Visione – Gabriele Galloni

Un brivido mi corse lungo la schiena: era il vento del mare e subito lo riconobbi. Lo stesso vento che accompagna le stelle a casa dona refrigerio agli amanti e fa tremare i fili d’erba come tante, piccole fiammelle di candela.

Aspettavo. Che cosa? Forse allora lo avrei saputo dire; adesso, proprio no. Ignoro per mancanza di altre scelte.

Girovagavo sulla collina fra il quartiere Trullo e Montecucco. La Collina di settembre, come viene chiamata da queste parti. E settembre non era lontano, così come non era lontano il mare: una lama d’argento sotto le prime stelle. Così come non era lontano il cielo, denso di onde cariche di schiuma. 

La luna vegliava i miei pensieri.

Era una sera di luna nuova, bianchissima: la luna che, secondo le leggende, ha il compito di riportare a casa coloro che smarriscono la propria via, i dispersi del cielo e del mare. Una luna gelida e immobile come una vecchia fontana di marmo, deposta lì, nel buio, da chissà quale anima, in chissà quale tempo. Piccoli puntini di un azzurro chiaro, più tendente all’oro che al colore della Vergine, puntellavano il manto del cielo: le stelle, le santissime concubine di madre Luna.

Intorno a me il silenzio. Giù, via Ventimiglia era completamente deserta, ogni tanto un fruscio di risate, un gridolino timido di piacere, un leggero tremolio di foglie moribonde.

Le finestre delle case popolari, enormi occhi lucidi, fissavano l’ombra e la luce dei lampioni con l’immenso stupore di chi ancora non conosce la vita, il sogno, la notte. Lo stupore di chi scambia lacrime per fantasmi, lucciole per lanterne, saluti per tradimenti.

Un brivido mi corse lungo la schiena. Un altro, sì. E un altro ancora. Era sempre lo stesso, ma ripetuto più volte. Il vento del mare? Oh, no: non più. I sentieri dell’autunno che fiorivano, gonfi di pioggia e di nubi? Il cielo. Erano forse gli spiritelli del buio che, vedendo un’anima straniera fra loro, subito si apprestavano a spaventarla?

E il cielo, immobile, eterno, guardava sorridendo la mia attesa.

Finalmente i miei brividi cessarono lasciando il posto a una sensazione di abbandono: Priapo che insegue Dafne nelle foreste arcadiche.

I muscoli allentarono la loro presa sull’anima, l’eterna preda; il cuore liberò il respiro dalla sua morsa. E il respiro, il respiro…

Mi sdraiai sull’erba umida di rugiada, con la luna proprio sopra, davanti ai miei occhi.

C’erano le case popolari, riflesse nelle pianure celesti, simili a tanti blocchi d’argilla tumefatta; c’era via Ventimiglia che più non era via Ventimiglia, ma un piccolo sentiero disperso nella notte, illuminato da minuscoli lampioncini di vetro. C’era Fiumicino, il lungomare, l’autostrada: tutto riflesso in una pozza d’acqua argentea, livida. C’erano le stradine di campagna, costeggiate da campi di grano umidi di pioggia. C’era la collina, simile a un seno reciso di vergine e ricoperto d’erbaccia come una vecchia tomba.

E c’ero io: con gli occhi mezzo chiusi dal sonno e il respiro affannato. 

Gabriele Galloni

Gabriele Galloni (1995 – 2020) è un giovane poeta romano scomparso prematuramente che ho scoperto con il compiuto e felicemente risolto L’estate del mondo (Marco Saya, 2019), pubblicato nella collana diretta da Antonio Bux (Sottotraccia numero 11), un altro poeta interessante. Galloni debutta con Slittamenti (2017), introdotto da Antonio Veneziani, seguito da In che luce cadranno (2018) e Creatura breve (2018), concludendo l’impegno poetico con il postumo La luna sulle case popolari (2021). Sulla riva dei corpi e delle anime è la raccolta definitiva, edita da Crocetti, introdotta da una forbita nota critica di Alessandro Mascè, una selezione accurata di testi tratti dai precedenti lavori. Galloni è poeta dai toni crepuscolari, dotato di uno stile epigrammatico che ricorda il miglior Sandro Penna e di un verso scarno ma rigoroso per metrica e musicalità. L’estate del mondo è il suo lavoro più maturo – come scrive Antonio Bux – per la felice fusione tra elegia e canto piano, con l’estate che diventa simbolo della vanità del tutto, mentre in primo piano stanno la caducità delle cose, del tempo, della vita, del mondo stesso. Galloni ci fa partecipi senza distacco di tante emozioni, comunica al lettore i sogni perduti, un modo lirico di vivere una vita fragile e incerta. Le composizioni sono molto brevi, di facile comprensione, portano in un paesaggio marino alla periferia di Roma, molto pasoliniano, inducono a pensare al senso di una caduca esistenza tra luna, cielo e scheletrici pini marittimi. Una passeggiata sulla spiaggia, come un rapido susseguirsi di giorni che sfuggono di mano. Adesso viene data alle stampa una nuova opera postuma del poeta composta da brevi prose – Luna di carne – tutte dal sapore eminentemente poetico e descrittivo, dove incontriamo il mondo piccolo e periferico di Galloni.
Gabriele, poeta, anima sensibile volta via senza gridare, ci ha lasciato tante piccole, grandi gemme a cui attingere in momenti di aridità come questo. In Visione è radicato il senso di un vagabondare assorto e malinconico, in cui lo sguardo si perde oltre l’orizzonte della città, in un’ ode alla natura, umana e non, che nasconde solo in parte il timore di una deriva a cui si giunge senza neanche accorgeresene: quasi il presente stesse bussando ora alla nostra porta.