Lorenzo Bernardo – La visione di Euridice
La visione di Euridice
Tu su nube prostra in olimpio accento,
sopra fronde di melo e la verzura
qual pampini, e di mirto ed in concento
il lauro, e su molle di fior natura
di ligustri, e crochi e in lor augumento
gli acanti, di ofiti e gemme sì cura
avesti di aggiogar del nembo pome
di prune e fraghe nella selva dome.
le fulgenti di luce le pie mamme
mostravi, trasparente e porporino
il velo onde mostrava vampe, fiamme
di un variopinto lume, il qual destino
volle ‘l tuo bel seno, e come di damme
il grembo, e il ventre e lo resto bel tutto,
venusto di Vener empireo frutto.
Nostro angel, due ali di puro cristallo
hai, ed hai alle piume in quel sì bel finire
alle punte vermiglie qual corallo
di rose gli accenni, ed in quel cucire
entro il cristallo in niveo, e sì pur giallo,
ed in viola ed in rubizze e altre lire
molli spume di quell’ambrosia santa
che in tutto il bel seno Dio le ali ammanta.
Tu poi angelico duce, Grazia, nostra
pugnace, ad un palmo una spada impugni,
e il nembo fendi, variopinta chiostra
che sproni, dai accenti d’ira e allor pugni.
Quindi sulla lama in tutta sua mostra,
un viluppo che poi dall’elsa ai pugni
passa è di spine del prisco martire,
e al qual diede il Verbo crine e disire.
Poi nel palmo di nieve, a quell’opposto,
impugni quella gran Terra e conquista
che seppe dar a Foroneo quel mosto
antiquo, il qual dopo Pandora acquista
in gran concento dal divin preposto,
d’amor mostrando la suave vista,
e in quella mostrando tu i suoli e l’acque,
gli arboreti, i pelaghi e quel che nacque.
Oimè sul volto di vermiglio foco
vi è alla fronte tra vampa, ardor e face,
quel molle intreccio in sì fiorito giuoco
che a quella ghirlanda di viver piace.
Non vi furo ligustri o fior di croco,
ma quell’angelica del suolo trace
un serto ebbe di porporine rose
e qual giaccio i gigli; chiome amorose.
Quindi al fastigio ne’ sì virgo cieli
par una croce di fiamme costrutto,
onde quei quattro de’ martiri i veli
al centro aureo ebbero sì inclito frutto.
Tra fronde e fior, e quanto ben si celi
nell’oriental Parnaso, in quel bel tutto
fulge una poma aurifera e suave,
la qual è della Terra e del ciel chiave.
Poi sotto il nembo ov’è Euridice assisa,
coi petali al suol mollemente vòlti
v’era una purpurea rosa, conquisa
da quel del Janna gli olimpi raccolti,
dove da ninfe di nettare intrisa
prostrò i suoi olezzanti vermigli volti,
e di un lucore in tutto ella fulgeva
rimembrando tempo d’Adamo ed Eva.
Infine al suolo, nel profondo Averno,
ai piè di quella rosa molle e aurata
parve qual in cielo vampa nel verno
perfetta una sfera, tonda e limata.
Tutta quella coreuta in suo governo
col cantar e la carola beata
mover la facea, e con quel il volume
dell’Universo e d’Olimpo le piume.
Lorenzo Bernardo
Lorenzo Bernardo nasce a Capua il 21/08/1991. Da autodidatta intraprende una particolare visione della scrittura attraverso una fervida passione per l’italiano arcaico o italiano volgare, un arcaico che vuole non eccessivamente marcato. L’autore partecipa a diverse collane di poesia e all’Enciclopedia di poesia italiana della Fondazione Mario Luzi volume 8. Inoltre ha pubblicato con Albatros il Filo nel 2014 una silloge di poesie, Le Rime, e nel 2016 con la Giuseppe Vozza Editore un poema in terzine dantesche ed endecasillabi rivisitando il testo biblico e il poema dantesco in chiave ironica col nome di La Dragocrazia. Pubblica quindi nel 2019 per la Città del Sole Edizione la silloge di poesie Il tripode di Delfi.
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