Fabio Marangoni - "Ultracorpi. L'invasione continua" di Abel Ferrara (1993)

Fabio Marangoni – “Ultracorpi. L’invasione continua” di Abel Ferrara (1993)

Immagina… che qualcuno si sia impadronito del tuo corpo”

(frase promozionale)

Succede mentre dormi…”

Che cosa?”

Che muori”

Dialogo tra Marty e il fratellino.

Marty ha diciassette anni, suo padre ha una nuova compagna e insieme stanno viaggiando per raggiungere Fort Daly, un ameno paesino dove c’ è una base militare in cui il padre, biologo, deve compiere delle analisi per conto dell’esercito.

Tutto sembra scorrere tranquillamente ma qualcosa trapela sotto la facciata della normalità: un ufficiale medico emotivamente turbato lascia presagire un imminente pericolo, mentre una fuga di sostanze chimiche da un deposito mette in agitazione il personale. Senza contare che il comportamento di alcuni abitanti nei confronti dei nuovi vicini si rivela piuttosto ostile…

Quanti hanno letto finora le mie recensioni sui generis apparse in questo spazio web e la premessa che feci in occasione della prima per presentare questa rubrica, forse si stupiranno di un titolo che rispetto a quelli precedenti è in apparenza più noto, che identifica una saga,quella degli “ultracorpi”, conosciuta al grande pubblico fin dall’esordio cinematografico nel 1956 a firma di Don Siegel. Ma anche stavolta la mia attenzione è a latere:il focus è su un capitolo, “Ultracorpi – L’invasione continua” (1993) diAbel Ferrara, remake come si dice oggi, dai più bistrattato perché uscito nel ’93, fuori “tempo massimo” (uscì al cinema solo nel Regno Unito e poi finì in home-video, nonostante la prestigiosa produzione della Warner Bros facesse sperare in una vita più lunga sul grande schermo). Terzo film basato sul romanzo di Jack Finney (“The Body Snatchers”, in Italia pubblicato per la prima volta da Urania come “Gli invasati”), porta la firma di un importante autore di cinema mondiale, uno che va stretto a Hollywood:Abel Ferrara, per l’appunto, più noto per altri titoli. Tutto questo fa di “Ultracorpi – L’invasione continua” un titolo interessante ai miei occhi.

La versione del classico di fantascienza diretta da Ferrara e scritta insieme a Larry Cohen (recentemente scomparso) è scindibile stilisticamente in due parti:nella prima il regista, classe ’51, figlio di immigrati italiani (il nonno era di Sarno, della provincia di Salerno) mette la solita cura formale nelle luci che si muovono magistralmente tra crepuscoli e tenebre e nelle inquadrature mai banali, in più tratteggia bene i personaggi protagonisti e i comprimari, iniziando a seminare e a ripescare dallo stagno della coscienza quelle paure (o bozzoli alieni) che circondano la base militare, vero topos del male in tanti film di genere fantascientifico e horror:la segretezza, l’ordine e la disciplina – e qui c’è una sottotraccia sociale sui pericoli dell’autoritarismo – nascondono un progetto di sostituzione degli esseri umani con cloni identici, almeno fisicamente, ma burattini nella mani di una coscienza sola, superiore, che mira a sostituirsi all’intera specie umana.

E per esplicitare questa seconda parte, la più orrorifica della pellicola, prendono parte alla sceneggiatura due specialisti come Dennis Paoli e Stuart Gordon (Re-Animator, From Beyond – Terrore dall’ignoto, Dagon) oltre al fidato Nicholas St. John, i quali mostrano la loro passione per la letteratura lovecraftiana in una delle scene migliori,ossia quando la giovane (l’attrice britannica Gabrielle Anwar) si immerge nella vasca per un bagno rilassante:la telecamera sale al piano superiore, nel solaio, dove ci mostra uno dei bozzoli alieni intento a figliare sottilissimi fili tentacolari i quali scendono di sotto, percorrono piastrelle e pavimento per immergersi nell’acqua fino a infilarsi nei principali orifizi dando inizio al processo di assorbimento per ricreare la copia dentro l’incubatrice extraterrestre… Ci riusciranno? 

La vasca da bagno sta al genere horror come la doccia nella commedia sexy all’italiana: è il luogo dell’abbandono, dell’attimo di tregua prima di tornare a difendersi – o morire –,dove la protagonista è a nudo (in tutti i sensi) e dove la minaccia spunta all’improvviso, come succede in “Nightmare” col famoso guanto di Freddy Krueger, ma anche in pellicole simili, del genere parassiti e affini perchè l’elemento acqua si sposa con la mobilità di vermi e vari esseri striscianti in una metafora sessuale non casuale. Scene analoghe sono presenti in “Squirm – I carnivori venuti dalla savana” (1976) di Jeff Lieberman, “Slugs – Vortice d’orrore” (1988) di J.P. Simon e “Slither – Una fame da paura” (2006) di James Gunn, dove tra splatter e ironia la trama comprende nientemeno che l’arrivo di un meteorite contenente guardacaso dei parassiti…

Se la filmografia di Abel Ferrara è identificata con “film che narrano storie di religione, redenzione, peccato, tradimento e violenza e sono ambientati in metropoli notturne e infernali”(fonte wikipedia) per “Ultracorpi” abbandona questo stilema per avvicinarsi di più visivamente alla versione di Kaufman di “Terrore dallo spazio profondo”, senza rinunciare agli elementi tipici del genere horror anche citandoli. Un omaggio è proprio al film del 1978 nominato poc’anzi, ossia il gesto di puntare l’indice verso il “diverso” – in questo caso l’essere umano non ancora sostituito – e lanciare quell’urlo acuto che richiama frotte di altri esseri pronti a dargli la caccia, gesto iconico che qui viene compiuto dalla moglie del protagonista e poi dall’amica di Marty, mentre in quello di Kaufman da un magistrale Donald Sutherland.

Altri ammiccamenti si trovano nei nomi: a un certo punto,durante le fasi finali della sostituzione uomini-ultracorpi, i soldati passano in rassegna le camerate in piena notte, convincendo i non “sostituiti” a dormire, con le buone o le cattive, e uno di questi viene apostrofato con “Finney”, che come già detto è l’autore del romanzo.

Allerta spoiler, cinque, quattro, tre, due, uno… Ok, il finale è romeriano: impossibile non vederci la medesima fuga in elicottero di “Zombi”, nel nostro caso più movimentata e drammatica, ma se nel film di George Romero l’elicottero si staglia all’orizzonte lasciando una vaga speranza, Ferrara continua a girare, finché dopo tanto vagare i due decidono di atterrare, chiedono l’autorizzazzione alla torre di controllo e una voce fredda risponde. Sotto,la pista è deserta… e ci torna in mente l’ammonizione di Carol, la moglie del biologo ormai trasformata:

Dove vorresti andare? Dove vorresti scappare? Dove vorresti nasconderti? In nessun posto. Di quelli come te non ne è rimasto nessuno.”

A distanza di oltre venticinque anni dall’uscita, oltre un quarto di secolo, “Ultracorpi – L’invasione continua” merita una riscoperta, quell’attenzione che non ha avuto al momento dell’uscita,complice la scarsa distribuzione, vuoi perché il cinema stava mutando e questa ennesima versione del celebre romanzo pareva anacronistica. Invece sotto la trama risaputa c’è l’antimilitarismo, l’ecologismo e soprattutto la difesa della diversità, dell’unicità della persona costretta dalla società all’omologazione, non senza conseguenze planetarie. Ormai non c’è più posto dove andare…

Postilla

Ultracorpi e covate malefiche

Breve riflessione sugli archetipi replicati e replicanti

Nel cinema odierno e moderno si tende più che mai a sfruttare formule collaudate, l’epoca dello sperimentalismo di massa si conclude con i Settanta, poi le grandi produzioni puntano a schemi più o meno ripetitivi che consentono prevedibili guadagni senza rischiare troppo.

Se il giallo tradizionale “Dieci piccoli indiani” della Christie ha determinato un modello adattabile alle più svariate situazioni, persino quelle all’apparenza più lontane per genere e storia, anche nella fantascienza e nell’horror ci sono titoli che hanno segnato un punto di svolta, una pietra miliare presa a paragone per i successivi titoli, citati dalla critica per far capire al lettore cinefilo l’immediato contenuto di quel prodotto.

Uno di questi archetipi è senza dubbio “L’invasione degli ultracorpi” diretto nel 1956 da Don Siegele tratto a sua volta dal fortunato romanzo “The Body Snatchers” di Jack Finney pubblicato nel 1954a puntate su una rivista e l’anno doponei tascabili. Ma soffermiamoci sull’opera cinematografica che ha avuto almeno altri tre rifacimenti ufficiali: “Terrore dallo spazio profondo” (1978) di Philip Kaufman, “Ultracorpi – L’invasione continua” (1993) di Abel Ferrara e “Invasion” (2007) di Oliver Hirschbiegel.

Quelli ufficiosi invece è difficile quantificarli in quanto contengono elementi parziali e ammiccamenti all’opera primigenia che un occhio attento e smaliziato di pellicole coeve non può che cogliere. Il primo titolo che mi viene in mente è “Il terrore dalla sesta luna” (1994) che sì è tratto dall’omonimo romanzo di Robert A. Heinlein, uno dei padri della fantascienza, ma cinematograficamente ricorda assai il film di Siegel, con la differenza che gli alieni non si sostituiscono nottetempo ma penetrano nel cervello. Inoltre Donald Sutherland, lo stesso attore del remake “Terrore dallo spazio profondo”, questo sì ufficialmente tratto dal libro di Finney, ha un ruolo da protagonista.

Un altro film debitore è “The Faculty” (1998) del poliedrico regista Robert Rodriguez, ambientato in un liceo americano:qui l’ospite alieno si introduce nel corpo umano attraverso l’orecchio come un parassita di cronenberghiana memoria, per arrivare al cervello e sostituirsi creando una “copia” che risponde a una regina.

E per concludere ci sono anche quelle piccole produzioni indipendenti come “Xtro – Attacco alla Terra” (1982) di Harry Bromley Davenport, insospettabili, che fanno un mix di suggestioni prese dai classici passati e moderni, quindi anche da “L’invasione degli ultracorpi”. Lo vediamo per esempio nel ritorno del padre del ragazzino, che viene partorito già adulto come una creatura nell’aspetto umana ma già “altro”, e nel finale dove compaiono misteriosi baccelli in una vasca pronti a partorire chissà quali incubi.

Nel cinema, soprattutto quello odieno, sono poche le idee vergini, quando non si tratta di remake dichiarati. Spesso sono rifacimenti camuffatidi classici sempreverdi e questo avviene più spesso nel cinema di genere, quello più votato “al consumo”. Non è necessariamente un male assoluto o un marchio della vergogna, quando c’è una scrittura brillante e anche una sola idea nuova, purché si sappia che nulla si crea e soprattuto niente si butta, anche nel cinema.

Noodles, cos’hai fatto in tutti questi anni?

Sono andato a letto presto.”

C’era una volta in America.

Fabio Marangoni