Editoriale – dicembre 2022
Car* tutt*,
abbiamo voluto impestarci nuovamente in una strada impervia, da canaglie quali siamo.
Non ci bastano i virus, le crisi finanziarie, i dittatori che giocano a Risiko, la democrazia che ci sbeffeggia, le ONG che sono peggio dei pirati della Malesia, oh no. Osiamo pure continuare; insistere a pubblicare e a fare macello promuovendo e distribuendo brogliacci malvagi che inoculano quella robaccia brutta che si chiama cultura.
Vogliamo – o meglio vorremmo, visto che oggi come oggi l’ipotetico sembra essere roba da fighetta, tutti celoduristi con l’imperativo categorico che Kant mollami – dicevo vorremmo essere noi l’errore di sistema di cui si parla nella nostra rivista. Vorremmo crasharvi un po’ le vostre sinapsi carveriane, facendo germogliare in voi almeno il dubbio che esista altro un po’ ovunque, magari pure più bello ma solo meno inflazionato dal contornino giornalistico di turno.
Lo so, lo sappiamo, è difficile; chi ce lo fa fare di discernere con spirito critico quando tanto tutti parlano di quella cosa là che leggono tutti quanti quelli lì? Che poi magari agli happening culturali dobbiamo pure fingere di aver letto quel capolavoro là, altrimenti passiamo per bellicosi sanculotti che non ce l’hanno fatta e quindi sputiamo nel piattino dell’aperitivo più figo del mondo – ma tanto a noi la pizzetta ustionata da un lato e cruda dall’altro fa schifo lo stesso, tiè –
Per cui: sì, dovevamo rimanere nell’angolino e di pubblicare la rivista trimestrale non se ne parlava più. Sì, avevamo l’acqua alla gola fra defezioni dell’ultimo, bollette da pagare e tempo libero smitragliato. Sì, piuttosto me ne stavo a guardare il muro gocciolare umido che la pila dei libri si accumula e c’ho voglia solo di leggere quello che altri non leggono – o non leggono più –
Però volete mettere il gusto di rompere le scatole per un tot?
E allora eccoci! Più sistematici di qualsiasi bug nel vostro applicativo preferito torniamo a rovinarvi le vacanze natalizie, visto che a giorni si festeggia pure il ritorno del lappone più rosso del pianeta, lui sì che può! (essere rosso o lappone, a voi la scelta in questi tempi d’oscurantismo nero che più nero non si puote).
Torna quindi la rubrica di Patrizia Raveggi, fresca di traduzione per Ronzani che illustra, con la consueta prosa mai doma, come di errore di sistema si possa parlare intrecciando Leopardi e quell’infimo del Covid. Torna pure Mirko Tondi, con le sue lezioni di scrittura nella rubrica Brandelli di uno scrittore precario, che a ben ricordarvi è diventato nel frattanto pure libro nella collana LIBRIDA, costola semimarcia della vostra rivistaccia del cuore (e a proposito, mica vi siete lasciati scappare la nostra seconda uscita, Nonostante Bruxelles di Alessandro Bresolin, vero?). C’è anche Alessio Santacroce e il suo Bending, come pure le tavole del sempre più volatile – giacchè accademico – Ferrux; e figurarsi se non c’era spazio per il nostro editore, Gordiano Lupi, che fra recensioni, cinema, poesia e traduzioni trova anche il tempo per mandare in ristampa con Rusconi il suo Serial killer italiani, uno dei suoi lavori più noti sul mercato.
E i racconti, poi.
Grazie, perché ogni volta ci mettete in difficoltà, costringendoci a scelte dolorose. Grazie perché c’è qualche affezionato che ci scrive sempre, anche solo per dirci che ci legge. E magari allega qualcosa, un abbozzo di racconto a cui non facciamo in tempo a rispondere, per cui lo facciamo qui. Grazie a qualche amico che risponde presente, perché ci piace leggere che gli passa per la mente in tremilaseicento battute che secondo noi gli calzano a pennello.
E insomma poi basta che va bene che è Natale ma a noi di essere stucchevoli non ci riesce nemmeno col torrone fra i denti. Mi limito solo a darvi notizia del fatto che, proprio perché di errore di sistema si parla, abbiamo provato a giocare anche noi con un po’ di tecnologia spiccia; nulla di che, Matrix lo lasciamo a chi spippola programmazione e cereali col sole del primo mattino, però ci siamo lasciati ingolosire. Qua e là, nella rivista, troverete un po’ di QR code che rimanderanno a qualche contenuto digitale extra, proprio per vedere l’effetto che fa. E se poi vi ritroverete Cicciolina anziché un verso di Rimbaud, oh, sti cazzi: non l’abbiamo fatto apposta – o forse sì – che dopotutto saremmo così pure in tema noi.
Giunti alle righe conclusive vi lascio giustappunto un QR code con un gruppazzo metalloso che già nei primi anni ‘90 preconizzava l’avvento dell’era digitale, riconoscendo nei bit sempre più ipertrofici l’idea in nuce di una tecnologia capace in tempi rapidissimi di fagocitare idee, sensazioni e sentimenti. Si tratta dei Fear Factory, che alla faccia di chi bolla il metal come roba grezza avevano visto lungo gorgogliando di un mondo sempre più a misura di emoji che di emozioni.
Seguite le novità della Casa Editrice e i suoi eventi su FB e in giro, dato che finalmente riusciamo a esserci fisicamente un po’ ovunque, ora. Noi ci si vede per i dintorni di marzo, comunque. Online e dal vivo, ovviamente. Errori di sistema permettendo.
Vincenzo Trama
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