Francesco Teselli - Il signor Asterisco racconta

Francesco Teselli – Il signor Asterisco racconta

È timido. Un tipo introverso. Il signor Asterisco difficilmente si lascia andare in pubblico alle mareggiate dell’emotività: lui preferisce naufragare in privato, chiuso tra le quattro mura in tempesta della sua stanzetta. Fino a qualche tempo fa, aveva fatto un patto con le sue sensazioni.

Voi non interferite nella mia vita, restate fuori dalle mie battaglie quotidiane e io evito di fare qualsiasi cosa possa infastidirvi – le sensazioni sono capricciose, guai ad importunarle.

Bene, per un po’ le cose sembravano andare abbastanza tranquillamente. Da un certo punto di vista è anche comodo non preoccuparsi delle proprie emozioni, fare come non potessero in nessuna maniera influire sulle nostre decisioni, sulle scelte che puntualmente bisogna prendere lungo il cammino di questo viaggio verso nessun posto. Immaginare di chiuderle, le sensazioni, negli abissi impolverati di un comodino e dimenticarsene con la distratta consapevolezza di poterne sempre indossare qualcuna, all’occorrenza. Col tempo, però, il cassetto finì per traboccare e ogni volta che anche solo di passaggio il signor Asterisco s’avvicinava, il suo cuore rivelatore – rintanato dentro il piano di legno vicino al letto – cominciava a pulsare come le tempie attanagliate da un’emicrania esasperante. Era arrivato il momento di farle partecipare, d’integrarle nella vita.

Avere a che fare con i propri sentimenti quando da praticamente sempre se n’è fatto a meno, non è facile. All’inizio ci si sente come si dovesse dare conto a qualcuno, dimenticandosi del fatto che l’unica persona a cui dover dare conto è (frase banale ad effetto) se stessi. E allora, imparare a condividere il proprio tempo con quest’entità astratte che però d’astratto hanno ben poco quando si tratta d’essere invadenti, non è facile. Sì, invadenti. Perché ben presto il signor Asterisco s’è dovuto mettere l’anima in pace ed è sceso a compromessi. Un po’ come quando all’ora di pranzo un simpatico avventore si presenta alla porta. Vuoi favorire? È una domanda di rito, si tratta d’essere educati. Altrettanto di rito e di ottima educazione sarebbe rispondere no grazie, fa’ come avessi accettato e affini. E invece no! L’avventore dice di sì, si siede a tavola e tu sei costretto a dare fondo ai meandri più reconditi del frigorifero perché gli spaghetti che avevi buttato per due – considerando che ormai te li sei quasi finiti con tanto di bis – di certo non basteranno anche per tre. Così fanno le sensazioni. In ogni circostanza, che sia nell’intimità della solitudine o in mezzo ai riflettori del mondo. Bussano alla porta. Si siedono a mangiare. E tu non puoi ribellarti.

Non resta che trovare una soluzione prima che impazzisca” s’è detto quindi il signor Asterisco. E quale potrebbe essere la soluzione per non impazzire di un personaggio che si chiama Asterisco proprio per non essere costretto a mostrarsi più di tanto? È un bel guaio.

Forse, l’unica via da percorrere è la sperimentazione. Fare un lavoro di scomposizione. Raccontare per sottrazione. Sì, perché a volte i fatti sono importanti, ma i tentativi di sensazione che li compongono sono più affascinanti. E poi, si tratta anche di una questione di supremazia. Voi affliggete la mia vita facendomi provare allegria, tristezza, rabbia e tutto il resto? Bene. Io allora vi combatto. Interrogandovi. Sezionandovi. Come un chirurgo con in mano il suo bisturi.

E io? Che ruolo interpreto io in questa bagarre? Vi spiego. Diciamo che i miei saranno i panni dell’intervistatore, di chi ascolta cos’ha da dire questo strano personaggio. Perché il fatto è che non si fida di nessuno e ancora non me ne spiego il motivo, ma pare che invece di me sì e la cosa mi stupisce considerando che io non mi fido neanche di me stesso.

TENTATIVO DI SENSAZIONE N°1 OVVERO I SILENZI DI ORFEO ED EURIDICE

Spesso il signor Asterisco scende sotto casa a comprare le sigarette.

Oggi quand’è tornato, mi ha preparato il caffè. Prima di cominciare dice che dobbiamo farci consolare dal profumo buono e da quel calore che, sulle labbra, solo il caffè può lasciare in mancanza d’un bacio e io di certo non mi tiro indietro. Mi ha anticipato che stamattina vuole parlarmi di una sensazione particolare. A detta sua, le sensazioni sono tutte particolari. Cerco, con molta gentilezza, di virare sull’argomento che vorrei affrontare io, e cioè quello del teatro, ma lui è già partito.

Una biglia su un piano inclinato.

È un tipo collerico quest’Asterisco, guai a contraddirlo. Però c’è da essere sinceri: ci mette un po’, ci gira intorno come una ballerina di Degas, ma poi al punto c’arriva. Bisogna solo prestare pazienza – io negli anni ne ho prestata sempre tanta e quasi mai mi è stata restituita. Che posso farci. Sprofondo tra le braccia morbide e avvolgenti della poltrona, soffio sui cerchi di fumo del caffè divertendomi a guardarli sfumarsi nell’aria della stanza e mi lascio cullare dal dolce racconto di una sensazione “particolare”.

Sono anni che, sarò sincero, il tipo della tabaccheria non sale esattamente sul podio dei miei preferiti in fatto di simpatia. Odio quando entro da qualche parte, saluto e non vengo salutato. Compro qualcosa, esco, saluto e non vengo salutato. Il fumo, mi esce dalle orecchie. Sempre zitto, quel signore. Quasi non ti guarda. All’inizio questa cosa mi faceva perdere le staffe. Poi però mi sono chiesto perché. Un giorno, ero con la mia lei. Tutto secondo protocollo: buongiorno (silenzio), un pacchetto di … (silenzio), grazie arrivederci (silenzio) …

– Hai visto, che ti dicevo?

– Sì, ma perché?

Ci mettiamo a parlare. Paradosso, visto che l’argomento in questione era proprio che il signore sembrava aver perso la lingua in qualche tombino, probabilmente. Dettagli. Non dovremmo mai trascurare i dettagli. Siamo tornati altre volte, e c’abbiamo fatto caso: mano sempre sul bancone, come un’ancora nell’oceano; mano che tiene fermo lo sportellino della cassa per dare il resto, come l’equilibrista col suo bastone in bilico sullo spettro della tramontana. Quel signore ha avuto un ictus, è depresso e la scarica elettrica di un Parkinson gli corre, maratoneta, sotto pelle. Da quando l’abbiamo saputo, noi e il signore in silenzio condividiamo i silenzi. Forse lui ha capito che abbiamo capito, ci guarda. Nei suoi occhi l’ombra della voce di un tempo guizza come un delfino sulla lamina azzurra delle onde.

Stamattina, sigarette.

– Arrivederci – dico e non mi aspetto una risposta.

– Ciao.

Mi giro. Come Orfeo, guardo il signore vestito da Euridice che però non svanisce. È là. Mi guarda. Non ne sono sicuro, le rughe gli incastrano i lineamenti. Però, l’eco di un sorriso si riflette nel suo sguardo.

Sto per dire qualcosa, ma mi fa un segno con la mano. Come a dire non parlare, condivi con me anche tu questo silenzio. Per un po’ restiamo così, imbambolati. Sembra di stare sospesi in una bolla di sapone, le parole che non diciamo restano ovattate nella confusione dei nostri pensieri taciturni. Poi, mi parla. Mi chiede che cosa volessi chiedergli e io mi sento come dev’essersi sentito lui con il signore della tabaccheria. Non mi aspettavo che sfilacciasse così all’improvviso questa trama intrecciata di sillabe non dette: e invece l’ha fatto.

Sì, allora … devo scrivere un pezzo per una rivista letteraria. Mi chiedevo se ti va un’intervista.”

E su cosa?”

Teatro.”

Cominciamo a parlare e mi consiglia “Il suono del silenzio” di Marcello Anselmo. È un audio-documentario dedicato all’opera di Romeo Castellucci.

Interessante. E che cosa ha a che fare tutto questo con il signore della tabaccheria?”

Asterisco ci vede diversi rimandi. Innanzitutto, mi racconta – come un nonno al nipotino preferito, seduto davanti al tepore scoppiettante del camino – che Romeo Castellucci è il principale fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio, compagnia teatrale d’avanguardia nata nel 1981, a Cesena.

Stiamo parlando di un teatro onirico, fatto di sperimentazione e ricerca. Non solo dal punto di vista estetico: la parola, destrutturata, diventa agli occhi dello spettatore la gabbia che imprigiona il suono, che lo contiene.”

Ecco, mi viene da immaginare che il signore delle sigarette di Asterisco sia questo contenitore, questa prigione: dentro ha tutti i suoni del mondo, i ricordi che leggeri accarezzano le sponde della memoria. Solo, non riesce a sputarli fuori, prigioniero delle sue stesse parole.

Quando glielo dico mi risponde tutto il teatro e la poetica in generale di Castellucci in una sola immagine.

Corpo e azione che sostituiscono la voce; frammenti e installazioni che confondono la regia.”

Affascinante – oltre che attinente con la sensazione che il signor Asterisco ha provato sotto casa – è il discorso drammaturgico che la regia di Castellucci fa nella rilettura del mito di Orfeo ed Euridice, a quanto pare.

La discesa nel mondo degli inferi della ninfa morsa da un serpente diventa un’espediente per una riflessione esistenziale sulla condizione del coma. Teatro e camera d’ospedale, in cui è ricoverata la bella Karin, sono legati e quasi si sovrappongono agli occhi e alle orecchie degli spettatori. La ragazza ascolta in cuffia la musica che si sprigiona dalle tavole del palcoscenico, trascinandosi l’intera platea con sé nell’indistinto sognare confuso del coma.”

E come? gli chiedo, affascinato. Un bambino che vede la sua giostra preferita danzare nell’esplosione intermittente dei suoi colori mischiati ai raggi del sole.

Come? Facile. La parte cantata si svolge in tempo reale, in scena, ma contemporaneamente una videocamera corre nei vortici delle strade fino ad arrivare al reparto Neurologico di un Ospedale di Vienna per inquadrare la ragazza, realmente in coma da tre anni. Il linguaggio del corpo – inerme ed elevato a simbolo della condizione terrena – s’intreccia con la sensazione astratta della musica che presta le sue parole in nota a chi non è più in grado di parlare.

Sono corpi significanti che non comunicano con le parole. Sono corpi interroganti. Parole di Castellucci.”

Le pronuncia mesto, le parole del regista. In mezzo agli occhi gli vedo saltellare una luce particolarmente brillante. Come mi leggesse nel pensiero, subito si precipita a confessarmi che una cosa del genere è venuta in mente anche a lui, a proposito del tabaccaio: ma va be’.

Perché va be’?” gli chiedo mettendo il dito, torcendolo, in una piaga infetta.

Perché niente, molte cose le penso anch’io. È che me le tengo per me.”

Mi piace questa sua lieve malinconia. Si sente sempre inferiore a qualcuno, specialmente alle sue stesse intuizioni.

Un’altra cosa in comune con questa storia potrebbe essere il fatto che l’amore, nella maggior parte dei casi, può essere una soluzione. Solo, bisogna saperci avere a che fare: ci dà forza proprio perché ci rende vulnerabili.”

Ora, il signor Asterisco non crede che il suo signore dei silenzi si sia innamorato di lui – o per lo meno, in tutta sincerità, non se lo augura. Gliel’ho chiesto e mi ha sorriso, sornione. Non gli dispiacerebbe come cosa.

Essere corteggiati è bello. Già solo il fatto di suscitare interesse in qualcuno, di qualsiasi tipo d’interesse si tratti, vuol dire che siamo vivi. Che respiriamo. Che chi ci sta intorno si accorge di noi, non siamo invisibili.”

Insomma, quello che pensa il signor Asterisco è che la sua sensazione possa tranquillamente essere attraversata – o forse attraversare – questa storia, scomposta e ricostruita dal coraggioso Romeo Castellucci.

Si alza, mi versa un’altra tazzina di caffè senza neanche chiedermi se ne abbia ancora voglia o no e si risiede. Io sono abbastanza soddisfatto. Lui però, glielo leggo tra le pieghe del sorriso, ha voglia di parlare ancora. Gli dico di “tenere a mente” per la prossima volta.

Per un po’ ci guardiamo senza parlare come quando tra due persone si crea quell’attimo infinito d’imbarazzo, alla fine di un discorso, che ti verrebbe voglia di dire anche i tuoi segreti più nascosti pur di non essere costretto a rimanere là, soffocato dalle spirali dell’imbarazzo. Poi, mi sorride un va bene e va bene così.

La parola chiave, stavolta, è SILENZIO: voi che sensazione avete che c’entri in qualche modo con il “silenzio”? Io vi prometto che il signor Asterisco dalle prossime volte, se gliele mandate, ne pubblicherà qualcuna. Quelle che riterrà più belle o che semplicemente gli faranno accendere il fuoco dell’ispirazione. Allora, restiamo così?

Siamo d’accordo.

(Francesco Teselli)