Luca Palmarini – Le vacanze durante la Repubblica Popolare Polacca
Trent’anni. Il quattro giugno 2019 sono passati esattamente 30 anni dal quel giorno quando in Polonia si svolsero le prime elezioni (semi)libere dopo il lungo periodo del dopoguerra in cui il paese aveva fatto parte dell’orbita sovietica.
Eravamo in quel magico 1989: improvvisamente i regimi comunisti dell’Europa orientale caddero uno dopo l’altro, quasi con un effetto domino, spazzati via da quel “Wind of change”, immortalato in una canzone anch’essa ormai entrata nella storia.
Allora tutti noi all’Ovest iniziammo a renderci conto dell’esistenza di un’altra Europa, dalle lingue strane, spesso impronunciabili, dalle automobili diverse dalle nostre, un’ Europa fatta di persone dai volti severi, di persone allora per la maggior parte povere, ma dal cuore grande e con una gran voglia di aprirsi al mondo.
Mentre nei primi anni Novanta visitavo la Polonia spesso mi chiedevo: “ Durante il regime socialista, durante la dittatura i polacchi erano liberi di viaggiare? Chissà, forse non tutti, forse erano controllati, probabilmente avevano delle limitazioni”. Allora, curioso come sempre, inizio a chiedere, leggere e cercare notizie riguardo a quel periodo in cui vigeva il socialismo reale, periodo che in terra polacca viene semplicemente definito PRL, acronimo di Polska Rzeczpospolita Ludowa, ovvero Repubblica Popolare di Polonia.
Nelle machiavelliche elucubrazioni del Partito le vacanze di massa dovevano diventare uno dei più grandi successi del socialismo reale. Garantire un periodo di riposo e di sfogo, lontano dal tran tran di tutti i giorni, veniva considerato dalle autorità un obiettivo quasi alla pari della lotta all’analfabetismo.
Proprio per questo motivo nel 1952 tale riconoscimento venne persino inserito nella costituzione: “I cittadini della Repubblica Popolare Polacca hanno diritto a periodi di riposo”. Già nei primi anni del Secondo Dopoguerra in Polonia venne istituito il Fundusz Wczasów Pracowników (FWP), un’organizzazione statale che si occupava della realizzazione delle vacanze dei dipendenti. Quest’istituzione si impegnava a coprire i costi di buona parte delle ferie che spettavano al lavoratore.
Naturalmente, non si trattava solo di offrire a chi lavorava una meritata vacanza, di permettergli di staccare la spina, di allontanarsi dalla routine quotidiana, ma era anche una fantastica occasione per indottrinare la massa, per insegnare ai cittadini ad amare il regime e le sue iniziative. Era la ricerca del consenso.
Operai, impiegati dell’apparato burocratico, minatori, contadini delle fattorie collettive provenienti da ogni dove vedevano il mare o le montagne per la prima volta. Chiaramente il regime si attribuì pienamente la paternità di questo fenomeno che indicava l’arrivo del benessere, raggiunto con il socialismo. In realtà, come ben sappiamo, la nascita del turismo di massa non fu solo prerogativa del blocco comunista, ma coinvolse anche il mondo occidentale, sebbene in modo differente. E a noi questa differenza interessa.
Negli anni Cinquanta, grazie alla potente organizzazione del Fondo dei lavoratori, la vacanze organizzate proponevano come destinazione località all’interno del paese. Il regime era convinto che una migliore conoscenza della propria patria avrebbe reso le persone dei cittadini modelli che amavano il loro paese, che ne apprezzavano lo sviluppo. Il tutto illuminato dal sol dell’avvenire che il nuovo sistema politico stava offrendo al proletariato, organizzandogli vacanze perfette.
Naturalmente non tutto era rose e fiori: il lavoratore era sospettoso, spesso era a conoscenza del fatto che i dirigenti del partito o chi era ad essi legato otteneva delle condizioni di vacanza migliori di lui, così come sapeva bene che tra la gente che avrebbe conosciuto in vacanza c’erano degli agenti dei servizi segreti che carpivano notizie e informazioni sui cittadini che andavano in vacanza. Ogni critica al sistema sarebbe stata annotata. Inoltre era credenza comune che chi non avrebbe accettato la vacanza proposta dal governo sarebbe entrato a far parte di una lista di sorvegliati speciali, sospettati di attività sovversive contro il governo.
Nonostante ciò le ferie organizzate dal potente apparato burocratico del partito furono una sorta di esperimento sociale che in alcuni casi ebbe anche degli effetti positivi. Spesso le persone meno istruite passavano i primi giorni delle loro ferie in una sorta di isolamento, chiuse in una stanza della struttura alberghiera dove si erano recate o a passeggiare in totale solitudine, proprio per la paura di sentirsi inferiori agli altri per la mancanza di un certo livello di istruzione o per il timore di non conoscere le regole del savoir vivre. La mescolanza con altri gruppi sociali, però, li avrebbe invogliati a fare attenzione a certi comportamenti, al modo in cui si esprimevano e vestivano, a curarsi di più, insomma. Fino agli anni Settanta le strutture di ricezione turistica venivano messe a disposizione dei soli dipendenti che si recavano in vacanza senza la famiglia. Ci si trovava, dunque, in un ambiente completamente nuovo, dove tutti erano perfetti sconosciuti. Era allora pratica comune arricchire le notizie riguardanti la carriera professionale per aumentare il proprio prestigio sociale di fronte agli altri. Il succitato anonimato facilitava anche la nascita di storie d’amore: da una parte c’era chi, per sfuggire alla vita di tutti i giorni, si lasciava attirare in relazioni extraconiugali, dall’altra c’era addirittura chi andava alla ricerca della futura moglie o marito. Naturalmente le menzogne erano molto diffuse e, di conseguenza, spesso anche le delusioni.
Nella maggior parte dei casi queste strutture erano spartane, dotate di pochi bagni che erano condivisi da molti, ma l’atmosfera che si respirava era comunque positiva. Solo in alcuni casi si avevano a disposizione degli edifici di un certo livello che prima della guerra erano proprietà di ricchi possidenti e che con l’avvento del comunismo erano stati espropriati.
Lo Stato finanziava al lavoratore due terzi del viaggio. Si calcola che durante il governo di Gierek alle ferie ogranizzate abbia aderito il 40 % della popolazione del paese. Nel 1978 il numero dei polacchi che si erano recati in vacanza arrivò a superare i 4 milioni e mezzo.
Naturalmente si stavano sviluppando altri modi di fare le vacanze, più vicini a quelli occidentali. Uno di essi era quello di andare in campeggio. Bastavano una tenda, una bombola a gas con fornelli, conserve e un binocolo. Il resto era pura felicità creata da un laghetto o da un fitto bosco.
Intanto le vacanze cambiavano continuamente aspetto: all’FWP si affiancarono dei centri per le vacanze amministrati direttamente dagli stabilimenti siderurgici e dalle miniere più ricche. Si sviluppavano così le località sul Baltico e le strutture ricettive in esse create, ma anche molte località di montagna come Krynica Zdròj, Połczyn Zdrój o Szczyrk. In tutte le ditte, anche in quelle più piccole che non possedevano proprie strutture ricettive, era popolare organizzare delle brevi gite, anche di una giornata, per andare a funghi. Si andava tutti insieme e si univa l’utile al dilettevole, portando a casa un prodotto da consumare in seguito. Dopo la “caccia al fungo” si festeggiava in loco con canti e vodka.
Era molto popolare anche l’autostop. Negli anni Sessanta la cantante Karin Stanek, artista della generazione big-beat, cantava: “Autostop, autostop, wsiadaj bracie, dalej hop. Rusza wóz, będzie wiózł, nas dziś ten wóz. będzie wiózł”, “Autostop, autostop, siediti fratello, andiamo oltre, hop. Parte la macchina, ci porterà, oggi questa macchina ci porterà”. Per un certo periodo il regime invogliò a questo tipo di viaggio con documenti che premiavano chi dava un passaggio a questi viaggiatori.
Negli anni Sessanta i polacchi iniziarono anche a recarsi all’estero per le vacanze. Come è facile immaginare, le destinazioni erano gli altri paesi del blocco orientale. Le località erano diverse: il mar Nero in Bulgaria, la ricca Jugoslavia, il lago Balaton ovvero il mare d’Ungheria. Al piacere di viaggiare si univa l’utile di concludere qualche affare. In Cecoslovacchia si esportavano sigarette, mentre dalla DDR si importavano le scarpe. Dalla Jugoslavia si faceva un salto in Italia, a Trieste o Gorizia, dove si compravano i jeans. Si faceva incetta di frutta che in certi casi in Polonia scarseggiava.
I polacchi partivano con le loro 126 e 125p cariche di pacchi all’inverosimile, si viaggiava in condizioni spartane, ma c’era la cosa più importante, l’euforia e la voglia di evadere.
E papaveri del partito? Anche loro se ne andavano in vacanza e di sicuro se la godevano più degli altri. Già dal 1946 il Ministero della Sicurezza Pubblica diede inizio alla realizzazione di strutture ricettive destinate ai funzionari di partito. Spesso si trattava di posti sorvegliati, dove regnava l’ossessione dello spionaggio. Per il Comitato Centrale del Partito Comunista vennero realizzate strutture per esempio a Zakopane, Jurata e Sopot.
Per il riposo delle più alte cariche dello Stato vennero destinate le località di Łańsk e Arłamów. Si trattava di due località ai tempi nemmeno segnalate sulle mappe e denominate in codice W1 e W2. Łańsk, W1, si trova in Masuria, su una striscia di terra tra due laghi. La struttura, voluta dal segretario del partito Bolesław Bierut, venne realizzata su un vecchio campo estivo della Hitlerjugend. Per la sicurezza dei grandi capi vennero persino fatti allontanare gli abitanti delle località vicine. A Łańsk amava passare le vacanze Władysław Gomułka; qui, oltre al primo segretario, aveva accesso una ristrettissima cerchia di funzionari del Consiglio dei Ministri. Ospiti della segretissima struttura turistica furono, tra gli altri, Tito, Chruščëv, Brèžnev.
Anche Arłamów, W2, era una località misteriosa: realizzata al confine con l’URSS, nel sud della Polonia, era un’area off limits creata da un gruppo di villaggi dove gli abitanti di origine ucraina erano stati mandati in Unione Sovietica subito dopo la guerra.
Dopo il 1989 tutto è cambiato, la privatizzazione ha portato alla nascita di agenzie di viaggio private su modello occidentale, mentre quelle di Stato, in parte anch’esse privatizzate, sono lentamente sparite, assorbite dal rapido sviluppo del settore turistico. Il turismo è diventato globale.
Naturalmente ci sarebbe molto di più da scrivere su quel periodo; le singole esperienze dei viaggi durante il comunismo offrono interessanti spunti che in un futuro, spero prossimo, mi prometto di raccontare. Per ora, ho introdotto questo fenomeno che senza dubbio suscita la nostalgia di alcuni e la curiosità di altri che invece non l’hanno vissuto.
(Luca Palmarini)
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