Desia Di Biasio – Come fingere di aver letto Il giovane Holden e capire il randagismo esistenziale senza perdere la bussola

Oggi tutti si atteggiano a esperti della qualunque: vini biodinamici, cinema d’autore, politica estera… e letteratura, ovviamente. Quanti hipster con la tote bag hai visto annuire con aria saggia davanti a titoli che pesano più di un dizionario, fingendo di averne colto ogni sfumatura? Ecco, siamo qui per rovinargli la festa. Questa rubrica smaschera la cultura dell’apparenza intellettuale e offre riassunti, osservazioni e trucchi per destreggiarsi nelle conversazioni sui grandi classici—sia per alimentare l’inganno, sia per accendere la curiosità. Perché la letteratura non è un feticcio da esibire, ma un piacere da scoprire che è più divertente se non lo si prende troppo sul serio.  E poi, ammettiamolo: se avessimo davvero letto tutti i libri che diciamo di aver letto, saremmo già invecchiati almeno due volte.

Come fingere di aver letto Il giovane Holden e capire il randagismo esistenziale senza perdere la bussola

Il giovane Holden non è solo un romanzo su un adolescente depresso: è un manifesto del randagismo interiore, della fuga senza direzione e dell’insofferenza verso il mondo. Holden è il simbolo di una generazione che non vuole essere trovata, ma si lamenta di essere sola.

È il libro che ogni aspirante ribelle ha finto di amare almeno una volta, e che ogni professore ha cercato di spacciarti come “fondamentale per capire l’adolescenza”.

Il problema? Holden Caulfield non fa assolutamente nulla per farsi amare: è sarcastico, depresso, si lamenta in continuazione e odia praticamente tutto. Ma tranquillo: se vuoi fingere di averlo letto e sembrare anche brillante, ecco i 5 punti (più uno) fondamentali per farcela con stile.

1. Riassumi la trama come se fosse un film indie di quelli lenti e deprimenti

Dimentica James Dean o i protagonisti dei film di Tarantino: Holden non è un ribelle con una causa, è un cane smarrito in una città che non lo vuole. Espulso dall’ennesima scuola, invece di tornare a casa ed affrontare i genitori, passa le sue giornate a vagare per New York senza una meta, senza amici veri, incapace di stabilire un legame autentico, bevendo e fumando.

In pratica, Se Into the Wild fosse ambientato a Manhattan e il protagonista non sapesse campeggiare, sarebbe Il giovane Holden.

Se vuoi sembrare colto, puoi dire:

“Holden non è un anticonformista, è un vagabondo dell’anima. Non combatte il sistema, semplicemente non sa dove stare.”

2. Il flâneur più sfigato della letteratura

Baudelaire e Walter Benjamin ci hanno insegnato che il flâneur è il raffinato esploratore della città moderna, l’osservatore del caos urbano. Holden Caulfield è tutto questo, ma più incazzato e meno poetico. Vaga per le strade di New York senza vedere la bellezza, solo la sporcizia umana.

Per sembrare un critico letterario d’altri tempi, butta lì una frase come:

“Holden non è un semplice adolescente in crisi, è un flâneur senza meraviglia, un esploratore urbano senza mappa né entusiasmo.”

Non serve sapere altro.

3. Il randagismo è la sua religione, l’appartenenza il suo inferno

Il vero dramma di Holden non è la scuola o la famiglia, ma il terrore di appartenere a qualcosa. Lui vuole essere un outsider, ma allo stesso tempo è disperatamente solo. È come un cane randagio che finge di amare la libertà ma, quando nessuno lo guarda, sogna una cuccia calda. Holden odia chi si adatta al mondo, ma invidia chi riesce a farlo senza perdere sé stesso

Per risultare profondo, lancia questa perla:

“È come se Sartre avesse scritto un romanzo su un adolescente in crisi: il mondo è un inferno perché gli altri esistono, ma senza gli altri, chi siamo?”

Dopo una frase così, nessuno oserà contraddirti.

4. L’hobo di lusso che fugge senza rinunciare al comfort

A differenza dei veri vagabondi letterari (Jack London, Henry David Thoreau, Kerouac), Holden non ha il coraggio di dormire sotto i ponti. Fugge, sì, ma con un portafoglio pieno di soldi dei genitori e un taxi sempre a disposizione. 

È il tipo di persona che sogna di “mollare tutto” e partire, ma solo se trova un hotel decente lungo il tragitto; un vagabondo che sogna di scappare nei boschi alla Thoreau, ma poi si lamenta perché il servizio in camera non porta i pancakes abbastanza caldi.

Se vuoi risultare caustico:

“Holden è un hobo con l’American Express, un anarchico da hotel a quattro stelle.”

Funziona in ogni conversazione.

5. Il vero viaggio di Holden non è per le strade di New York, ma dentro il proprio disastro interiore

Il vagabondaggio fisico è solo una scusa per il suo randagismo esistenziale. Holden non cerca una destinazione, cerca di evitare la propria vita. È la fuga nella sua forma più pura: non per arrivare da qualche parte, ma per non essere trovato.

Holden non vuole viaggiare, vuole perdersi. Ma anche i vagabondi, prima o poi, devono fermarsi.

Se vuoi citare la cultura pop, puoi dire:

“È come se Lost in Translation fosse stato scritto da un diciassettenne con daddy issues.”

Pausa. Silenzio. Applausi.

6. Concludi con una riflessione pseudo-esistenzialista sulla perdita dell’innocenza

Il titolo originale del libro è The Catcher in the Rye, che fa riferimento al sogno di Holden di proteggere i bambini dall’età adulta. È la sua ossessione: evitare che i giovani diventino adulti falsi e ipocriti. 

“In fondo, Holden vuole solo fermare il tempo. È un Peter Pan moderno, ma senza la polvere di fata.”

A quel punto, tutti annuiranno con aria pensosa. E tu sarai ufficialmente il guru del randagismo letterario, senza aver letto nemmeno una pagina.

Desia Di Biasio