Alberto Alassio – Tre olive
Tutto era nato il giorno in cui alle sei del pomeriggio si sarebbe già seduto a cena e allora per indebolire l’attacco di fame aveva preso il barattolo di olive e con un cucchiaio ne aveva tirate fuori…tre alla volta. Una cucchiaiata…tre olive. Un’altra cucchiaiata…di nuovo tre olive. Subito, la fame che lo attanagliava gli aveva impedito di accorgersi della stranezza. Più tardi però aveva realizzato che la vicenda fosse piuttosto singolare. Infatti, nel liquido scuro del barattolo quante olive avevano fatto capolino? Sempre e soltanto tre. Una risata e si era dedicato ad altro. La sera nel letto, una simile coincidenza. Aveva finito una serie e per farlo aveva dovuto vederne tre puntate. Si era quindi addormentato. Il giorno dopo si sarebbe già lasciato tutto questo alle spalle se non fosse che l’unica melodia che gli girava per la testa quella mattina non fosse stata un valzer, per l’appunto una musica in tre tempi. Sedutosi a fare colazione aveva mangiato i biscotti. Il primo, il secondo, il terzo, il quarto…certo tre non erano sufficienti. Ma con dispiacere aveva realizzato di essere sazio non con sei, nemmeno con sette o otto, ma soltanto con nove biscotti. Tentato di trangugiare il decimo aveva lasciato perdere, non essendo convinto che fosse salutare dare peso a stupidaggini simili. Aveva risposto a delle mail di lavoro (sei) e poi aveva corso. Sei chilometri. Iniziava a sentirsi in pena. Perché tutta questa attenzione verso quel numero? Non si trova il numero tre dappertutto se lo si vuole trovare? E il quattro allora? Non riusciva a concepire il quattro senza pensare al dodici. Era come se l’esistenza del primo fosse indissolubilmente legata a quella dell’altro. Seduto in equilibrio instabile su di una panchina si guardava intorno e contava ogni cosa. Le giravolte della farfalla…sono tre. Le mosche che gli camminano sui pantaloni…sempre tre. Riusciva senza muoversi a vedere entrambe le sue scarpe? Ne vedeva una e mezza. Dei brividi lo percorrevano e tra l’altro, quel movimento ondulatorio lungo le sue spalle era forse un’onda…a tre hertz? Si rendeva evidente la necessità di chiarire al più presto la pazzesca situazione in cui si trovava, e non per colpa sua, dato che non era certo lui a volersi focalizzare su quel maledetto numero, mangiare solo tre olive, nove biscotti, sessanta grammi di pasta, avere un’età la cui somma degli addendi facesse sei, ricordare solo tre amanti fondamentali nella propria esistenza, arrivare a contare trenta passi e poi dimenticarsi di essersi messo a contare, intuire nel groviglio dei rami una moltitudine di triangoli di infinite dimensioni, l’albero stesso suddiviso in radice-tronco-foglie, distinguere merlo-piccione-corvo, corridore-pedone-ciclista, macchina-moto-camion…
Sotto uno splendido cielo azzurro accadeva tutto questo. Il cielo però è unico, non ha alcun bisogno di numeri, rifletteva, il cielo è infinito, il cielo è non-numerabile. Tutto ciò che accade sulla terra invece arriva sempre fino al tre.
«Arriva tutto fino a tre!» sbraitava di colpo alzandosi dalla panchina, «Fino a tre e non olTre! Non olTre!»
Terrorizzati dalle sue assurde grida, i pavidi-borghesi-ipocriti passanti si allontanavano da lui, le coppie richiamavano i loro figli unici e le giovani dog-sitters si assicuravano che il jack-terrier, il bastardino e il bracco di Weimar non scappassero, non lo attaccassero e non gli ululassero contro.
Alberto Alassio
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