Francesco Teselli – Il signor Asterisco racconta n°3
“Asterisco, allora?”
Ogni volta che lo chiamo così, mi guarda male. Di traverso, più che altro. È come quando una persona che non conosci bene, nel bel mezzo di un discorso, pronuncia il tuo nome con tutta la nonchalance e la confidenza del mondo e aspetta anche che sfumi l’imbarazzo – perché lo sa che se lanci sguardi a forma di fulmini, se sei un po’ stranito un buon motivo ci sarà. Resta in attesa con i secondi che si cristallizzano, come stalattite di attimi condensati, giusto quel che basta per darti il tempo di realizzare che sì, mi ha chiamato per nome. Eppure, ci conosciamo praticamente da sempre.
“Allora cosa?”
Non gli appartengono le cosiddette frasi di circostanza. Se gli chiedi cosa ti dicevo io, lui con l’espressione più seria che si ritrova è capace di risponderti davvero cosa gli dicevi tu.
“Niente, l’intervista del mese scorso. Non è andata malissimo.”
“Dici? Non lo so, alla fine io non ho fatto altro che parlare con te. Come sempre.”
È vero. Il bastardo che ne ha approfittato e ha trascritto tutto sono io, ha ragione. Alla fine, tutto questo potrebbe anche avere a che fare con quello che dicevamo l’altra volta. Siamo partiti dal silenzio e adesso potremmo evolverci alla parola, come scimmie che lanciano l’osso in cielo aspettando che, nella culla di una sinfonia tedesca, diventi navicella. Per ora lo penso solo, aspetto a dirglielo.
Mi prepara il caffè. Zaffate calde avvolgono l’aria della cucina, avvitandosi concentricamente fino in soggiorno, arrivando a solleticarmi la punta del naso come in quei cartoni animati in cui l’odorino di qualcosa di buono viene a svegliarti, ti arpiona, con il ditino ti dice vieni, vieni e tu non puoi non lasciarti ipnotizzare e vai, vai.
Mi mette la tazzina tra le mani, il calore che promana dalla ceramica bianca penetra sotto pelle, irradiando la carne tenera delle dita. Perde tempo. Gironzola per la stanza, è irrequieto. Non vorrei portagli fretta, provo alla larga.
“Cominciamo?”
“Cosa?”
Plana dalla tua nuvoletta zuccherosa e torna sulla terra gli dico con gli occhi.
“L’intervista.”
“Ancora?”
“Sì, è una rubrica dedicata a te.”
“Figurati. Non hai proprio niente da scrivere, eh?”
Ridiamo. Fiori di sorrisi lievi germogliano sulle pareti delle nostre labbra.
“Sai, alla fine le persone hanno davvero condiviso con te le loro sensazioni sul silenzio.”
Gli occhi gli si illuminano piano. Resta sempre sorpreso quando qualcuno gli dà retta, come sentisse di non meritarselo mai.
“Sì? E che hanno scritto? Lo sai che la tecnologia è asteriscofobica.”
Gli leggo i messaggi.
“Marinela ha scritto che il silenzio e la parola sono come due ali di un uccello: per volare c’è bisogno di entrambe. Quando s’impara ad ascoltare il silenzio si trovano le parole mai pronunciate, mai sentite, mai usate. Sono le parole dell’anima dove si nasconde la verità, la nostra verità. Il silenzio è d’oro – diceva la mia nonna – ma non ho mai amato il silenzio imposto, quello di piombo dei regimi totalitari. Quello, io lo chiamo ala rotta che t’impedisce di volare.”
“Interessante.”
“Molto. Ornella invece ha scritto quella del silenzio è la mia dimensione ideale, mi appartiene. È la mia seconda, morbida, calda pelle. Parlando di sensazioni, quella che promana dal silenzio la definirei una dimensione molto più dialettica di tanti momenti di apparente confronto con gli altri. Il silenzio sussurra, parla, addirittura urla allorquando ci poniamo in ascolto della sua potenziale energia creativa.”
“Beh, che aggiungere.”
“Niente, l’importante è che ti piacciano.”
“Tanto.”
“Bene così, allora.”
Ci siamo. Gli dico la mia idea. Coriandoli, i suoi occhi che mi fissano sembrano prendersi gioco di me.
TENTATIVO DI SENSAZIONE N° 2 OVVERO IL CANTO DELLE SIRENE
“Dici di collegare le cose.”
“Ma sì, diamo un senso a queste chiacchierate.”
Non mi sembra convintissimo. La verità è che non gli piace imbrigliare i suoi flussi di sensazioni. Io però non voglio mettere un recinto: mi piacerebbe solo costruire un ponticello, di mese in mese, cosicché i lettori possano leggere i numeri della rubrica singolarmente senza problemi, ma anche vederli tutti insieme come unico corpo. Poi, ognuno fa quel che gli va. Questa si chiama democrazia.
“E va bene. Quindi, visto che l’altra volta abbiamo parlato del silenzio – che meraviglioso paradosso – questa volta … l’argomento è la parola, giusto?”
“Giusto”.
Prima però mi fa segno con la mano. I polpastrelli intarsiati d’impronte digitali sembrano dirmi siediti e ascolta con le loro bocche a forma di impercettibili solchi, rifugi della nostra identità. Stendo le gambe e rilasso tutti i muscoli, in attesa di ascoltare la sua sensazione “particolare”.
“Qualche anno fa entrai in libreria. Ogni tanto devo entrarci per sentirmi vivo, come quando tra le sue braccia respiri il profumo dolce dei capelli della donna che ami. È strano sentirsi vivi in mezzo a migliaia di vite morte su strade di carta, o meglio, mai partorite dai grembi dei libri che le contengono. Eppure capita. Senti l’immaginazione germogliare, come il bocciolo di un fiore in primavera. L’odore delle pagine ha su di me l’effetto di un raggio di sole sui petali. Insomma, senza portarla troppo a lungo, un libro mi solleticò la curiosità. Ci sono dei libri che dagli scaffali ti rapiscono. A volte sembrano sceglierti. Dalla sezione “Narrativa”, questo piccolo cucciolo di fantasia mi aveva letteralmente folgorato. Fu amore a prima vista. Lo comprai. Prima di cominciare a leggere un libro passo ore, a volte giorni addirittura a tastarlo, odorarlo. Me lo rigiro tra le mani, tipo antistress. Non comincio a leggerlo subito. Poi, comincio. Ti è mai capitato di non essere pronto per un libro? Lo sai che ti piace, ma è come se qualcosa in quel particolare periodo della tua vita te lo impedisse. E allora lo metti da parte, vai avanti. Negli anni leggi altre cose, avventure di una notte e piccoli amori passeggeri, ma poi un giorno lo rivedi. Non se n’è mai andato, è sempre stato lì in mezzo alla Torre di Babele di libri che troneggia sul tuo comodino. Lo peschi tra Bukowski e Miller e te lo rimetti a leggere. Com’è potuto mai succedere che non me ne sia innamorato fin dalla prima frase? Divoro pagine come pietanze prelibate. Che strano mondo questo di noi lettori. Che strani noi, in generale.”
Bevo l’ultimo sorso di caffè e cerco di darmi un tono. Nessuno specchio nelle vicinanze, ma sembra lo stesso di vedermi: mi sento appiccicata sulla faccia l’espressione più inebetita che ho. Questa cosa dei libri che ti chiamano succede anche a me. Però non capisco.
“Bello è bello … ma che c’entra con la parola?”
“Ulisse e le sirene.”
Il mio sguardo disegna un punto interrogativo a grandezza naturale che resta lì, a campeggiare sulle nostre teste.
“Volevi la continuità? Ed eccotela. Ricordi il silenzio del signore delle sigarette? Bene. L’altra volta l’ho paragonato a Orfeo. Tu vuoi parlare sempre di teatro, sì?”
“Ovvio.”
“E allora: “Il canto delle sirene” di Ezio Donato. Prima di parlartene però ti spiego il collegamento.”
“Sarebbe quasi l’ora, grazie.”
Mi dice che la mitologia greca narra che l’unico a vincere il canto delle sirene fu proprio Orfeo, il musicista divino, con la musica della sua lira. Dal silenzio al suono, quindi. E viceversa.
“La voce delle sirene si combatte con le orecchie turate, o con la musica … chiaro no?”
“Chiarissimo. Oppure fai l’eroe e ti fai legare all’albero maestro della nave.”
“Esatto, e silenzio e parola si confondono.”
Lo spettacolo che ha accennato vede come protagonista Luigi Lo Cascio e Pippo Pattavina e fa una liaison tra “L’ultimo viaggio” di Pascoli e “La Sirena” di Tomasi di Lampedusa.
“Nel racconto in versi del poeta romagnolo s’immagina un Ulisse ormai prossimo alla morte, intento nell’estrema impresa di riprendere il mare per ricominciare il viaggio, questa volta dentro se stesso. La fantastica Trinacria, la dimora di Eolo fra Scilla e Cariddi sotto l’occhio scrutatore di Polifemo, sulla vetta infuocata dell’Etna. La Sicilia dell’eroe troiano che diventa, nell’immaginario letterario di narratori e poeti, dall’antichità fino a Pascoli passando per Saba e tutti i contemporanei, la rappresentazione del conflitto eterno tra il desiderio della curiosità – la fame di conoscenza che non appartiene a chi passa il suo tempo a viver come bruti – e la frustrazione che i limiti dell’uomo impongono.”
“E Tomasi di Lampedusa?”
“Coniuga diversi aspetti interessanti, secondo me. Innanzitutto è un racconto lungo che ha scelto la moglie dello scrittore, dopo la sua morte. È una pubblicazione postuma, quindi. Silenzio eterno che diventa comunque parola. Parola scritta e riprodotta, attraverso la recitazione, nello spettacolo di Donato. “La Sirena” è una storia d’amore che un anziano professore di greco racconta a un amico. Storia vissuta da giovane, ventisettenne, con una donna con la passione di una sirena il cui richiamo non l’ha mai abbandonato.”
Asterisco non lascia quasi mai niente al caso e mi parla di un regista siciliano come Ezio Donato: un artista nato in una terra in cui il rapporto tra il silenzio, nelle vesti nere dell’omertà, e la parola, cantata dai numerosi eroi di cui la regione straborda, è sempre stato strettissimo. Anche la presenza di Luigi Lo Cascio, memorabile interprete di Peppino Impastato, suggerisce una precisa intenzione da parte di questo malandrino di un Asterisco che, conoscendolo, s’è visto spalancare le porte dell’immaginazione non appena ho pensato anche solo lontanamente di collegare il concetto del silenzio con quello della parola. Una Sicilia quindi dipinta nelle sue varie sfumature è quella che viene fuori da questa chiacchierata. La Sicilia delle gesta omeriche e quella magica della storia di Tomasi di Lampedusa, ma anche la patria di eroi come Falcone e Borsellino che hanno fatto della parola la loro principale arma di combattimento, lama acuminata da affondare fino in fondo nella marcescenza della società.
E quindi … indovinate? Devo proprio dirvelo qual è la parola chiave, questa volta?
Dopo tutto questo sproloquio mi sembra quasi di prendervi in giro. Va be’, la scrivo lo stesso (fate finta di stupirvi): la parola chiave è PAROLA.
(oooooooooh)
Scusate il gioco di … oddio, è un cane che si morde la coda! Un loop infinito! Basta così, avete capito.
E niente, questo.
“Ciao, grazie del caffè.”
“T’ho detto questo poco e tu mi ringrazi solo per il caffè?”
Rido. Asterisco no, ma quando mi chiudo la porta dietro le spalle, piano piano, senza farsi sentire, un po’ ride anche lui.
(Francesco Teselli)
Letto e riletto…mi piace. Ma la definizione che mi è piaciuta di più :” Ridiamo : fiori di sorrisi lievi germogliano sulle pareti delle nostre labbra.” poetico, bellissimo… Mi piace… L’idea che dalla nostra bocca escano fiori sorridenti che si trasformano in risate mi piace, me le immaginero’così d’ora in poi! Grazie Franci!
Grazie Francesco! Sono contenta che tu abbia trovato il mio commento interessante. Il signor Asterisco è affascinante , ogni giorno mi piace un po’ di più del giorno prima . La parola appartiene al passato , ha il destino di diventare memoria , perciò credo che dobbiamo fare attenzione su come usarla. La parola è forza, potenza, luce,ma anche debolezza, fragilità, buio, “coltello luccicante “. Dalla sua nascita al suo tramonto viaggia nel tempo lasciando tracce nella nostra vita , ma soprattutto nelle nostre anime. Tu ,cara parola , sei dono e dannazione!
La parola si esprime come la musica e il suo respiro è il silenzio.
Ognuno poi ne decide il ritmo e la melodia da cantare.
Ho passato gran parte della mia vita a dirle e scriverle, le parole. Parole intrise di mal di vivere,di ricordi,di paura,di sofferenza,di violenza,di sogni,di felicità,di amore. La parola per me è un verso libero che corre sul sentiero della vita:a volte sfida,altre ti viene incontro.La parola più bella fu il primo vagito di mio figlio.Lui ed io fummo capaci di dare a quel vagito un senso compiuto,con il filo d’amore che ci legherà tutta la vita,con l’odore e le carezze appena nate.
Letto e riletto… Mi piace. Ma la definizione che mi è piaciuta di più è :”ridiamo. Fiori di sorrisi lievi germogliano sulle pareti delle nostre labbra” poetico, bellissimo… Mi piace…. L’idea che dalla nostra bocca escano fiori sorridenti che si trasformano in risate mi piace, me le immaginero’così d’ora in poi! Grazie Franci! 0
Dall’oceano di silenzio di “battiatiana” memoria al mare magnum della parola non c’è soluzione di continuità…ho apprezzato di questo testo – devo purtroppo ripetermi – la ricercatezza contenutistica che le ‘parole’, magistralmente modulate, rendono ‘popolare’ al punto giusto…io amo la mitologia, e ritengo che nella rappresentazione teatrale, dalla tragedia antica alle più attuali forme sperimentali, essa trova le parole più giuste, quelle che conducono alla catarsi dello spettatore, talora inconsapevole, ma certamente coinvolto dalla messa in scena dell’azione tanto da venirne via cambiato.
Non a caso è nell’EPICA (ops…’epos’ significa ‘parola’…)che la mitologia diventa viva, portatrice di valori perenni e pertanto sempre attuali. Ti restituisco la parola, caro *…a te che un significante non vuoi dare al tuo profondo significato, ma che con le tue parole lo descrivi in modo assolutamente sublime, auguro lunga vita!
Bellissima questa rubrica!!! Credo proprio che non ne perderò un numero. PAROLA d’onore.
Vero, giustissimo! L”asterisco e” un”offesa verso questi ragazzi che danno tutto quello che hanno, e forse di piu” visto l”incidenza sempre maggiore dI infortuni, e che con un semplice segnetto vengono bollati come parte di un sistema che li ha portati ad un livello superiore, che probabilmente avrebbero strasuperato con altre esperienze. Chissa” se Lazza fosse andato in Francianon l sapremo mai purtroppo. Parimenti I ragazzi senza asterisco si fanno altrettanto mazzo, ma vengono fatti passare per cosa, I figli di un dio minore?? Bravo Berton, ha ragione, aboliamo l”asterisco!
Grazie Luisa ???generic cialis