Matteo Mancini – Jan Švábenický un italiano di cekia (seconda parte)
link alla prima parte dell’intervista QUI
M.M.: Secondo te, Dardano Sacchetti, a cui fu proposto di scrivere un weird western a fine anni settanta, fece bene a convincere la produzione a utilizzare l’idea per Zombi 2 (poi diretto da Lucio Fulci, dopo la rinuncia di Enzo G. Castellari) piuttosto che di realizzare un copione western-horror grandguignolesco virato al fantastico? Sarebbe potuta essere, invece, la via per dare nuova linfa al western all’italiana, come già aveva cercato di fare lo stesso Lucio Fulci con I Quattro dell’Apocalisse, pescando direttamente dalla tradizione dei pulp magazine americani e cucendo tra loro più racconti di Bret Harte?
JŠ: Penso che se Dardano Sachcetti era convinto che il suo soggetto fosse più adattabile all’horror e generalmente alla linea di genere fantastico, allora la sua intuizione era giusta, perché il film di Lucio Fulci ebbe molto successo di pubblico. Se il soggetto di Dardano fosse stato realizzato al servizio di un film che combinava western e horror con i zombi, avrebbe di certo potuto essere un nuovo indizio creativo funzionale a dare avvio a una nuova linea del genere. Soprattutto quando vediamo che tali film sono stati effettivamente realizzati in seguito, anche se non in Italia. Tuttavia, ci stiamo muovendo su un livello speculativo, quindi è difficile dirlo, ma ci sarebbe stata sicuramente una possibilità per un nuovo concetto di western italiano.
M.M.: Hai una conoscenza diretta dei fumetti italiani dedicati al mondo western? Cosa ne pensi delle sceneggiature dove, peraltro, l’ibridazione di cui sopra non tarda a manifestarsi negli albi, tra gli altri, di Tex e Zagor.
JŠ: Ho letto alcuni fumetti western italiani, in particolare le storie sul pistolero superuomo Tex Willer di Giovanni Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini. Se torniamo alle fonti culturali del western italiano, penso che questi fumetti siano stati per il genere molto più stimolanti rispetto ai western americani. Possiamo rintracciarne le influenze sia nella caratterizzazione dei personaggi che nelle singole situazioni drammatiche e d’azione che li coinvolgono. A esempio, i western con Giuliano Gemma, che spesso combinava recitazione con acrobazie e ginnastica, ne sono una caratteristica dimostrazione. Dopotutto, Gemma ha finito per interpretare il pistolero Tex nel film Tex e il signore degli abissi (1985) di Duccio Tessari.
M.M.: Quentin Tarantino, da sempre grosso cultore del western italiano, ha omaggiato continuamente maestri quali Sergio Corbucci, Sergio Leone, Giorgio Ferroni ma anche registi minori quali Giuseppe Vari (penso a Prega il Morto e Ammazza il Vivo) o Giancarlo Romitelli (Lo Chiamavano King) e altri, anche in film diversi da quelli specificatamente western, penso a C’era una Volta a Hollywood, Bastardi senza Gloria o Kill Bill vol.2. Cosa pensi dei suoi lavori, relativamente al rapporto col cinema italiano di genere?
JŠ: Penso che Quentin Tarantino, con la sua passione e il suo entusiasmo per i generi popolari del cinema italiano, abbia aiutato questi film a tornare alla ribalta e a interessare una generazione più giovane di spettatori e appassionati. Allo stesso tempo, Tarantino ha affrontato il cinema popolare italiano in modo molto raffinato e sofisticato, sotto forma di riferimenti ben riconoscibili, ma anche di enigmi criptati che lo spettatore deve scoprire nei suoi film. A suo modo, è anche un’interessante educazione cinematografica, quando lo spettatore è direttamente esposto alla sensazione di incontrare qualcosa che ha già visto da qualche altra parte.
M.M.: Negli anni sessanta e settanta, oltre ai registi italiani, vi erano molte valide maestranze e ottimi registi spagnoli. Penso ai fratelli Marchent, ai Balcàzar, a José Luis Merino, a Mario Camus, per non parlare di registi che col western hanno avuto un ruolo marginale, quali Amando de Ossorio o Jess Franco che si è limitato a scrivere copioni. Cosa pensi del cinema spagnolo di genere di allora e quali sono i film, a tuo avviso, da recuperare nell’ambito del western a trazione ispanica?
JŠ: La produzione di generi popolari nel cinema spagnolo è ricca quanto quella italiana, quindi ci sono molti film da scoprire e riesaminare. La cinematografia spagnola è, a mio avviso, la più vicina al cinema italiano, perché ci sono state frequenti coproduzioni e collaborazioni creative. Per quanto riguarda il western spagnolo, anche qui si possono rintracciare differenze in molti film rispetto ai film italiani, in quanto registi e sceneggiatori spagnoli hanno spesso seguito la strada sia di citare la cultura spagnola sia di raccontare il western in forme letterarie come il dramma o la tragedia.
M.M.: Oltre al western italiano, che credo essere il tuo cinema di elezione, hai una passione per altri generi italiani? Che film apprezzi e perché?
JŠ: Sono completamente interessato al cinema italiano perché è molto vasto e ricco. In particolare, i generi popolari che sono stati ingiustamente ai margini per molti anni sono i più interessanti per me. Non mi identifico nei pregiudizi estetici e nello snobismo intellettuale dei critici cinematografici, che in tal modo ignorano la vera essenza culturale del cinema. Molti di noi sono cresciuti guardando prodotti popolari appartenenti al western, al film d’avventura o alle storie d’azione, quindi perché non dovremmo continuare a guardare questi film? Non posso dire quali film siano i migliori perché non voglio favorire alcuni registi o sceneggiatori rispetto ad altri. Penso che ognuno di loro e i suoi film siano interessanti in qualcosa, ed è sempre possibile scoprire qualche argomento su cui scrivere o pensare.
M.M.: Purtroppo dalla fine degli anni ottanta a oggi il cinema di genere italiano, pur non mancando di offrire qualche buon prodotto, fatica. In Spagna, invece, vi è stata una formazione e uno sviluppo che, a mio avviso, ha portato di gran lunga a un superamento del cinema italiano nell’horror e nel thriller, grazie all’apporto di produttori quali Brian Yuzna e Stuart Gordon che hanno formato personalità del calibro di Jaume Balaguero, Paco Plaza, Alex de la Iglesia e altri. Cosa pensi di questo? In Repubblica Ceca cosa si dice dell’attuale cinema italiano?
JŠ: Penso che i generi popolari siano ancora presenti oggi nel cinema italiano e non siano mai scomparsi del tutto. Sono cambiate le condizioni di produzione e la tecnologia cinematografica, ma è rimasto l’interesse per il genere, anche se la produzione di riferimento non è più ricca come prima. Nell’ambito del western italiano si possono citare i film di Emiliano Ferrera, molto innovativi e interessanti dal punto di vista tematico, di genere e iconografico. Così sono i ritorni di vecchi maestri, come Dario Argento recentemente con il suo nuovo film Occhiali neri (2021), in cui si rifà per stile e tematiche ai suoi primi film come Il gatto a nove code (1970). La migliore tradizione dei generi popolari italiani vive e continua, solo in modo diverso e con uno stile diverso.
M.M.: Dalla lettura dei tuoi testi e dei tuoi contributi si nota una passione per l’Italia che va oltre al cinema. Sei sempre molto attento agli aspetti socio culturali e, soprattutto, alla storia del cinema agli albori del genere, ben prima dell’approccio commerciale che si sarebbe affermato in larga scala dapprima col peplum e poi col western. Che relazione trovi tra lo sviluppo cinematografico italiano e gli aspetti socio-culturali dell’Italia dell’epoca?
JŠ: La cinematografia non esiste mai di per sé ed è influenzata sia da impulsi dall’interno che da stimoli dall’esterno. Vari aspetti socio-culturali come la letteratura, il teatro, le belle arti, la musica, la moda, ecc. giocano sempre un ruolo molto importante in questo processo. Questo vale anche per la cinematografia italiana, che, grazie alla ricchezza della cultura italiana, è molto aperta ad assorbire diversi elementi stilistici e contenutistici. Se dovessimo tornare al western italiano, possiamo trovare qui, ad esempio, non solo l’iconografia cristiana e gli elementi religiosi, ma anche riferimenti alla moderna cultura popolare, alle questioni sociali e politiche dell’Italia degli anni ’60 e ’70, ai fumetti, tragedia antica, ai drammi shakespeariani, alle composizioni di Beethoven ecc. Dunque un ampio spettro di influenze che vanno a costituire un insieme solido e compatto.
M.M.: Recentemente è uscito in Italia un film legato alla tradizione spaghetti western, al cinema di Quentin Tarantino e, al tempo stesso, agli esperimenti proto-western curati da Pietro Germi (penso a In Nome della Legge e Il Brigante di Tacca del Lupo) o Umberto Lenzi (Duello sulla Sila). Si tratta de Il Mio Corpo vi Seppellirà (2021) di Giovanni La Parola. L’hai visto? Cosa ne pensi?
JŠ: Purtroppo non ho ancora visto il film di Giovanni La Parola, ma sono molto curioso e non vedo l’ora di vederlo. Ma come dici tu, gli elementi del western trasposti in altri generi collocati nel contesto italiano sono sempre esistiti in Italia. Oltre ai film che citi, possiamo indicare, a titolo di esempio, Cavalcata selvaggia (1960) di Piero Pierotti. I materiali di distribuzione pubblicitaria dell’epoca descrivevano il film di Pierotti come segue: “Il primo film western italiano nella romantica cornice dell’800”. Sebbene si tratti di un film ambientato in Italia (e girato a Tirrenia, n.d.r), i distributori parlarono di western per attrarre nelle sale il pubblico dell’epoca ricorrendo a uno slogan sensazionale.
M.M.: Parliamo dei western americani del nuovo secolo. Quanto pensi abbiano influito su di essi i western italiani e quali sono i tuoi preferiti e perché?
JŠ: Confesso di aver visto pochissimi western americani contemporanei, poiché dedico la maggior parte del mio tempo ai generi popolari del cinema italiano o ai western emergenti in Europa. Tuttavia non perdo mai i film di Quentin Tarantino, e mi interessano le citazioni e i riferimenti di cui abbiamo già parlato. Nel tempo libero torno a leggere i romanzi d’avventura che ho letto nella mia infanzia e adolescenza. Negli ultimi anni ho riletto i romanzi di Emilio Salgari, che sono pieni di suspense, narrativamente ramificati e con personaggi caratterizzati nel dettagliato.
M.M.: Hai avuto modo di conoscere e di intervistare grandi autorità del cinema ceco e italiano, penso a Ennio Morricone, Sergio Martino, Enzo G. Castellari, Jan Gogola Jr, Nico Fidenco, Aldo Lado e altri, hai persino pubblicato un libro di interviste per le Edizioni il Foglio (Aldo Lado & Ernesto Gastaldi – Due Cineasti, Due Interviste). Cosa ci puoi dire di queste esperienze e che aneddoti puoi regalarci.
JŠ: Con tutti quelli che citi e molti altri è stata una grande e irripetibile esperienza, grazie alla quale ho potuto avere una preziosa visione del cinema italiano dal punto di vista degli addetti ai lavori. Ho conosciuto di persona Ennio Morricone, Aldo Lado, Enzo G. Castellari e Sergio Martino. Sono sempre stati incontri molto piacevoli e amichevoli. Jan Gogola è stato il mio professore all’università. Da lui ho imparato molto sui western cecoslovacchi, ai quali ha collaborato come drammaturgo. Ho un ricordo molto vivo di Ennio Morricone, con cui ho parlato a Praga delle sue musiche per i film di Aldo Lado. Quando ho detto a Morricone il nome del regista Lado, ha ripetuto il nome con molto entusiasmo, enfasi e grande sorriso, ed è stato molto contento dell’argomento della conversazione. Gli è piaciuto molto anche il mio libro di interviste con Aldo Lado ed Ernesto Gastaldi. Inutile che ti dica che ciò è stato un grande onore per me; pensa, ricevere un omaggio da una personalità come Morricone… cosa avrei potuto chiedere di meglio?.
M.M.: Parliamo del cinema ceco. Cosa esce dalle tue parti di prodotti di genere popolare, penso al western, al giallo, alla fantascienza e all’horror? C’è qualcosa di buono?
JŠ: Come l’Italia, abbiamo sempre avuto una ricchissima produzione di generi popolari. Soprattutto negli anni ’60 e ’70, alcuni film di registi come Oldřich Lipský, Jindřich Polák o Václav Vorlíček sono stati proiettati anche nei festival cinematografici italiani, ad esempio alla rassegna di film di fantascienza a Trieste. Alcuni hanno ricevuto offerte all’estero per girare coproduzioni e film stranieri, ma a causa della struttura politica della Cecoslovacchia, all’epoca nell’area del regime comunista, ciò era difficoltoso. A ogni modo i generi popolari sono esistiti ed esistono nel nostro Paese come nelle altre sale cinematografiche nazionali. Ancora oggi, grazie alle nuove possibilità espressive e tecniche del cinema, nel nostro Paese nascono gialli, thriller, horror e altri generi. Spesso si tratta di film indipendenti o amatoriali realizzati da appassionati e entusiasti.
M.M.: Chiudo, così come abbiamo iniziato, con la classica domanda: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
JŠ: I miei progetti futuri nascono sempre da una riflessione a lungo termine su nuovi argomenti, per i quali esamino la realizzabilità concreta o meno. Per le riviste non è un problema inventare nuovi argomenti, ma per i libri, che richiedono molta più concentrazione e dettaglio, è sempre un processo più lungo. Al momento, sono in uno stato in cui, dopo un ampio libro sul western italiano, mi sto dedicando ai contributi alle riviste e accumulando gradualmente idee per progetti futuri più ampi. Spero un giorno di scrivere qualcosa di più ampio in italiano, visto che in Italia ci sono tanti appassionati e interessati ai generi popolari e alla cultura popolare in generale.
Matteo Mancini
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