Patrizia Raveggi – Le parole tra noi leggère: un libro sugli errori delle madri
“È un verso, tratto da Due nel crepuscolo, poesia d’amore di Montale — («… le parole / tra noi leggère cadono. Ti guardo/ in un molle riverbero….») — a dare il titolo a quest’opera, nata per l’appunto da un rapporto d’amore”.
“Il componimento di Montale sull’insufficienza esistenziale del linguaggio fino allo scacco finale, al fallimento dei tentativi di comunicazione tra due persone, rimanda alla difficoltà di dialogo tra caratteri, in fondo, troppo somiglianti: parole leggère che cadono nel vuoto, voci che si cercano ma non riescono a trovarsi e, perciò, si perdono: in gelosie, sospetti, risentimenti.”
Con Le parole tra noi leggère Lalla Romano « ha avuto l’inaudito coraggio, come lei stessa ammette, di trasformare il proprio figlio in un personaggio: operazione lacerante che le è costata, sul piano umano, l’ostilità di chi si è visto rappresentato».
La distanza tra madre e figlio diviene incolmabile all’uscita del libro, ma Lalla Romano non si pente di averlo scritto: «Anche il libro è un figlio, per lo scrittore (uomo o donna). Questo il dramma, irrimediabile. Ma è appunto vita, transitorietà. Forse non colpa, ma punizione».
“Io mi aggiro intorno a mio figlio come uno che si aggira intorno a una montagna per trovare la maniera di scalarla – questo è il nucleo del mio libro”, continua Lalla Romano.
“Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza, con rabbia”.
Con la sua scrittura ‘precisa, minuziosa come una cartella clinica’, Lalla Romano registra il quotidiano della vita con il figlio Piero, ‘una quasi sacrilega ricerca di reciproca offesa’.
Ogni scoperta un trauma: “Adesso gli giro intorno, un tempo invece lo assalivo. Ma anche adesso ogni tanto – raramente- sbotto. Allora lui mi guarda con la sua famosa calma e dice: – Tu mi manchi di rispetto!
La mia collera di ora dev’essere un residuo delle antiche battaglie, quando io reagivo come se lui fosse una parte di me che tradiva sé stessa e dunque mi tradiva. Ai miei assalti e assedi ormai più che altro ammirativi, lui oppone freddezza, noia e perfino gentilezza (distratta). Ma soprattutto io non rinunzio a tentare di conoscerlo, discorsivamente voglio dire. So bene che le domande sono un sistema sbagliato, ma ci ricasco; lui è seduto davanti a me, immerso in un libro (magari in un fumetto).
Io provo a incominciare un discorso e per di più su temi generali. Senza alzare il capo risponde: – Non so.
Quando succhiava il mio latte, mi sembrava feroce. Come se allattassi un leoncino (infatti mordeva). […]”
Impietosa registra il proprio vano arrovellarsi su un personaggio vicinissimo (‘una parte di me”) e al tempo stesso lontanissimo, come solo un figlio può essere, così intimo ed estraneo, infedele, capace di inganni (“mi tradiva”). Cioè un personaggio estremamente interessante per lei, madre, non in quanto figlio, ma in quanto uomo, in quanto persona.
“Comunque, io mi sono messa a scrivere di lui nell’intento – a livello della coscienza – di ricomporre, così da poterlo leggere (come si dice «leggere un quadro») un personaggio ermetico e perciò stesso emblematico. Ebbene, temo di avere appena scalfito – o forse nemmeno – il blocco della sua personalità. Temo di avergli girato intorno, come nella vita”.
Vittorio Sereni nell’intervista a Lalla Romano prima della pubblicazione, definisce l’opera in fieri ‘un libro di memoria’ volendo significare con ciò un modo particolare di scrittura, di ideazione e impostazione; non memoria come vezzeggiamento dell’infanzia o del passato ma memoria come metodo. Un modo di arrivare alle cose aggirando le cose stesse. In casi del genere, si dice che la memoria è al tempo stesso storia, fa storia, la memoria riesce a comporsi in storia e a dare il senso di una storia. Il senso che si potrebbe dire storico delle cose che vengono affrontate. Per cui non è il vago della memoria ma il concreto della memoria.
“In questo libro la memoria è uno degli elementi contro cui lotto…- aggiunge Lalla Romano – io sono disordinatissima ma di mio figlio avevo raccolto i documenti e li avevo messi in uno scatolone, ho ritrovato questi relitti della sua infanzia e adolescenza (lui ha sempre distrutto le cose che faceva, ma io qualcosa ho salvato). Relitti molto significativi…tra i tanti ho scelto quelli che mi parlavano ancora e ho scoperto che cose importantissime le avevo completamente dimenticate. Perciò c’è anche una sorta di odio-amore in questo mio libro.[…] C’è un personaggio piuttosto ermetico, intorno a cui io, appunto, appassionatamente giro; nello stesso tempo c’è la coscienza di me come madre che entra enormemente in crisi. Cioè un’accusa, un’autoaccusa continua. Di modo che questo libro è anche un libro sugli errori delle madri”.
Pochi istanti hanno bruciato
tutto di noi: fuorché due volti, due
maschere che s’incidono, sforzate
di un sorriso.
Patrizia Raveggi
Commenti recenti