croazia, in qualsiasi parte del pianeta, ha fatto più di tutti i politici di queste zone messi insieme in trenta, quaranta, anche cinquant’anni… Ed è per questo che gli anziani piangono quando li vedono per le strade. piangono perché vedono che la speranza non è perduta, piangono perché i piedi insanguinati degli studenti hanno ricordato loro la forza che loro stessi avevano una volta. Piangono perché non piangono da anni, intrappolati nella disperazione e nell’apatia e pensando che è così che deve essere e che non possiamo farci nulla.
Tomislav Kukec
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