Il punto rosso – Raffaele Palumbo
Il presente è un attimo racchiuso in poche righe, dense come la tensione di questo racconto che parla di rivalsa. Raffaele Palumbo dosa le parole con precisione, è un chimico che prepara una mistura esplosiva, padroneggiandola con sicurezza; è pronto, come il protagonista del suo racconto. Spara, ma solo inchiostro.
Il punto rosso
La poltrona è comoda, ma ha dovuto sistemare un cuscino sopra lo schienale per poter appoggiare la testa senza doversi stravaccare.
Tra poco i suoi occhi si abitueranno al buio grazie alla luce che filtra dalle persiane, e allora potrà riconoscere il tavolo da fumo, il divano, il mobile basso per la tv, i quadri alle pareti. La porta di ingresso, soprattutto quella. Saranno comunque solo ombre, niente di più, ma almeno dell’ombra avranno la consistenza: fantasmi di arredo, consustanziazioni di Ikea. Adesso, nel nero del soggiorno, riesce solo a distinguere le linee taglienti che separano tra loro le stecche delle imposte, e che il passaggio delle auto giù per strada rende ora più nette, ora virate all’azzurro cupo. Quel che invece avverte nitidamente è il peso leggero e insostenibile della Beretta M34 che regge tra le mani. Seicentocinquanta grammi più il proiettile. Un peso insolito e spaventoso, sottratto al nascondiglio del padre, a evitare che potesse finire in mani sbagliate, pochi giorni dopo l’ultimo ricovero di lui – quando fu chiaro a tutti che quello sarebbe stato l’ultimo. Accarezza il freddo liscio della canna, gioca con la leva della sicura che, una volta liberata, mostrerà il punto rosso, il segno distintivo e un po’ lezioso dell’arma.
Stava per appisolarsi. Si aggiusta il cuscino dietro la nuca, si rimette in posizione di attesa. Che strano: sonnecchiare con il cuore che corre, le mani che sudano e tremano appena, il fiato corto. Pensa a una qualche forma di fuga messa in atto dalle parti più profonde e insondate della psiche, a un disperato tentativo di negazione, a un anelito verso l’oblio, verso l’assenza. Ma no, adesso esiste solo il presente, l’attimo. Un presente che annulla e vanifica tutto quel che è stato, un presente che determina il futuro. Un’orgia di presente, una contrazione del tempo, un Big Bang temporale al contrario.
Una panoramica della stanza evidenzia che adesso gli oggetti hanno acquisito i loro contorni, sia pur spettrali, e che da una placca a led sul soffitto si spande una debole fosforescenza. Ma il contorno della porta di ingresso è ancora scuro: segno che nessuno ha acceso l’illuminazione del vano scale, segno inconfutabile che la sicura non va liberata. Non ancora.
Avrebbe voglia di prendere il cellulare, di guardare l’ora, di illuminare la stanza. Ma no, se l’è giurato. Niente cellulare. Si riscuote subito quando sente il portone del palazzo che sbatte. La porta di ingresso si incornicia di luce. Rumori per le scale, echi di passi. Deve fermare il tremore delle braccia. Impugna la Beretta con due mani, come ha visto fare nei telefilm. E sì, così va un po’ meglio. Libera la sicura. Il punto rosso. Pensa che i tonfi del suo cuore si debbano sentire a distanza, che li avvertirà, che se ne accorgerà già prima di entrare, già prima di inserire la chiave nella serratura. Evidentemente non è così: ecco la chiave di sicurezza che sblocca il meccanismo interno, ecco la chiave piccola che fa i suoi tre giri.
La sagoma scura contro il bagliore del vano scale. La mano che si dirige verso l’interruttore. La luce. Ha già piazzato la canna della pistola contro il proprio palato. Appena i loro occhi si incontrano, fa fuoco. Con gli ultimi flussi di segnale elettrico che si affannano lungo le sinapsi, un attimo prima della loro definitiva stasi, immagina che lui si sia gettato a terra in un inutile tentativo di soccorso, che abbia visto l’arma e il rosso del sangue, che abbia compreso. E, forse, che le abbia chiesto scusa.
Raffaele Palumbo
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