Emilia Pietropaolo - Suture - di Jessica Servidio

Emilia Pietropaolo – Suture – di Jessica Servidio

Jessica Servidio

Suture

Nolica Edizioni – 158 pagine – Euro 14

Link diretto al libro

Perfetta nel subire come tortura ogni carezza che minaccia la corazza

Immagine che contiene schizzo, testo, disegno, Line art

Descrizione generata automaticamente

Suture è uno strappo, sul morire

Dall’inizio alla fine il libro naviga tra prosa e poesia, è uno squarcio nel cuore, è strappo. È come una ferita aperta che aspetta di essere ricucita, è ricomposizione. 

La donna cammina sicura, veloce. Dai passanti si lascia sfiorare, senza farsi afferrare. Ha il volto di sua madre stampato, sul viso quando si sente pregna di affetto, perché è li che si avverte grottesca. Non sa farsi accarrezzare.

Quella che dovrebbe essere la protagonista, non ha un nome, come se il suo nome non fosse importante. I nomi ce li hanno gli altri, gli uomini, quelli che la mordono in una stretta di possesso. Nathan. Erick. 

Assistiamo alla lenta morte di un corpo, un corpo invaso, sfinito in unico movimento di dentro e fuori, ma lei è fuori da sé, guarda altrove. Si abitua all’assenza dell’uomo amato che l’ha abbandonata. 

È l’assenza di una madre, di un figlio perso ingoiando una pillola, è l’aborto che non tace, che parla della sua conseguenza. 

Bambina chiede perdono e prega sulle lenzuola bianche, la preghiera silenziosa. Madre, abbracciami: il calore arriva con ago e filo, sutura, ricuci, ricomponi lo strappo. Lo strappo fa male, scortica la pelle, esce sangue. La prosa si arma di parole taglienti, che man mano si legge diventano angosciose. L’amore diventa una ricomposizione di un oggetto, di un corpo perduto nell’abisso dell’infanzia. Gli uomini diventano il filo, della paura di ritrovarsi -in piedi-, perché in piedi, tutto finisce. 

È un -serbatoio di vergogna- quando subisce violenza, ha -pena del proprio sporco-, cos’è la sporcizia se non un corpo che non senti più tuo. 

Riappropriarsi del corpo, è decidere, di uccidere ingoiando una pillola, è capire come relazionarsi con gli altri. Accettare la carezza dell’altro. 

Ed ora che te ne sei andato-

nel mio corpo, se lo sfioro, lo percepisco. Le sue funzioni continuano a svolgersi senza permesso.

Respiro.

Continuo a respirare.

È una cava nera che mi scava, sulla calda fossa, sulla conca vuota. Nelle vene, il sangue è la sua benzina. Vorrei strapparmela di dosso e mi strappo io, vorrei urlarti contro e mi contorco. 

Jessica Servidio, usa la sua professione di psicologa clinica e la narrazione in prima persona per farci avvicinare in questo scritto di prosa e poesia, usa verbi che fanno male come ricomporre, scavare, respirare. È questo che si tratta di -scrivere per non morire-, scavare e raccontare, è capire come arrivare alla fine del nostro Io. Ricomporre i pezzi. La scrittura è l’unico mezzo come andare in terapia per ricomporre quel buco che si è rotto come uno strappo. La terapia, in queste pagine piene di lirismo, un lirismo infuocato che dice e non omette nulla, diventa transfert, amore. Si cerca l’amore in corpi e legami che non hanno quel sentore dell’amore. 

È gioia e tormento, sei nello strappo che ricuce, piaga da cui si diffonde il calore. 

Ogni titolo dice qualcosa, i dialoghi diventano ricordi, flashback, che vorresti farli mutare in ricordi fugaci e non onnipresenti come incubi. Dagli incubi si scappa, si corre. Non si attende la morte. Dall’inizio è quello che stiamo aspettando: la morte. Ma la morte diventa scrittura, Io, scavo nell’anima, strappandosi la pelle, accettando di -perdere peso-. Come si cancella un corpo?. 

Un corpo si autocancella quando diventa annichilimento e piuma. 

Ogni trauma è la consapevolezza che sarà senza scampo e l’insulto di carne, che ogni parola si ritrova impotente a colmare.

La morte diventa una malattia, diventa vomito, si arriva alla fine. Quell’inesorabile fine non la vediamo. 

Jessica Servidio, psicologa clinica, classe 1994, esordisce con questo primo romanzo Suture (Nolica Edizioni) che potrebbe essere un romanzo diaristico, invece, naviga nella prosa e poesia, sentiamo il tono della voce con l’uso della prima persona. Tutto il libro è rinchiuso in una conca, in un involucro che diventa un oggetto morto, che sembra di non avere la possibilità di uscita: si soffoca. Sembra di sentire quelle poesie oscure e misteriose della Emily Dickinson che la giovane scrittrice ama. 

Non è adatto alle persone che stanno in quella dimensione già sofferente, a chi ha -Cuore: un grumo di dolore-  È adatto però a chi come me, ama addentrarsi nella sfera della sofferenza, nella fragilità umana e nei corpi persi che aspettano di essere ricuciti. 

Emilia Pietropaolo