Vincenzo Trama - Editoriale

Vincenzo Trama – Editoriale

Fogliacci, ci si arroventa in ‘sto periodo, eh?

E non parlo delle temperature, per carità: che il clima stia impazzendo lo negano soltanto i trogloditi simpatizzanti trumpiani, è un dato di fatto. Il punto è che in questo modo altro che agenda VentiTrenta, ci estinguiamo tutti prima – o forse si salva solo La Pen col suo condizionatore universale per pochi ricconi (e a quel punto please, lasciatemi estinguere per davvero) – .

In realtà si fonde dalla rabbia, ecco il senso anche del tema della rivista: è un mondo in cui persino Ken Shiro si sarebbe rifiutato di lottare, schifato dal genere umano. E che vuoi salvare? Stiamo lì a spalleggiare chi spara su gente inerme ed affamata mentre dall’altra parte si divertono a mandar ultimatum come pantoprazolo dopo l’ultima cena, però all’incontrario: un povero diavolo quello può fare, all’apice della blasfemia. Però magari fosse povero, questo. In Ucraina non ne parliamo: alla guerra lampo già nessuno ci credeva, ma se si pensa che sono tre anni che Putin tiene sotto scacco il mondo cosiddetto civilizzato vien voglia davvero di comprare tutti i condizionatori della Le Pen e accelerare il processo di estinzione di massa.      

Siamo tutti ridotti a icone, miniature da far tacere con un semplice click per far spazio ai reel di chi a questo terra marcia ci sa stare. Colpa nostra di sicuro, che in qualche modo ci ritiriamo – i Linea 77 in esergo direbbero chiusi nel nostro angolo – ma davvero a volte mi sembra (ci sembra?) di essere dei bug in un codice di programmazione scritto da un pazzo con la bava alla bocca (no, Whitman stavolta non c’entra). 

Siamo alterazioni di un algoritmo pensato male e pretendiamo di credere che la nostra visione però un senso ce l’abbia: non strilliamo in stream, non prendiamo a pugni i social, non presenziamo a eventi  in cui ci si baciabbraccia fra amici degli amici, non dinoccoliamo

fra passerelle listate a lutto per un post brutto sulla Scuola Holden – eh sì, Baricco ci starà proprio piangendo sopra – . Siamo occulti, agiamo talmente tanto nell’ombra che a momenti manco ci vediamo noi, ma ci piace così, essere ossimori perché da alternati ad internati è un attimo e noi su questo sottilissimo gioco di equilibrio ci sollazziamo dacché siam nati, sicuri di essere tacciati come ingenui, stolti, fuori moda, fuori contesto, fuori da tutto quello che è il ricco parterre in cui abbiamo scelto di non passeggiare. A noi fa godere vedere Andrea Pauletto che vince il Calvino con una roba dinamite come sarà di sicuro “Crack” e che ha esordito in assoluto con noi con il racconto “Il gioco”, una roba grezza ma cattivissima, che solo noi potevamo pubblicare così, a scatola chiusa (andatevelo a rileggere, se non ci credete, sta ancora là, online, aggratis per tutti). Nessuno ci ricorderà per questo e per altre penne che hanno spurgato livore e rabbia con noi e per noi – crediamo la scrittura sia ancora questo, nonostante tutto – , ma la nostra azione altra continuerà a essere questa con indiscussa e talvolta puerile furia: dare spazio a chi con le unghie e con i denti gratta via il sudicio di una vita lercia, sporca e cattiva, ridando lustro a un bello che vien fuori in modo inaspettato, come una gemma preziosa: un racconto, una poesia, un solo anelito di sé nuovo, intinto di luce, pronto a rischiarare l’oscurità opprimente con cui questo mondo sembra volerci soffocare, coi suoi Grandi della Terra a dirci come dover campare. 

Così, in questo numero, abbiamo un congruo battaglione di alterati che alzano la voce, ancora una volta: lo fanno con approfondimenti, racconti e pezzi a tema, piegando l’inerzia di una quotidianità con una voce altra a cui sentiamo di dover dare spazio: “Dammi spazio” era il titolo di una vecchia antologia del Foglio Letterario che uscì miliardi di anni fa, quando si ragionava per blogspot e gli unici filtri a disposizione erano quelli che si ricavano dai biglietti dei mezzi pubblici. Oggi, che è tutto un piallare e levigare, sbozzando sfondi e coscienze, siamo contenti di leggere che c’è ancora chi crede nella spillatura di un ciclostile, cercando di riprendersi questo spazio con voce sgraziata e per nulla accordata: è quella di chi intona un grido di protesta, allineandosi manco per niente.

E allora alteratevi, Foglietti. Qui trovate un angolo anche voi; non sarà quello più pulito di tutti, né quello più accogliente, ma fidatevi: avrete modo di fare un po’ di casino senza pensare di essere voi quelli sbagliati.

Buona alterazione a tutti.

V.Trama