
Vincenzo Trama – Nuovi sperduti – di Valerio Carbone
Valerio Carbone
Nuovi sperduti
Edizioni Efesto – 188 pagine – Euro 15

Chi sono gli “sperduti” di cui parla Carbone, a partire dal titolo del libro? In cosa si sono persi? E perché sarebbero “nuovi”, alla fine?
Sono domande che mi sono rimaste in capo per tutta la durata del libro. E d’altronde questo è un libro che in fondo proprio sulla domanda si basa, o meglio, sulle domande di base. Chi siamo, noi? Cosa cerchiamo su questa Terra? Cerchiamo davvero qualcosa, poi? O siamo orientati a una costante e continua legittimazione di aspettative nostre, altrui, del mondo intero?
Valerio Carbone, classe 1985, sa di certo il fatto suo. “Nuovi sperduti” non è un’opera prima e si sente. C’è una voce ben decisa, uno stile preciso, un plot narrativo studiato (psss, mi sa che difatti la dichiaratio a inizio libro dell’agente è opinabile: una storia così, non so a chi volesse darlo in pasto l’autore, ma un editore lo trova tranquillamente, come di fatto è stato). Di contro ad una penna che si muove così stabile, sezionando le pagine tra misurati contrappunti introspettivi, sequenze dialogiche serrate e punteggiatura talvolta svagata, obnubilata dall’incedere ritmico della prosa, stanno le storie dei personaggi di questa storia, disperati Vladimir ed Estragon del nostro tempo che non sanno nemmeno loro cosa aspettare: il protagonista Benoit “Benni”, per gli amici “Banana”, aspetta l’Idea, macerandone altre mille dentro. Lanterna e la sua squinternata ghenga di poeti se stessi, persi nei miasmi alcolici di versi solo in apparenza fratelli, ma che intossicano come pezzi bui davanti agli specchi. Melania e Fanny forse l’amore, forse no, Sorcio, Daspo e l’organizzazione il colpo del secolo, riportare quella Gioconda in Italia, a render ragione di un torto francese in realtà mai patito. E in mezzo alle loro storie, che si intrecciano in matasse dentro a una Roma vivida, coloratissima, in cui tutto è velocità e calore, la netta sensazione di trovarci di fronte a tanti bivi che non portano da nessuna parte, in una costante navigazione fuori e dentro di sé. È quel male di scrittura con cui Benni si ostina ad avere a che fare, ma che dopotutto non è altro che un mal di vivere. Ognuno, nel romanzo, lo affronta come può ed è bravo Carbone a farci sguazzare dentro, smarrendoci anche noi. La sua voce è potente e musicale, sembra spesso di trovarsi proprio immersi in un Poetry Slam – che l’autore qui omaggia mostrandocene solo il lato organizzativo, lasciando che la parte poetica risuoni invece nella prosa, in un bel gioco combinatorio – . Ed è nel gioco, nel ludus serissimo della scrittura nuda e cruda, che Carbone dà il meglio di sé: presentandocela nei continui scambi di battute fra Lanterna e Benni, col primo che a raffica mitraglia di Murakami e Bandini il secondo che rimane in precario equilibrio, incerto ancora sul senso del proprio scrivere, del proprio bere, del proprio esistere.
“Nuovi Sperduti” (non) è un omaggio alle nuove generazioni, in cui Roma – e in particolare alcuni suoi quartieri – viene mostrata nella sua fiera e popolana vivacità, dove è facile, se si è sperduti, sentirsi ancora di più a casa propria, alla ricerca di un qualcosa che prima o poi qualcuno ci dirà cos’è.
Leggerlo significa smarrirsi un po’, con solo qualche libro nello zaino e l’idea di un paio di tappe per farsi un paio di bicchieri con gli amici, che poi forse lo sono e forse no. Conta poco anche questo, in fondo, quando si deve appuntare sul taccuino – mai la moleskine! – una vita, la propria, che non se la sente proprio di andare in alcuna direzione.
E la Gioconda, alla fine? Con quel sorriso sornione non sarà proprio lei ad avere capito tutto?
Vincenzo Trama
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