Angelo Airò Farulla - Il giardino chiuso di Lodovica San Guedoro

Angelo Airò Farulla – Il giardino chiuso di Lodovica San Guedoro

Lodovica San Guedoro
Il giardino chiuso
Genesi Editrice – Euro 12 – Pag. 100

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L’HORTUS CONCLUSUS AMORI DI LODOVICA SAN GUEDORO

Sembra quasi che con la pubblicazione de “Il giardino chiuso” Lodovica San Guedoro voglia mettere la parola fine al suo percorso letterario. Possibile? L’impressione non viene tanto dalla lettura del romanzo che è, come i suoi precedenti lavori, ancora uno di quegli anelli cresciuti attorno al tronco della sua vita, «un cerchio più grande gettato dalla sua anima intorno a sé», ma dalla biografia della scrittrice posta in fine di volume, scritta come un’epigrafe, al passato remoto.

È come se Lodovica fosse sfiorata da un’oscura tentazione, quella di abitare già in vita il piano della classicità. Se lo fa, lo fa però a modo suo, da ribelle qual è, lasciando che l’ardore irriverente della sua vitalità riprenda subito il sopravvento sul mutismo del tempo perduto e di un presente ormai «senza luce», nel quale l’aldiquà sembra esaurire tutto l’esistente. 

Il volume si apre con l’anafora funebre e impressionante de «Il sole sanguina». Ossessiva come il ricordo doloroso di chi non è più.

Il sole sanguina. Era così vitale, era la vita stessa. Era ancora giovane di spirito e di corpo, era fatto per vivere, per non morire mai, era la bontà in persona, la saggezza, la bellezza. Queste non possono ammalarsi e morire. Il mondo cesserebbe di esistere.

Il sole sanguina. Di notte il suo letto è vuoto. La sua chiave non gira più nella serratura della porta. Non lo sento più ridere, parlarmi, chiamarmi. 

Il sole sanguina. Chi è quella che si aggira per le stanze? Sono proprio io, ancora io? Quella stessa persona che ero? Anch’io, pur camminando, muovendomi, non ci sono più, da quando mio marito è morto. E le stanze, i mobili, gli oggetti, gli alberi fuori dalla finestra, il cielo, gli uccelli, tutto è cambiato. Non mi parlano più, non mi emozionano più, tutto si è irrigidito, mi fissa vitreo, ostile e pauroso. 

Perché quell’uccellino sull’acacia cinguetta vispo, se mio marito è morto? È troppo barbaro, troppo crudele che lui sia morto e quell’insignificante espressione della natura continui a esistere. Il sole sanguina.

Quando mi guardo indietro, ritraggo lo sguardo con orrore come di fronte a un abisso che vuole inghiottirmi. Non posso ricordare la mia vita passata, perché tra quelle forme sempre vedo il suo viso sollevarsi… Allora distolgo lo sguardo, volgo il capo in un’altra direzione, nella vuota stanza in cui sono.

Ma non alzo lo sguardo nemmeno al futuro. Il futuro è per me solo grigia nebbia, vuoto, sigillato dietro porte arcigne e spettrali.

Oggi ho trovato queste carte… Una commedia scritta tanti anni fa, distante da me mille anni luce. Si tratta di una storia veramente avvenuta. È un frammento della mia vita trascorsa.

Oggi volevo sfuggire per poco al presente, e ho avuto il triste coraggio di affacciarmi sull’orlo del passato, di rileggerla, perché sapevo che lui lì dentro non c’era… C’ero io e un mio amico attore, di cui mi ero allora innamorata.

Laura sono io. E Giovanni è lui.

E così da questo presente senza luce mi volgo verso un passato ammaliante e iridescente che una volta fu il mio presente.

Eravamo a Roma… 

“Il giardino chiuso” è la storia di Laura e Giovanni, scrittrice lei, attore lui. Una storia nella quale, emblematicamente, gli altri sono solo «comparse». Una storia che è una fuga d’amore consumata in una Roma che si dispiega come un fondale di teatro. Fuga anche nel senso musicale, composta da due temi che si rincorrono non sovrapponendosi mai, quasi scacciandosi l’un l’altro.

Tutte le ambiguità e i contrasti dell’inquieto rapporto tra Laura e Giovanni paiono generarsi attorno agli endecasillabi de “La passeggiata” del D’Annunzio del “Poema Paradisiaco”. E non è un caso, credo, che Lodovica scelga di accordarsi alla voce del grande poeta decadente, ultimo erede della tradizione letteraria italiana.

“Il giardino chiuso” è una tenzone erotico-letteraria che ha per tema un amore negato, impossibile, alla fine quasi sconfessato, sempre tumultuoso. Amore dal quale si crede di poter guarire come da una malattia passeggera, potenzialmente mortale.

Angelo Airò Farulla