Federica Marchetti - Federigo Tozzi

Federica Marchetti – Federigo Tozzi

Federigo Tozzi morì a soli 37 anni nel 1920: fu misconosciuto per molti anni, poi rivalutato e considerato uno dei più importanti scrittori del ‘900, oggi è completamente dimenticato. Considerato uno scrittore locale fu vittima di critici e scrittori (che lo accettarono con riserva) e di cliché (il naturalismo, il lirismo, l’autobiografismo), del provincialismo dei suoi conterranei ma anche della frattura tra lettori e intellettuali del tempo. Autentico e coraggioso, estroso e impegnato, schiacciato tra Verga e Svevo è comunque considerato parte della terzina migliore del romanzo italiano a cavallo tra l’800 e il ‘900. Fu scrittore di transizione e il primo grande testimone italiano del ‘900 letterario.

Federigo Tozzi nacque a Siena il 1° gennaio 1883 (ottavo figlio ed unico superstite) da Annunziata Automi, trovatella affetta da epilessia, e Federico detto Ghigo, contadino semianalfabeta della Maremma che, fatta fortuna, era diventato il proprietario di due poderi e della trattoria più rinomata della città. L’uomo, prepotente, collerico e avaro, prevaricò moglie e figlio per tutta la vita. Federigo frequentò le scuole nel vicino collegio arcivescovile ma fu cacciato per cattiva condotta. La madre morì quando il piccolo Federigo aveva 12 anni e rimase solo con quel terribile padre che lo impiegò all’osteria. Qui il giovane si distinse per cattiva volontà e fu mandato alla scuola di Belle Arti: terminò gli studi con difficoltà e un’espulsione. Ribelle all’autorità (soprattutto paterna), insofferente alla disciplina, di indole indipendente si iscrisse alla scuola Tecnica dove, con alcuni compagni, fondò un giornalino scolastico in cui ebbero luogo le sue prime riflessioni politiche (tra il socialista e l’anarchico). Scoprì il piacere della lettura e all’inizio fu lettore disordinato: da Marx a Darwin, da Zola a Shakespeare, da Poe a Musset, da Engels a Comte. Solitario per natura non fu attento alla scena letteraria a lui contemporanea. Bocciato in italiano Tozzi ventenne interruppe gli studi. Il padre si era risposato (e aveva pure un’amante). Con queste premesse il giovane Federigo attraversò gli anni più duri della sua vita: tra il 1902 e il 1908 un’improvvisa cecità (causata da una malattia venerea) lo costrinse al buio per vari mesi e lo segnò per sempre. In città era quasi schivato e solo un fatale incontro lo strappò alla follia: quello con Emma Palagi, la figlia di un medico senese, infermiera volontaria. I due si innamorano, Federigo si trasferì a Roma in cerca di fortuna (che non trovò) e fu costretto a tornare a Siena dal padre apparentemente ammansito. Cercò lavoro per sposare Emma, fece concorsi, il padre si ammalò e nel 1908 morì. Federigo vendette l’osteria e sposò Emma. Gli affari del padre erano difficili da gestire ma, una volta risolti i problemi maggiori, egli si ritirò con Emma e la matrigna nel podere di Castagneto dedicandosi alla letteratura: lesse; scrisse novelle, poesie, opere teatrali e iniziò il suo primo romanzo, Con gli occhi chiusi. Domenico Giuliotti divenne il suo agente letterario ma Federigo non riuscì ugualmente a sfondare. Nel 1909 nacque il figlio Glauco. Collaborò con alcune riviste e nel 1911 con Giuliotti ne fondò una tutta sua, “La Torre” a tema polemico. Tozzi era redattore e amministratore, Giuliotti finanziatore e direttore. Ma gli affari di famiglia andavano male e Federigo un po’ vendette, un po’ affittò e poi si traferì a Roma. Ma la capitale, come in passato, non lo accolse a braccia aperte. Ci si preparava alla guerra e tirava aria interventista. Pubblicò senza successo Bestie (1917) libro di frammenti e il romanzo Con gli occhi chiusi (1919) anch’esso accolto con freddezza. Tornò a Castagneto dove visse una crisi familiare che poi passò (se ne era andato anche di casa). Scrisse le sue opere migliori: Il podere, Tre croci, Gli egoisti. Un viaggio a Milano gli costò la polmonite e improvvisamente Federigo morì il 21 marzo del 1920. Fecero in tempo a stampare Tre croci per poterlo chiudere nella bara. Morì senza un soldo e Luigi Pirandello pagò il viaggio della salma a Siena: è sepolto nel cimitero del Laterino.

Morì lasciando scritti inediti e dispersi e suo figlio Glauco si impegnò a riordinare le carte del padre per pubblicare le opere postume (Il podere uscì nel 1921 e Ricordi di un impiegato nel 1927). Del 1987 è il Meridiano di Mondadori che raccoglie le sue opere maggiori.

Di statura media, con spalle larghe, calvo, con la testa rotonda, occhi azzurri, appassionato di passeggiate e bicicletta, allegro e vivace, Tozzi aveva molti amici. Scriveva di getto (pagine e pagine, poche correzioni, qualche taglio e qualche aggiunta) ma solo se aveva qualcosa da dire. Le sue pagine sono sincere e pregne di pathos: in uno dei suoi saggi su Tozzi, Cassola lo definì “un contenutista integrale”.

Storicamente Federigo Tozzi (1883-1920) è collocato tra ‘800 e ‘900, tra Giovanni Verga (1840-1922) e Italo Svevo (1861-1928) ma la mentalità in cui vive è proiettata verso il nuovo secolo: stessi principi, nuove inquietudini. Sono gli anni in cui l’Italia si prepara al Ventennio. Verga rappresenta il passato ottocentesco e Svevo vive il passaggio tra i due secoli mentre Tozzi immagina un avanzamento nella catarsi politica ma muore prima dell’avvento del fascismo.

L’eredità di Tozzi è racchiusa nei cinque romanzi che produsse: Con gli occhi chiusi (del 1919); Tre croci che uscì nel giorno in cui l’autore morì; Ricordi di un impiegato, Il podere e Gli egoisti pubblicati postumi. L’unico che ebbe successo fu Tre croci di cui furono vendute circa diecimila copie, fu tradotto in inglese e in francese poi finì nel dimenticatoio col suo autore.

La sua importanza letteraria, invece, è racchiusa nei suoi due romanzi migliori: Con gli occhi chiusi preferito dai critici, Tre croci amato dai lettori. Sempre Cassola (che lesse, amò e difese Tozzi), scrisse che Tre croci è più romanzo di Con gli occhi chiusi invece più poetico ma meno epico laddove “il poeta lirico parla di sé mentre il poeta epico parla degli altri”. Tozzi che aveva debuttato come sperimentatore ambiva a scrivere un romanzo sociale: quasi una retromarcia ma lo scrittore è una creatura che si muove senza la bussola della logica. Con gli occhi chiusi è l’opera in cui Tozzi ripercorre la sua formazione tutta concentrata sul difficile rapporto col padre e sulla scoperta della passione carnale. In Tre croci (romanzo popolato solo di uomini) per la prima volta, l’autore non maneggia materiale autobiografico ma, pare, si sia ispirato ad un fatto realmente accaduto. Nel tentativo di divincolarsi dal labirintico autobiografismo, Tozzi si ispira ad un concetto oggettivo e termina la sua produzione con Gli egoisti, un romanzo esistenzialista.

Tozzi fu contemporaneamente uomo e scrittore. Ne è riprova l’autobiografismo ma chi si è fermato a considerarlo un autore regionale non ha compreso la sua essenza. L’alterego letterario è presente in alcuni dei suoi racconti e in tutti i romanzi: con dettagli nuovi, di volta in volta, egli è Leopoldo Gardi (Ricordi di un impiegato), Pietro Rosi (Con gli occhi chiusi), Remigio Selmi (Il podere), Giulio Gambi (Tre croci), Dario Gavinai (Gli egoisti). I modelli femminili, invece, sono solo due: la giovane contadina (Ghìsola di Con gli occhi chiusi), il suo capolavoro letterario, e Emma Palagi (la donna che amò e sposò).

Al centro delle opere di Tozzi c’è un profondo pessimismo: l’incomunicabilità (Con gli occhi chiusi), l’ansia e la paura della realtà minacciosa (Il podere), il condizionamento e la repressione (Ricordi di un impiegato), lo sbandamento e la rovina (Tre croci), l’impotenza (in tutti i suoi personaggi), e, incombente su tutti, il potere economico vero motore del mondo. Egli è concentrato a comprendere l’interiorità umana, è attratto dalla psicologia ma non conosce né Freud né la psicanalisi. Nelle sue opere l’attenzione di Tozzi è focalizzata sulla descrizione del mondo reale che si proietta sull’analisi del mondo interiore dei personaggi. La sua religiosità, mai espressa ma presente nella morale delle sue opere, è il metro con cui la voce narrante guarda e giudica.

Federica Marchetti