Fabio Marangoni - Le tombe dei resuscitati ciechi

Fabio Marangoni – Le tombe dei resuscitati ciechi

Prendi una dozzina di zombi romeriani, essicali ben bene al sole iberico fino a scarnificarli, vestili con un saio lercio e fanne provetti cavallerizzi, aggiungi un paio di belle chicas e un rudere gotico ed ecco servito un cult dell’ horror seventies che ha fatto il giro del mondo.

Sto parlando de “La noche del terror ciego” (La notte del terrore cieco, 1971) meglio noto da noi col titolo italiano Le tombe dei resuscitati ciechi”, primo capitolo di una saga di ben quattro pellicole girate a distanza di pochi anni diventate il ciclo dei “templari ciechi” – all’estero noti come “blindman” – che comprende oltre a questo: “La cavalcata dei resuscitati ciechi” (El ataque de los muertos sin ojos, 1973), “La nave maledetta” (El buque maldito, 1974) e “La notte dei resuscitati ciechi” (La noche de las gaviotas o all’estero “Terror beach”, 1975).

La trama

In una ridente località balneare si incontrano dopo tanti anni a bordo piscina due vecchie compagne di scuola, Betty e Virginia; la prima è single e ha un laboratorio di manichini, la seconda è in compagnia del fidanzato Roger. Da subito si capisce che c’è più di una semplice amicizia tra le due, così dopo i convenevoli Betty viene invitata a unirsi a loro per una gita il giorno successivo. Sul treno Roger esagera con l’amica, e Virginia, offesa dopo averli colti sul fatto, salta giù dal treno in corsa.

I due ragazzi si accorgono tardi della fuga, il vecchio treno non si ferma e la vedono allontanarsi nella campagna.

L’ indomani Roger e Betty vanno a cercarla, chiedono informazioni sulla zona ma la gente sembra restìa a parlare per via di antiche dicerie su una leggenda legata ai cavalieri templari, i quali rinnegarono la loro fede per abbracciare il Male in cambio della vita eterna.

Vagando qua e là scoprono un borgo abbandonato con annessa chiesa diroccata e uno strano cimitero con croci e iscrizioni risalenti ai templari, ma nessuna traccia di Virginia: ad attenderli c’è la polizia che li bersaglia di domande. Non solo l’ trovata, ma hanno anche dei sospetti ben precisi, niente a che vedere con templari redivivi, bensì criminali in carne e ossa della zona.

E qui mi fermo.

Sono già andato ben oltre quello che è il mio limite fissato anti-spoiler, evitate in questo caso “wikipedia” dove l’unica cosa riportata è la trama nei minimi dettagli, compreso il finale.

Amando De Ossorio (1918-2001), talvolta scritto erroneamente “Armando”, è, insieme al conterraneo e molto più prolifico Jesus Franco, tra i registi spagnoli più conosciuti al mondo; ed è colui, tra i professionisti di b-movie dell’orrore, ad aver caratterizzato il decennio dei Settanta per aver inventato la saga dei resuscitati ciechi, quattro film caratterizzati dalle gesta di questi cavalieri templari zombi, anche se a ben vedere non sono tali.

Infatti, se dopo il successo crescente ottenuto dal famoso “La notte dei morti viventi” diretto da George Romero nel 1968, anno cruciale non solo per il cinema, è stato un proliferare di film con morti viventi su un canovaccio che è sempre uguale a se stesso, De Ossorio preferisce attingere alla storia e alle leggende locali. Nella sua saga non ci sono orde di cadaveri resuscitati da misteriose radiazioni o virus affamati di carne, ma un gruppo di cavalieri templari che hanno abbracciato il Male i quali, da morti come da vivi, ritornano per succhiare il sangue alle loro vittime – come dei vampiri –, non le divorano e non cercano cervella, sanno andare a cavallo e maneggiare una spada. Mantengono dello zombi solo l’aspetto e le lente movenze compensate però da un udito finissimo che consente loro di orientarsi – in quanto resi ciechi per punizione e poi giustiziati – e individuare i malcapitati.

La sceneggiatura non ha punti… morti, è piuttosto agile nel susseguirsi dei fatti, magari alcuni prevedibili per i più scafati, ma non ci si annoia. I momenti migliori, iconografici, sono il risveglio dei cavalieri dalle tombe, le croci avvolte dalle nebbie, i sepolcri dentro il rudere di una chiesa gotica con il rintocco delle campane e poi l’uscita al galoppo – rigorosamente al rallenty – nella notte, accompagnati da una litania sacra composta da Anton Garcia Abril.

De Ossorio inserisce anche un paio di flashback: nel primo si fa audace mostrando alcuni momenti di intimità tra le due amiche e il loro primo avvicinamento lesbo, molto velato, mentre nel secondo mostra il più atteso dagli amanti dello slasher puro e crudo, ossia la cerimonia in cui i templari stringono il patto col Maligno offrendogli una vergine legata a una croce non prima di averla colpita con stilettate di spada a cavallo!

Ben realizzato – e non passa inosservato ai voyeur – la sequenza dello svestimento di Virginia (Maria Elena Arpon) sola nella casa abbandonata dove si prepara a passare la notte mentre all’esterno i templari escono dai sepolcri. Le sue natiche fanno capolino nascoste dalle fiamme del caminetto che si frappongono tra queste e l’obiettivo.

Non risparmia nemmeno una citazione nel momento in cui la giovane Nina, aiutante di Betty, riceve una spiacevole visita al laboratorio di manichini: qui, tra una fila di fantocci, teste e corpi artificiali e una luce intermittente rossa, è facile pensare a Mario Bava e al suo “Sei donne per l’assassino” ambientato proprio in un atelier di moda con numerosi mannequins. Certo la fotografia non è la stessa perché i mezzi sono tecnicamente inferiori e lo si nota soprattutto nel momento della combustione della creatura tornata per uccidere Nina, però è quanto di più ambizioso stilisticamente De Ossorio possa osare; per il resto la sua regia è priva di virtuosismi autoriali, ma diretta ed essenziale alla storia.

Nel finale – senza anticiparlo, non sia mai – ritornano elementi presenti nella prima parte: all’inizio il film si apre con una mano scheletrica e l’urlo di una donna, tenetelo a mente, e così si chiudono gli ultimi minuti di pellicola che gli sono costati qualche problema di censura. Scene che peraltro mi hanno ricordato analoghi istanti apocalittici presenti in “Zombi 2” di Lucio Fulci, quando i morti viventi attraversano il ponte di Brooklyn.

Dulcis in fundo, la domanda che attanaglia chi è arrivato in fondo a questo excursus iberico: come faccio a vederlo, esiste il dvd?

Risposta: no, in italiano questo primo capitolo della serie dei resuscitati ciechi non è stato ancora editato – io l’ho visto in streaming, tra l’altro in una versione più integrale di altre in quanto il doppiaggio presentava alcune parti in lingua originale – mentre i successivi tre film sono stati distribuiti qualche anno fa dalla Mosaico Media, nelle edicole persino, dove anch’ io li ho acquistati.

La qualità audio/video di questi dvd è altalenante, non ci sono “contenuti extra” ma il prezzo è molto contenuto, si trovano anche usati con minimo sforzo.

Se invece preferite un prodotto qualitativamente più curato esistono edizioni import con tanto di cofanetto deluxe.

Se gli zombi romeriani hanno origini caraibiche dalla tradizione voodoo – e dico “se”, perché non è così – De Ossorio ha intelligentemente cavalcato l’onda del ’68 zombesco per adattarlo alla storia europea, più ricca di folclore e tradizione, ma anche di scenari diversi – non ci sono ruderi gotici in Pennsylvania – creando una figura iconica che stranamente in un’epoca di remake, prequel e sequel a tutti i costi, nessuno ha ancora… resuscitato.

Noodles, cos’hai fatto in tutti questi anni?”

Sono andato a letto presto.”

C’era una volta in America.

Fabio Marangoni