
Gordiano Lupi – La raison d’être
La mia raison d’être l’ho persa per strada e adesso invidio chi ancora la possiede. Se vado a ritroso con la memoria ricordo che accadde un giorno che decisi di fare una passeggiata nel quartiere. Presi una stradina di mare tra le case, tra i luoghi conosciuti e il Rio Salivoli, accanto al campo di calcio al termine del Vallone, quello che porta il nome d’un campione, dove ci sono giardini di famiglie proletarie. Piccole parti di terreno coltivate a orto, un carrozziere, il negozio di animali, un parco con le sculture in materiale riciclato e proprio in fondo il centro commerciale. Era il mio solito quartiere, la Salivoli da sempre conosciuta, niente di nuovo sotto un vecchio sole; percorsi pochi chilometri, scesi verso il mare, proprio dove sfocia il Rio Salivoli, in mezzo a un golfo che se ne sta silente, accanto a un ristorante in abbandono. Al termine di quel che non è un fiume ma un breve corso d’acqua che si lascia andare, potevo bagnare i piedi in una pozza di sale e di calcare, inalando profumi di benzina dal porticciolo accanto alle scogliere. Sotto il sole del mattino alcuni ragazzi giocavano a calcio sulla spiaggia, accanto al bagno, dove non c’erano ombrelloni. Rimasi a guardare la partita, con poco interesse, immerso nei pensieri, dopo pochi minuti mi allontanai verso una baracca di legno che d’estate diventava un bar e – seduto davanti al mio caffè – ascoltavo il rumore delle onde. Tutto si confondeva nella mia mente, con gli occhi chiusi, il rumore dei ragazzi che giocavano, i bagnanti immersi nei futili discorsi, il profumo del mare, il suono delle onde. Il vento di scirocco recava odore di salmastro da Follonica e sentori di caldo cittadino, quel sapore afoso di rovente asfalto che smuove ricordi seppelliti. La pelle calda d’una ragazza, magliette appena lavate, sudore d’un campo di calcio, spogliatoi umidi, piccoli sogni insensati che si fanno solo d’estate. Ma un anno dopo, forse quel giorno stesso, smisi di sognare. Non so il motivo, non so che cosa sia accaduto nel mio quartiere, forse niente più che l’abitudine. Avevo smarrito la mia raison d’être. E so per certo che non l’avrei più ritrovata. Non qui, almeno. Non tra le usate cose.
Gordiano Lupi
La mia città
Era la città dov’ero nato e cresciuto, quella dove ho giocato a calcio per la prima volta, quella dove mi sono innamorato, dove ho sorriso e ho pianto, dove sono stato felice e triste, dove forse morirò. Ha il mare di fronte, le colline alle spalle, un piccolo porto per raggiungere le isole. Quando torno a casa capita che maledica il destino quasi insulare d’essere un promontorio con una sola via d’accesso; inoltre, da un po’ di tempo a questa parte, quando osservo il cielo mi rattrista non veder le ciminiere e a volte rimpiango persino l’altoforno. La mia città farà trentamila abitanti, quasi tutti stipati in condomini popolari e poche villette, nata a dimensione d’operaio, poco per volta ha smarrito la sua vera identità, pure lei (come me) pare aver perso la sua raison d’être. Povero piccolo mondo antico proletario che s’ingegna di fare i conti col turismo estivo e con quel mare un tempo patrimonio dei soli pescatori e dei ragazzi che percorrevano stagioni interminabili, torride strade di lunghissime estati.
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