Ma poi – Andrea Borla
Tutto è cominciato quando ho incontrato la Donna della Mia Vita. Bionda, slanciata, capelli che le sfiorano le spalle, una gonna leopardata che scende dritta fino a nasconderle le scarpe.
È lei, senza il minimo dubbio. Anzi, avrebbe potuto essere la Donna della Mia Vita, ma poi.
“Avrebbe potuto essere, ma poi” è una categoria in cui finisce chi scatena in me emozioni improvvise che dopo un attimo sono buone soltanto per alimentare i sogni fatti prima di addormentarsi.
Appena l’ho vista ho sorriso alla cameriera e ho risposto alla sua domanda con un: «Portami quello che ha ordinato lei».
Non ho avuto nemmeno il tempo per capire se ha colto la citazione. Un tonfo, accompagnato dal vociare dei clienti, è rimbombato nel locale al momento dell’ingresso di un uomo calvo, ben oltre i sessanta e molto agitato.
«Tu!» mi ha apostrofato puntandomi un dito contro.
“Ma chi è sto coglione?” mi sono chiesto.
La sua inopportuna comparsa mi ha distolto dalla Donna della Mia Vita, che ha continuato a darmi le spalle e a bere il suo caffè. Poi ha voltato la testa e mi ha rivolto uno sguardo di biasimo e disappunto.
Ho fallito. È chiaro. La mia unica opportunità di conoscerla è appena andata in pezzi per colpa di uno che non ho mai visto prima.
«Ehi tu, coglione!» mi ha urlato lui.
«È la stessa cosa che ho pensato anch’io» sono riuscito a ribattere. «Solo che quando ti tolgono le parole di bocca non sai più cosa dire».
«Da quella bocca ti tiro via anche i denti» ha proseguito.
Ce l’ha con me. Tutto sta nel capire cosa gli ho fatto.
«Devi stare lontano da mia figlia!»
Quello.
«Chi è tua figlia?»
Poi ho alzato gli occhi.
Lei è sulla porta del bar, visibilmente imbarazzata. Sembra che stia per fare un passo avanti, ma che una forza le impedisca di avanzare.
Da un paio di mesi frequenta la palestra in cui vado anch’io. La prima volta che l’ho vista stava sollevando un bilanciere appoggiato all’altezza delle anche. Aveva indosso la maglietta di “Kill’em all” dei Metallica. Lo ricordo perché mi ero chiesto se fosse già nata quando l’album era uscito.
Settimana dopo settimana ne ho seguito il pellegrinare da un attrezzo all’altro. Davide, il personal trainer, metteva alla prova il suo impegno facendola trottare tutta l’ora, ma lei sembrava contenta di quelle attenzioni. Era resistente come il metallo, anche se in quel momento sembrava più simile a un filo d’erba sbattuto dal vento.
Sono ritornato in me quando mi sono sentito colpire al petto da una forza inaspettata: un pugno mi aveva raggiunto facilmente attraversando le difese abbassate.
Erano anni che non facevo a botte con qualcuno, da quando le prendevo di santa ragione dai bulli della scuola media. Perché, questa volta, sarebbe dovuta andare diversamente? Lui ha qualche anno in più di me, ma molta più determinazione e cattiveria.
«Cosa vuoi?» ho cercato di difendermi a parole.
La Donna della Mia Vita, nel frattempo, è indietreggiata di qualche passo. L’ho persa. Essere coinvolto in una rissa non è il miglior biglietto da visita per uno sconosciuto.
Schiacciato da un’improvvisa tristezza mi disinteresso di ciò che il Coglione mi sta urlando contro, finché non gli sento dire: «Smettila di scrivere porcate su Whatsapp a mia figlia, Paolo, o ti spacco la faccia!»
Due cose, in quella frase, stonano. Non posso averle scritto niente perché non ho il suo numero. Anzi, è una delle poche cose che so delle ragazze di oggi: non devi chiedere il numero di cellulare ma seguirle su Instagram. E io Instagram lo apro una volta al mese.
La seconda è che c’è una sola persona che mi chiama Paolo. È Davide, il tipo della palestra. Ha cominciato un anno fa, quando sono entrato lì per la prima volta. Era convinto che mi chiamassi Paolo e non ho fatto nulla per fargli cambiare idea. Credo che ancora oggi non sappia che lo sto prendendo in giro. In palestra mi faccio sempre gli affari miei e le poche volte in cui parlo con qualcuno evito di presentarmi formalmente. Per tutti sono il Signor Nessuno, ma di sicuro sono Paolo solo per lui.
Se il Coglione pensa che Paolo scriva porcate alla figlia, e che Paolo sia io, non c’è che una spiegazione: lei ha registrato Davide con un altro nome, Paolo per l’appunto, o ancora meglio Paolo Palestra, per distinguerlo dagli altri Paolo che conosce. E se l’ha fatto è perché vuole tenere nascosto qualcosa, magari la cosa più banale di tutte: che vanno a letto assieme.
Davide è atletico e allenato, ma avrà l’età del Coglione. Lei invece è molto giovane. Lui è separato. Lei non credo abbia mai avuto un fidanzato vero. Vanno a letto assieme e lo fanno di nascosto, ma il padre ha scoperto qualcosa. Lei ha scaricato le colpe su Paolo Palestra e il Coglione è venuto a cercarmi. Come mi abbia trovato non lo so, ma è certo che mi vuole riempire di botte e che lo vuol fare proprio il giorno in cui ho incontrato la Donna della Mia Vita.
Il Coglione ha spostato indietro il pugno chiuso e mi sta per colpire. Un grido lo ferma un attimo prima che mi scarichi addosso la sua furia.
Giriamo tutti la testa verso la porta, pietrificati, come se stessimo ascoltando per la prima volta Kill’em all e fossimo stati investiti dal muro di suono su cui si staglia la voce acuta di un James Hetfield poco più che adolescente.
È lei che si è fatta sentire.
Ai miei tempi, quando vivevo al ritmo dell’heavy metal per tutto il giorno, in giro c’erano pochissime ragazze metallare. Chiodo nero, magliette dei gruppi musicali, trucco pesante. Lo stesso di oggi, a ben pensarci, ma in numero infinitamente inferiore. Chissà se anche loro avevano un padre come il Coglione, pronte a difenderle dai pericoli a suon di pugni.
Noi metallari abbiamo smesso il chiodo, i giubbotti pieni di toppe delle nostre band preferite, le catene e le magliette nere. Andiamo in ufficio ogni giorno, cresciamo i figli e paghiamo il mutuo, anche se la colonna sonora è sempre la stessa di trent’anni fa. Ci lamentiamo che le cose non sono più come una volta, quando in birreria vedevamo qualche Vecchio Metallaro appoggiato al bancone con una birra in mano e ci sentivamo ancora più giovani e ribelli di quello che eravamo.
“Adesso siamo noi il Vecchio Metallaro” ho pensato mentre la ragazza si avvicinava al padre.
«Non ci vedremo più» le ho sentito rassicurare l’uomo. Poi l’ha preso per un braccio, trascinandolo verso la porta per uscire di scena assieme a lui, altrettanto velocemente di come erano entrati.
Peccato, peccato davvero. Trent’anni fa avrebbe potuto essere lei la Donna della Mia Vita, anzi, la Donna della Mia Vita, ma poi.
Non ho nemmeno finito di formulare quel pensiero che la Donna della Mia Vita, quella che ho incontrato oggi, mi è passata sui piedi con la sua gonna leopardata. Se ne è andata così, senza voltarsi, senza degnarmi di uno sguardo. Le Donne della Mia Vita, ma poi, sono tutte così: sembrano sempre accompagnate da un effetto dirompente, ma l’esplosione resta confinata nella mia testa. Nel mondo reale non succede niente: la calma rimane calma, l’indifferenza pure. Nessuno si accorge della detonazione, se non io. E poi raccolgo i cocci mentre tutto, al di fuori, si rimette in moto.
«Sicuro di volere quello che ha preso la signora?» ho sentito chiedere alla barista.
Ha il viso rotondo, gli occhi neri e le braccia ricoperte di tatuaggi.
«Meglio di quello che ha preso il tizio che voleva menarmi» ho ribattuto tanto per fare il simpatico.
Lei ha sorriso. Mi piace la luminosità che quel gesto le spande sul volto. Non so se abbiamo qualcosa in comune, ma vale la pena approfondire. Forse, almeno lei, non resterebbe inorridita per il tatuaggio che ho sulla schiena e che unisce una spalla all’altra. C’è scritto “Metallica” con sotto il titolo del loro primo album. Un po’ ingombrante, quando non resta celato agli occhi di chi mi incontra tutti i giorni. Eppure non potrei farne a meno. Senza mi sentirei menomato. Chissà se un giorno la barista me lo vedrà sulla pelle.
«Un caffè intenso» le chiedo. «Come il passato e la vita».
Confondersi è semplice, specie in questo mondo dove mentire sotto mentite spoglie è facile quanto indossare una maglia dei Metallica senza esserne davvero fan. Lo sa bene Andrea Borla che in questo racconto intaglia una piccola commedia degli equivoci in cui passa in rassegna un’esistenza di dubbi e rimpianti, come un vecchio tatuaggio di cui si sente ancora bruciare l’ago sulla pelle.
Andrea Borla
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