“Gentile ospite” di Paolo Orsini

La chiave della camera che l’uomo della reception mi consegnò, accompagnata da un sorriso ostentato e insincero, era per fortuna di quelle tradizionali. Odio le tessere magnetiche degli alberghi che vanno infilate dentro o appoggiate sopra, non ho mai capito di o su che cosa. Ricordo che una volta dovetti addirittura tornare nella hall perché non riuscivo ad aprire la porta e chiedere aiuto a un’indaffarata signorina della reception. Mi squadrò con aria di sufficienza, come fossi un mentecatto, e passò del tempo prima che chiamasse un fattorino che mi accompagnò davanti alla porta serrata della mia camera per spiegarmi con lucrosa pazienza come si aprono le serrature magnetiche e dove va inserita la tesserina per accendere la luce. Dovetti dargli la mancia e così la mia inettitudine mi costò il doppio, perché gliela avevo già data quando mi aveva portato le valigie in camera.

Questa volta era tutto molto più semplice: per aprire la porta bastava inserire la chiave nella toppa e girarla, per accendere la luce bastava premere l’interruttore. Amo i gesti tradizionali, quelli che hai fatto migliaia di volte, che fai in automatico, lasciandoti il tempo per occupare la mente in pensieri più piacevoli, tipo sognare a occhi aperti o cose del genere. Rassicurato, entrai e chiusi la porta della camera. L’occhio mi cadde subito su un foglio attaccato sull’anta interna della porta. Ebbi un irrefrenabile e subitaneo impulso a leggere ciò che vi era scritto in caratteri piccoli e sbiaditi.

Cercai gli occhiali nella cartella che ancora avevo a tracolla e iniziai a leggere. Gentile Ospite, si premette che nel nostro albergo, all’atto della ristrutturazione sono state attuate tutte le misure di sicurezza possibili per garantirVi un soggiorno piacevole, ma allo stesso tempo anche sicuro.

Era proprio un albergo tradizionale, ancora usavano la “V” maiuscola per rivolgersi al “Gentile Ospite”. Appoggiai la borsa sul tavolino, la valigia nell’apposito panchetto, il cappotto sul letto e mi concentrai nella lettura del foglio delle avvertenze. Sono stati usati solo materiali di prima scelta e certificati secondo le norme dettate dalla legge attuale, ignifughi in classe 0 e in classe 1. Questo significa che la percentuale di rischio che si sviluppi un incendio è stata portata molto vicino allo zero.

Mi pervase immediatamente una certa ansia: perché appena entrato in camera al “Gentile Ospite” si parlava subito di un possibile rischio incendio? Le probabilità erano “molto vicine allo zero”, d’accordo, ma non erano zero virgola zero. L’eventualità che morissi avviluppato tra le fiamme mentre tranquillamente dormivo nel mio letto era assai improbabile, ma non del tutto inesistente e quel foglio minaccioso ne era la prova statistica.

Continuai a leggere con sempre maggiore apprensione. Per esempio, le sole cose infiammabili presenti nella Vostra stanza sono i vostri abiti e le nostre lenzuola. Allora, nonostante l’uso di materiali ignifughi in classe zero e in classe uno, il mio letto avrebbe potuto incendiarsi da un momento all’altro, perché anche ammesso che il mio pigiama fosse non infiammabile, potevano non esserlo le lenzuola del letto dove avrei dovuto passare l’intera nottata. Forse sarebbe stato meglio dormire con le sole coperte. E se anch’esse fossero state infiammabili? Ammesso che lenzuola e coperte siano ignifughe al cento per cento, può non esserlo il mio pigiama. Il timore di rimanere avviluppato tra le fiamme durante il sonno mi invase sottilmente, sarebbe stato meglio che avessi dormito nudo, il cartello era chiaro, anche i miei abiti avrebbero potuto prendere fuoco.

Le rassicurazioni al Gentile Ospite, che già cominciava a sentirsi un ospite indesiderato, continuavano. Quindi potete addormentarVi tranquillamente, possibilmente senza la sigaretta accesa tra le dita. Pensai che ero fortunato a non avere il vizio del fumo, così avevo la possibilità di far avvicinare al fatidico zero assoluto le percentuali di probabilità di sviluppo di un incendio. Temevo che ormai, dopo aver letto quel maledetto cartello, avrei avuto ben poche possibilità di addormentarmi tranquillamente, come confortava colui che lo aveva redatto. Mi venne in mente mio padre, che da vecchio fumava in camera, sul letto. Quando non ero in casa mi terrorizzava l’idea che si addormentasse con la sigaretta accesa. Avevo, fissa davanti agli occhi, l’immagine della strada dove abitavamo occupata dal camion dei pompieri, la scala fino alla finestra del terzo piano, un pompiere con un enorme casco che teneva l’ugello della canna saldamente tra le mani e indirizzava un gran fiotto d’acqua, attraverso la finestra, nella camera da letto dove dormiva mio padre.

Dopo l’inizio morbido di consigli e inviti il cartello passava a più duri e perentori divieti. Gli ospiti presenti nella struttura recettiva non devono: collegarsi alla rete elettrica con fornelli (elettrici), ferri da stiro, e simili se non prima di avere avuto il permesso del Responsabile della Sicurezza e non devono accendere stufette o fornelli a gas. Ricordo quando da bambino i miei genitori mi portavano in vacanza al mare a Rimini, in una piccola pensioncina e dormivamo tutti in una camera. Ero felice perché era uno dei pochi momenti in cui stavamo tutti insieme. Mia madre portava sempre da casa un piccolo ferro da stiro portatile, con il manico ripiegabile, lo teneva dentro una custodia di stoffa a scacchi bianchi e rossi, che aveva cucito lei stessa. Stirava sempre il primo pomeriggio, appoggiando i vestiti sul letto matrimoniale, mentre mio padre era in giro da qualche parte e io dormivo sul lettino aggiunto. Quel piccolo ferro da stiro ce l’ho ancora in qualche cassetto, anche se non l’ho più usato e poi non avrei mai il coraggio di andare da un Responsabile della Sicurezza di un albergo con un oggetto del genere in mano per farmi autorizzare a stirare in camera. A casa sono ormai diversi anni che stiro, da solo, davanti alla televisione. Ho pensato anche, per arrotondare il magro stipendio, di andare a stirare a ore in qualche casa di amici scapoli. Non mi decido a farlo, nonostante sia un vero maestro del ferro da stiro, perché mi vergogno, mio padre non ha mai toccato un ferro da stiro in vita sua per principio, così come non ha mai cotto un uovo al tegamino, cucito un calzino, spinto una carrozzina con un neonato dentro, tutte cose che lasciava fare esclusivamente a mia madre.

Continuo la lettura del cartello. Gli ospiti presenti nella struttura recettiva devono sapere che: 1) in ogni camera è esposta una piantina con il percorso più breve per raggiungere l’uscita di sicurezza; 2) essere a conoscenza dell’ubicazione dell’uscita di sicurezza; 3) provare almeno una volta a raggiungere e ad aprire la porta di sicurezza; 4) essere a conoscenza dell’ubicazione di almeno un estintore.

Mi guardai intorno alla ricerca di un estintore, in camera non c’era, doveva essere nel corridoio. Osservai con attenzione la piantina, uscii dalla camera e andai nel corridoio a cercare l’estintore e nel frattempo trovare anche l’uscita di sicurezza. Non trovai ne l’uno, né l’altra. Se avessi avuto l’urgenza di trovarne l’ubicazione perché inseguito dalle lingue di fuoco, avrei perso del tempo prezioso e la cosa sarebbe anche potuta essere fatale. La piantina esposta in camera non mi serviva a nulla.

Nell’interminabile corridoio, con molte porte di camere lungo le pareti, c’erano alcuni tavolini con vasi di fiori di plastica, una macchina con due rulli a spazzola per pulire le scarpe, una vetrinetta con all’interno numerose bottigliette di acqua minerale, una poltrona di pelle scolorita, molti quadri alle pareti piuttosto brutti con immagini della città in cui mi trovavo, ma nessuna traccia di estintori.

La mia ansia continuò a crescere. In fondo al corridoio vidi una porta a vetri che dava su una terrazza. Mi avvicinai, pensando di aver trovato l’uscita di sicurezza, stavo per aprirla, volevo “provarla” come consigliava il cartello nella mia camera. Rinunciai perché a lato c’era un altro cartello che indicava “porta allarmata”, se avessi spinto il maniglione antipanico forse sarebbe scattata la sirena dell’allarme e avrei procurato un bella confusione in tutto l’albergo.

Deluso, afflitto e preoccupato rientrai in camera e continuai a leggere le avvertenze. Gli ospiti in caso di incendio devono: 1) mantenere la calma. Cazzo, ma come faccio a mantenere la calma se sono già agitatissimo, con tutte queste avvertenze, e non è ancora successo niente. Stanotte non riuscirò a dormire, forse sarebbe meglio staccare questo foglio e metterlo in un cassetto, lontano dalla mia vista, o meglio bruciarlo nel lavandino, ma non avevo un accendino con me.

Non potei fare a meno di continuare la lettura. 2) Avvisare il Responsabile della Sicurezza Sig. P.O. tel. int 200 oppure 206 (diurno) senza fare lo zero telefono 203 (notturno) senza fare lo zero. Figuriamoci, pensai, se mi fossi trovato in mezzo a un incendio, come avrei potuto ricordare quale numero fare, diurno, notturno, con o senza zero, dio mio com’era complicato. E se l’incendio fosse scoppiato alle diciannove e trenta, cosa avrei dovuto fare? Il numero diurno o quello notturno? 3)Abbandonare la camera e recarsi verso l’uscita di emergenza seguendo le indicazioni esposte nella piantina, spingere il maniglione antipanico e raggiungere il cortile scendendo dalla scala antincendio.

Mi chiedevo come avrei fatto a seguire le traiettorie indicate dalla piantina se correvo inseguito dalle fiamme. Avrei dovuto fermarmi per cercare gli occhiali e mettermeli. Non sarebbe stato prudente perdere del tempo prezioso per leggere le istruzioni, sarebbe stato meglio scapicollarsi a tutta velocità urlando aiuto a squarciagola verso le scale, quelle che vedevo in fondo al corridoio e non certo quelle antincendio di cui ignoravo l’esistenza e l’ubicazione. E se la piantina fosse stata distrutta dalle fiamme? L’albergo era un palazzo incastrato tra altri palazzi in una viuzza stretta del centro storico, non c’era garage e non avevo visto nessun cortile dove rifugiarmi, come dicevano le istruzioni. Ero in trappola, avrei fatto la fine del topo.

Per puro scrupolo, ormai in preda a un irrefrenabile tremore di paura che mi scuoteva da capo a piedi, lessi le ultime istruzioni. Gli ospiti in caso di incendio NON devono trattenersi in camera a raccogliere gli oggetti personali e NON devono utilizzare l’ascensore. Non sarei dovuto rimanere un solo istante di più in questa maledetta camera di questo maledetto albergo, non solo avrei rischiato ustioni di terzo grado, ma avrei perso tutte le mie cose, il pc con il lavoro, lo smartphone, il cappotto nuovo che avevo appoggiato sul letto, dato che non mi era permesso di trattenermi per indossarlo.

Presi un liquore dal frigo bar, mi distesi completamente nudo sul letto e mi misi a guardare la televisione. Dopo un po’ mi prese freddo e allora recalcitrante mi infilai sotto le lenzuola e le coperte. Non capivo se tremavo per il freddo o per la paura di bruciare vivo. Alla fine riuscii a calmarmi e mi addormentai quasi subito, ero stanco del viaggio e della giornata di lavoro.

Quella notte sognai quando molti anni prima, nel periodo della ferma militare, durante un’esercitazione in un bosco della Sardegna, scoppiò un incendio improvviso, alimentato da un forte vento. Ero insieme a una ventina di miei commilitoni in un poligono a lanciare bombe a mano. Appena scoppiò l’incendio ci fu un fuggi fuggi generale, il maresciallo e il sergente ci ordinarono di radunarci, saltare sul camion e andar via al più presto. Loro con la jeep si allontanarono senza aspettarci. L’autista, col motore acceso, urlava che ci sbrigassimo a saltar sul camion, altrimenti le fiamme ci avrebbero alla fine circondati. Quando pensò che fossimo saliti tutti partì a gran velocità. Dopo un paio di chilometri ci accorgemmo che non eravamo tutti. Mancava all’appello Michele. Urlammo disperati all’autista di tornare indietro. Con difficoltà fece inversione di marcia, perdendo del tempo prezioso, e quando arrivammo sul piazzale, dove ci eravamo fermati prima, le fiamme alte già lo lambivano. Nel frattempo erano tornati indietro anche il maresciallo e il sergente. Scendemmo tutti e chiamammo ad alta voce Michele, ma non arrivò nessun urlo di risposta. Lo sgomento e la disperazione s’impossessò presto di tutti noi. Il maresciallo chiamò i soccorsi, arrivarono i pompieri, un elicottero e molti volontari dalla nostra caserma, ma non ci fu niente da fare. Il corpo carbonizzato di Michele fu ritrovato dopo qualche ora, era vicino al piazzale dove ci eravamo fermati, ancora un centinaio di metri e ce l’avrebbe fatta.

L’incubo di quel tremendo episodio del mio passato mi svegliò di soprassalto. Decisi di andarmene in tutta fretta. Mi vestii alla svelta, di corsa scesi le scale e mi presentai alla reception informando uno sbalordito portiere di notte che me ne andavo. Pazienza se avevo già pagato per tre giorni, quando avevo fatto la prenotazione online, e non mi avrebbero rimborsato. Non volevo restare in quella tana letale un instante di più. Tornai in camera, raccolsi in fretta tutte le mie cose, indossai il mio cappotto nuovo e, prima di uscire per andarmene, detti un’ultima occhiata a quell’infernale cartello che terminava con la firma. Il responsabile della Sicurezza P. O.

Con stupore, misto a terrore, notai che aveva il mio stesso nome e cognome.

(Paolo Orsini)