La ragazza dell'aliante - Alessio Paša

La ragazza dell’aliante – Alessio Paša

La ragazza dell’aliante aveva cinquantadue anni,

nessuno sarebbe riuscito a pensarla adulta,

la sua immagine, imperitura, era quella dell’adolescente

che di nascosto si impadroniva del mezzo dello zio,

seduceva l’addetto al traino e volava, volava, volava,

mentre a terra si radunava una piccola folla a naso all’insù,

di parenti, amici, piloti, tecnici, curiosi e innamorati.

La ragazza, alta, i capelli biondi tenuti cortissimi,

era stata molto ambita, dagli uomini e dalle donne.

Di lei si erano vociferate relazioni con aviatori e sportivi,

ricchi imprenditori, maturi professionisti e ragazze di città.

Supposizioni. Di prima mattina arrivava, da sola

volava, a lungo, tutti giorni nei quali era possibile

e, a sera, lasciava, sola, il campo volo.

Non si avevano informazioni sulla sua residenza e la sua professione,

né era noto se avesse un marito, dei figli, dei genitori, dei fratelli.

Pagava la quota del circolo in anticipo,

manuteneva di persona l’aliante, e forniva aiuto ai colleghi,

in tuta grigia, la borsa completa degli utensili, un cappello di tela blu,

risolveva, in fretta, con competenza, da sola.

Al ristoro ordinava caffè americano, nero,

scambiava qualche parola in russo con la cameriera 

aveva un modo buffo di allargare i gomiti sul bancone

e di poggiare il mento sul dorso delle mani.

La cameriera russa rideva con la bocca larga.

Beveva il caffè, sola, a uno dei tavolini tondi del gazebo esterno,

in ogni stagione, anche quando pioveva.

In quasi quarant’anni non è trascorso giorno 

nel quale non sia salita al campo,

anche quando era impossibile volare, anche se nevicava,

anche se il buffet era chiuso, anche il giorno di Natale,

lei era presente, e c’ero io, l’addetto agli hangar.

Anche io, al suo pari, non mancavo un giorno.

Ricordo uno dei nostri primi incontri,

lei aveva diciotto anni, e volava come una veterana,

da parte mia avevo una fidanzata e progettavo il matrimonio.

Mi aveva chiesto di aiutarla con la vespa, non partiva.

Allora portava i capelli lunghi, non era ancora il tempo del casco obbligatorio

e, spingendola, le punte dei capelli mi erano entrate negli occhi,

Non riuscivo a vedere, ho perso l’orientamento,

l’ho sentita gridare, ed anche ridere,

e, insieme, siamo scivolati in un prato.

Sembrava contenta, distesa accanto alla motoretta riversa nell’erba,

il motore si era acceso e la ruota posteriore girava a vuoto.

È stato come volare, come una planata,

lo aveva detto indicando il cielo,

come lassù, leggeri come l’aria.

Eravamo diventati amici, una relazione sobria e pacata,

entrava nell’hangar a salutarmi, sedeva per terra,

appoggiando le mani aperte sul cemento liscio

Discorrevamo di alianti, questioni tecniche, era documentata,

curiosa, aveva studiato, e volato moltissimo.

Dibattiti accaniti, si rialzava, sbracciandosi, alzava la voce

non le era facile accettare un punto di vista diverso.

Non comprendevo la ragione delle sue attenzioni,

io ero un factotum, manutentore, guardiano e uomo delle pulizie

nessuna specializzazione, né titolo di studio, né lingue straniere

non ero attraente, né atletico e non avevo mai volato.

Lei era una star, al campo deteneva il record del volo più lungo,

era una veleggiatrice esperta, era ascoltata, anche dai più anziani,

ed era bella, fresca, simpatica, giovane a venti e a cinquant’anni.

È stato d’aprile, una mattina tersa, appena ventosa,

quel giorno avrebbe preso un biposto, e il passeggero ero io.

Lo aveva comunicato ridendo, guardandomi negli occhi

Avevo sempre rifiutato i numerosi inviti a volare,

spiegavo di avere paura, non era vero,

intendevo salire su un aliante da pilota, solo così avrei volato,

ma alla ragazza non avevo detto di no

e mi ero seduto, eccitato, alle sue spalle,

Sai cosa significa sentirsi leggeri, senza peso?

Quando hai il sangue immobile e il corpo svanisce?

Intorno il silenzio siderale, interrotto dal sibilo del vento,

c’era molta luce, sembrava di poterla toccare con le mani.

Aveva indicato la sommità innevata di una montagna,

guarda, ci sono degli scialpinisti, li vedi?

Si, erano tre, assembrati sulla punta scoscesa

Ha virato, puntando verso la vetta. È passata vicinissima.

Uno degli sciatori ci ha visto e ha ricambiato il mio saluto

alzando un braccio con la racchetta penzoloni al polso

Da quel giorno veniva all’hangar ogni giorno, anche due volte al giorno,

parlava meno, in molte occasioni restava in silenzio,

seduta sul cemento, il berretto con la visiera portato al contrario,

si guardava intorno, le attrezzature, gli alianti parcheggiati, il soffitto

io ero escluso dal suo campo visivo, ma lei sapeva che ero lì.

Aveva uno strano modo di rialzarsi, con un salto all’indietro,

raccogliendo le gambe per distenderle magicamente al momento giusto.

Quando le ho comunicato che mi sposavo

ha manifestato gioia, vera, assoluta

mi ha abbracciato, e baciato sul collo

credo trattenesse il pianto, o forse l’avevo solo sperato.

La futura sposa era una ragazza del posto,

lavorava in fabbrica e desiderava dei figli

Mi ha lasciato qualche mese prima delle nozze,

ha provato a spiegarmi la ragione, non trovava le parole,

mi osservava, ammutolita, anche lei si sforzava di non piangere.

L’ultimo giorno è entrata nell’hangar molto presto,

indossava una tuta nuova, celeste, e un berretto bianco.

Ciao, ha detto, ti ricordi il nostro volo,

c’era la neve, e gli scialpinisti sulla cima.

Non ne avevamo mai riparlato, era la prima volta.

Ha alzato la mano destra, come in un giuramento.

Avremmo dovuto volare ancora insieme,

Se ne è andata presto, la tuta aderente,

il passo elastico, si era tolta il berretto

e l’aveva gettato sulla pista

Genova, Agosto 2023

Alessio Paša