Sergio Calzone - Storiacce editoriali - LA FONDAZIONE DI UNA CASA EDITRICE ovvero L’importante è avere i fondamentali

Sergio Calzone – Storiacce editoriali – LA FONDAZIONE DI UNA CASA EDITRICE ovvero L’importante è avere i fondamentali

Quando gli osservatori di una squadra di calcio di serie A ricevono dai loro collaboratori la segnalazione di un ragazzino che pare talentuoso, si recano dove quello gioca di solito e si accertano, innanzi tutto, che abbia “i fondamentali”. Quando una stella del calcio viene acquistata con pacchi di milioni di euro da un’altra squadra, la si fa esibire in palleggi davanti ai tifosi, per eccitarne la fantasia, mostrando loro come abbia, eccome!, “i fondamentali”.

Pare quindi scontato che a colui il quale voglia fondare una propria casa editrice si possa ragionevolmente chiedere che possieda anche lui “i fondamentali”. Nel caso, sarebbero ovviamente diversi dal saper addomesticare un pallone: ci si aspetta che 1. Abbia addomesticato la lingua italiana; 2. Abbia letto quei 5-600 buoni libri che costituiscono la dote minima di chiunque voglia (autore, editore, valutatore, editor eccetera) produrre libri; 3. Conosca i rudimenti del mestiere, n’est-ce pas?

Chi scrive è stato testimone di alcune di queste “fondazioni” (notare come “fondare” significhi “creare fondamenta” e, dunque, in senso traslato, “avere i fondamentali”…) e mi accingo a rubare una frazione del vostro tempo per descrivere una di esse. E nessuna creda che stia inventando: come direbbe Guccini, “ho fatto anche questo; ho fatto anche questo”.

Dunque, A. ha deciso di fare l’editore. Qualche malnato gli ha suggerito di mettersi in contatto proprio con me, per avere consiglio, aiuto, collaborazione, solidarietà e chi sa che cos’altro. Io, incauto come sempre, ho accettato. Come biglietto da visita, ho ricevuto da A. questa mail: “Caro Sergio, mi dispiace chiederti di dedicarmi un pò di tempo, ma, come sentirai, se saresti interessato, credo che c’è da guadagnare in un campo in cui ce nè per tutti. Dimmi soltanto qual’è il luogo che ti e più comodo e li ci vedremo. A.”

Al tempo: ho riportato il testo della mail così come mi è arrivato e, dunque, non sono io colui che predica bene e razzola male! Colui scrive proprio così! Sì, scrive proprio così… Mi reco ugualmente all’appuntamento (forse ho una tara che mi spinge all’autolesionismo) e incontro un signore più giovane di me (ci vuol poco) che si presenta decorosamente. Va bene. Si inizia a parlare…

«Dunque, mi dicono che lei sia interessato ad aprire una casa editrice…»

«Diamoci del tu!» (Sono il più vecchio dei due ma ha deciso lui fin dalla mail…)

«Va bene. Mi dicono che tu sia interessato ad aprire una casa editrice…»

«Sì. Ho un lavoro che m’impegna ma vorrei crearmi un piano B, per non fare il lavoro attuale per tutta la vita».

«Capisco. Ma, per smettere di fare quel lavoro, non penserai, vero?, di vivere con i proventi della casa editrice…»

«E perché no?»

«Perché una piccola casa editrice non dà da vivere! È già tanto se chiude in pareggio».

«Ma no… tu parli da letterato. Siete così voi, letterati: occorre, si capisce, avere un taglio più manageriale!»

«Cioè?»

«Cioè avere ben chiaro come porsi davanti ai clienti!»

«Quali clienti? Devo aver capito male: vuoi, in realtà, aprire una libreria; dico bene?»

«Ma che libreria! Una casa editrice!»

«Ok. Ma, allora, chi sarebbero questi “clienti”?»

«Quelli che scrivono, no?»

«Gli autori? Quelli non sono clienti: sono autori…»

«Sono i clienti di una casa editrice. Chi paga è un cliente, no? Be’, loro pagano e sono clienti: giusto?»

«Io credevo che fossero la linfa della casa editrice…»

«Ma pensa un po’!» [forse dovrei scrivere “pensa un pò”: persino il computer si rifiuta di mettere l’accento e devo costringerlo!] «Devono esserci grati di averli pubblicati».

«”Esserci”? A noi due?»

«Sì, a noi due: perché ti voglio della partita!»

«Be’, questo, lo vediamo poi. Per ora, dimmi: che esperienza hai di editoria?»

«Per quella, ci sei tu!»

«Questo, lo vediamo poi… In ogni caso, è necessario che tu conosca almeno qualche termine tecnico, dico bene? Non fosse altro che per capirti con l’impaginatore o con la tipografia. Per esempio, che cos’è un colophon?»

«…»

«Un foglio di guardia?»

«…»

«L’ISBN?»

«…»

«Un frontespizio!»

«…»

«Va bene. Allora, come la vuoi impostare? Free? Mista? A pagamento?»

«A pagamento sarebbe l’ideale!»

«Sì, certo, lo capisco, ma forse sai almeno che, oggi come oggi, non è ben visto un editore a pagamento…»

«E perché?»

«Perché un autore si aspetta che tu investa: non di dover investire lui! Poi, ci sono autori che esagerano, chiedendo l’impossibile, ma, in sostanza, è così che funziona».

«Ma io avrei dei costi!»

«Eh, certo, che li avresti. Ma, se il libro vende, un po’ ti ritornano, no?»

«E se non mi ritornano?»

«Se non ti ritornano, ci rimetti! Càpita. Per questo ti ho detto che, con la piccola editoria, non ci puoi vivere. Devi avere un qualche lavoro che ti sostenga e, poi, ritagliarti il tempo per fare anche l’editore…»

«Palle! Fatto nel modo giusto, ci si può guadagnare, e anche bene!»

«E i diritti d’autore?»

«Eh, i diritti… Si promettono, si capisce. Poi, si vede…»

«Si vede che cosa?»

«Si vede se, dopo un po’ di tempo, se ne ricordano…»

«Se ne ricordano, se ne ricordano eccome! Ma, se no?»

«Se no, niente. Non capisco perché dovrei pagarli: gli faccio già un favore a pubblicarlo, il libro!»

«Sì, può darsi. Però, senza di me…»

«Come sarebbe?»

«Sarebbe che ce ne sono già troppi, di editori come te. E, da giovane, ci sono pure cascato, nell’editoria a pagamento. Sai che cosa ne ho ricavato? Che, se avessi dato loro la lista della spesa, avrebbero pubblicato pure quella, perché, intanto, pagavo io… Buona fortuna. Anzi, se devo dirti proprio la verità: cattiva fortuna!».

Sergio Calzone