Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario 4 – “L’importanza dell’editing”
L’importanza dell’editing (Parte Prima)
Nelle settimane scorse abbiamo discusso di fallimenti, tempo e riscrittura. Stavolta vorrei approfondire un tema che credo riunisca bene questi tre aspetti e ne aggiunga uno ulteriore, ovvero la pazienza. Parliamo di editing. La prendo alla larga e voglio cominciare con la celebre citazione di Flaubert, che diceva «Scrivere significa riscrivere», sottolineando quanto fosse importante avere cura del proprio manoscritto una volta terminata la prima bozza. Non conosco nessuno, geni compresi, che scrivano un libro già pronto per la stampa al primo tentativo. Di solito occorre rimetterci le mani, è un’operazione faticosa che richiede attenzione e, appunto, pazienza. La fretta – l’ho sperimentato sulla mia pelle per partecipare a concorsi o per consegnare il testo prima possibile agli editori – non porta a buoni risultati, a parte qualche caso eccezionale. Tuttavia trovo che le scadenze (se non ce ne sono di ufficiali, stabilitele voi) possano aiutare a concentrarsi sulla produzione e a organizzare il lavoro; semmai si dovrà essere abbastanza bravi a non far scivolare tutto nelle ultime settimane, persino negli ultimi giorni.
Dunque facciamo conto che il vostro libro sia finito, e che vi siate presi del tempo e concessi anche un secondo giro, andando a rivedere l’intero testo con l’obiettivo di migliorarlo. E ora? La fase successiva si chiama editing, e forse già in molti sanno di cosa sto parlando. Ma vediamo di entrare bene nella questione, perché ci sono diverse possibilità in questo senso. L’editing – una revisione, talvolta anche sostanziale, del manoscritto – può essere effettuato da figure differenti, che siano:
1- una persona fidata, che magari conosce la vostra scrittura ma che non sia legata a voi da un rapporto troppo vicino. Meglio infatti lasciare da parte parenti e amici stretti, perché di solito si pongono ai due estremi di un’asticella: da una parte chili di complimenti, sviolinate, encomi (roba come «Oh ma quanto sei bravo!» oppure «Ma dove sei stato fino a questo momento? Che aspetti a pubblicarlo… forza, è un capolavoro!» o al massimo un solo aggettivo in stile Washington Post «Meraviglioso», «Eccezionale»); dall’altra allusioni nel migliore dei casi, sennò critiche sanguinose, nette stroncature, persino offese (per intenderci: alla maniera di Bukowski «E così vorresti fare lo scrittore?» o «No no, non ci siamo proprio…» oppure un più diretto «Fa schifo!»). Insomma, meglio evitare persone troppo coinvolte in un qualche tipo di rapporto che vi riguarda. E se mi dite che Stephen King passa sistematicamente attraverso l’approvazione della moglie Tabitha prima di girare il libro all’editore, beh sì, d’accordo, ma dovrete ammettere che non si tratti certo dei primi due sprovveduti là fuori (le eccezioni, lo ripeto, esistono!). Io dico che fate bene a guardarvi in giro e, se siete fortunati, magari trovate pure qualcuno che non vi fa pagare un euro… perché allora non cominciare a fare un appello per sentire se ci sono vittime prescelte? (scherzo eh, intendevo nel senso di “persone disponibili”);
2- un esperto del settore, come un agente letterario oppure un libero professionista che lavora come editor o redattore. In questo caso sarà utile chiedere diversi preventivi, sondare le molte opportunità offerte dalla rete, perché le tariffe possono variare in base a chi interpellate. Solitamente c’è un tariffario che funziona a seconda del numero di cartelle complessive (per cartella editoriale standard, è bene precisarlo, si intende un formato pagina ideale di 1800 battute: 30 righe per 60 battute ciascuna e il calcolo è presto fatto), ma il costo totale può anche variare in base al tipo di intervento da apportare al testo. Consiglio: state attenti alle fregature, ché in questi anni mi è capitato di sentire di gente che ha pagato subito e poi non gli hanno corretto un bel nulla (non dico che succeda spesso, ma c’è sempre qualche furbacchione, sicché andate sempre a vedere nei forum e nei siti specializzati se ci sono notizie in merito a quello o a quell’altro nome);
3- collaboratori (una volta si diceva “dipendenti”, ma in questo ambito mi sa che hanno eliminato la parola) di case editrici. Ora, intendiamoci, può sembrare scontato che le case editrici facciano l’editing su un libro che sta per andare in stampa, ma se avete già pubblicato – magari con un editore di minuscole dimensioni o con uno che vi ha fatto pagare il famoso “contributo” – può darsi vi sia successo il contrario. Certi editori non fanno altro che prendere il file che gli mandate in word, impaginarlo alla cazzo di cane e girarlo a loro volta alle stamperie (magari, voglio dire, non c’è nemmeno un grafico o un impaginatore che si occupa di questo; magari, voglio dire ancora, l’editore è lo stesso che fa l’editing e dà pure lo straccio prima di andare via la sera; magari, voglio dire e poi mi fermo, quello i libri non li corregge o non li fa correggere perché pensa che questo in fondo non sia così importante… oppure ha già intascato i soldi che gli interessavano, si torna sempre lì). Ovvio però che in questi casi l’unico fattore che fa da discriminante non sia tanto che quell’editore sia piccolo o sia a pagamento, quanto che sia un cialtrone e, aggiungo, un emerito stronzo (va bene, ci ho preso la mano, ma ora smetto…);
4- particolari forum di siti letterari (come, per esempio, Writer’s dream) che permettono di caricare la propria opera (di solito in questo caso si parla di racconti) e di ricevere consigli per migliorarla. Se il sito è abbastanza buono, troverete gente onesta che vi dirà in maniera del tutto spassionata cosa ne pensa del vostro scritto e saprà dirvi pure se funziona o meno. Un solo parere magari non fa testo, ma cinque o sei cominciano a essere un discreto campione;
5- alcuni concorsi letterari consentono di entrare in un circuito in cui la valutazione è reciproca: tu giudichi e vieni giudicato da tuoi pari. Certo, in questo caso ci può essere sempre quello che io chiamo “il Giustiziere”, cioè il bastardo che dà voti bassi a tutti perché crede che così vincerà, ma di solito quello viene individuato come un giudice poco attendibile e ciao. In genere, la media si comporta in maniera democratica, convinta che anche gli altri faranno lo stesso quando valuteranno la sua opera.
Ecco, mi sono reso conto che le cose da dire sull’editing sono parecchie, quindi per stavolta mi fermo qui e vi rimando al prossimo mese. Adesso andate a scrivere, che è tardi. Via, non perdete tempo e andate. A proposito di tempo (sì, sempre lui, ci tormenta), vi lascio con una citazione di Claire DeLannoy, editor e scrittrice francese che ritroveremo la prossima volta: «Scrivere non dipende dal tempo: il tempo si ruba, all’occorrenza, lo s’imprigiona, lo si annulla; tutto ciò che prende a pretesto il tempo non si fonda su una vera posta in gioco».
Mirko Tondi
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