Mirko Tondi - Brandelli di uno scrittore precario n° 11 - Premi letterari e luoghi comuni (prima parte)

Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario n° 11 – Premi letterari e luoghi comuni (prima parte)

Nello scorso articolo avevo parlato del concorso DeA Planeta, e dunque qui, riprendendo il discorso sui premi letterari come avevo promesso, rischio per la prima volta di essere in linea con il tema lanciato dalla rivista, ovvero in questo caso quello dei “ritorni” (e dico “rischio” perché non si sa mai, vista l’irresistibile attitudine alle divagazioni che mi affligge quando scrivo). Si direbbe, usando una frase ormai ampiamente sfruttata, che si tratta di un ritorno sulla scena del delitto (che poi, quando la sento, a me viene sempre in mente Profondo rossodi Dario Argento). Piccola parentesi (a proposito di divagazioni): quell’ultimo articolo l’avevo concluso con le parole “tirerò dritto”. Leggendo poi un articolo di Alessandra Tarquini su La Lettura (ottimo inserto settimanale del Corriere della Sera), veniva citata proprio l’espressione “tiro dritto” tra gli interventi mussoliniani più celebri. Quindi, senza saperlo, a quanto pare mi sono ritrovato a utilizzare un’espressione fascista, per il fatto che sia entrata a far parte del linguaggio di tutti i giorni. Eh sì, le parole sono importanti, come diceva Nanni Moretti in Palombella rossa. Eppure a volte le dici senza pensarci e ti ritrovi in un attimo a dichiarare i tuoi intenti politici. Lungi da me, non è proprio da quella parte che sto. Ma, come direbbe il barista filosofo del film di Billy Wilder Irma la dolce (prima ancora del narratore di La storia infinita), questa è un’altra storia. E ora, concludendo questa scia iniziale di luoghi comuni (l’altra volta avevo introdotto l’argomento con il giochino delle canzoni, oggi con questa pioggia di banalità… ma non ci sarà un due senza tre, lo giuro!), bando alle ciance – o, come direbbe il buon Bergonzoni, “ciancio alle bande” – e passiamo subito al nocciolo della questione.

Orientarsi nell’oceano di concorsi che popolano la rete non è semplice, va da sé. Soprattutto per chi naviga senza bussola, diciamo così; con questo mi riferisco a tutti quelli che non conoscono molto bene la materia e si siano messi a cercare su internet premi a cui partecipare, ma senza filtri, senza requisiti particolari che possano servire per operare una selezione, seppur minima. Quali possono essere invece alcuni requisiti base di un buon concorso? Cosa lo rende migliore di altri?

Facciamo allora un po’ di ordine con alcuni semplici botta e risposta.

  1. Chi organizza il premio?Può sembrare superflua come domanda, ma non lo è affatto. Il nome dell’ente, dell’associazione o della casa editrice che ha lanciato il bando può essere, da una parte, sinonimo di serietà e professionalità, oppure, dall’altra, un’incognita, se non addirittura un fattore che può scoraggiare la partecipazione. Il premio è organizzato da un editore stimato e di grandi dimensioni o da uno minuscolo e mai sentito prima, da un’associazione di volontariato riconosciuta a livello nazionale o dalla pro loco di un piccolo paese? In quest’ottica sarà utile osservare se ci sono partner illustri o meno che prendono parte all’iniziativa e quali sono i premi messi in palio (ma quest’ultimo punto lo vedremo meglio in seguito);

  2. Il premio ha una storia, delle edizioni precedenti, un’identità precisa, degli obiettivi che intende perseguire? Dare uno sguardo al fatto che si tratti della primissima edizione oppure dell’ennesima dopo una lunga serie può avere il suo peso. Sicuramente sul sito dedicato ci saranno gallerie fotografiche dei vincitori, oltre ai vecchi bandi, i nomi dei giurati, dei finalisti e altre informazioni. Se quel premio è diventato una tradizione e dopo anni continua a essere organizzato, ci saranno dei buoni motivi no? Magari poi c’è un’attenzione speciale nella promozione della cultura in generale, della lettura, della scrittura relativamente a un pubblico specifico, come ad esempio sezioni dedicate solo ai giovani sotto una certa età (in questo campo ci sono anche scelte discutibili: passino quelli under 18 o, che ne so, under 25, ma perché il premio La Giara, che mette in palio la pubblicazione con Rai Libri, è limitato agli autori sotto i 39 anni? Da 40 in poi non si è più “giovani autori”?). Oppure viene valorizzato un genere anziché altri, o ancora un tema (sempre lo stesso o nuovo ogni anno). Il premio potrebbe essere intitolato a un autore in particolare (di solito famoso, ma occhio a quei premi che sfruttano il nome di uno scrittore di richiamo – ovviamente deceduto – e poi sono banditi da case editrici a pagamento). O, per fare un altro esempio, potrebbe essere stato pensato per favorire gli esordienti assoluti, di qualsiasi età (in questo senso il premio Calvinoè il massimo che c’è sulla piazza). Insomma, siamo ancora nel campo delle osservazioni preliminari e già c’è tanto materiale da tenere sott’occhio;

  3. C’è un limite di battute da rispettare? Quasi sempre sì. Per i racconti un limite bisogna pur darlo, e ce ne sono di tutti i tipi: da concorsi per racconti in 100 parole, passando per quelli che prendono come riferimento le cartelle (una cartella editoriale standard è composta di 1800 battute spazi inclusi, ovvero 30 righe per 60 battute), a quelli di dieci o ventimila battute e via dicendo. Per quanto riguarda i romanzi, il discorso è differente; molti premi non danno un limite massimo di battute, mentre altri preferiscono imporlo (limiti molto ampi, come 600 o 700mila battute, ma anche limiti livellati verso il basso: per esempio qualche anno fa ho partecipato al premio Pacini “Edizione straordinaria”, che metteva un limite massimo di 250mila battute), e questo per vari motivi: magari i manoscritti vincitori verranno pubblicati in una collana di romanzi brevi, oppure è una scelta precisa dell’editore per privilegiare romanzi snelli che, naturalmente, hanno almeno tre buoni vantaggi rispetto a quelli più corposi, per non parlare poi di quelli enciclopedici: la fruibilità sul mercato (mediamente, si leggono più romanzi brevi che lunghi), consentire a un autore spesso sconosciuto o poco noto di non demotivare l’eventuale acquirente del libro (ci si potrebbe chiedere, del resto, perché comprare un libro di 700 pagine di un autore venuto fuori dal nulla? Esiste, tutto sommato, un rischio imprenditoriale per l’editore), il costo della stampa e della messa in vendita (più pagine sono e più il libro costerà per l’editore, ma sarà anche il prezzo di copertina ad aumentare). Lo so, tutto questo è piuttosto brutale, ma l’editoria, essendo un’attività commerciale (anche se, lo sappiamo, più lodevole di molte altre), non ha niente di romantico! Il limite di battute può essere anche minimo, perché effettivamente se non si specifica ci si potrebbe ritrovare con “racconti lunghi” anziché “romanzi brevi”: differenza sottile, d’accordo, ma diciamo che nel primo caso potremmo essere per esempio sulle 50 o 60mila battute, perciò qualcosa che non è possibile considerare short story ma nemmeno romanzo (e della differenza implicita tra racconti e romanzi magari parliamo un’altra volta, dai);

  4. Tema libero o altro?Ciò vale soprattutto per i racconti, ma qui basterà seguire le inclinazioni personali. La maggior parte dei premi letterari sono del primo tipo, e con questi ci si può sbizzarrire, purché, ovviamente si rientri nel limite di battute sopra citato. In ogni modo ce ne sono anche molti che propongono argomenti specifici (e l’interpretazione può essere libera o meno, a seconda dei casi. Liberissima, purché si parli di caffè, per esempio, il concorso letterario Moak). Magari viene fornita una traccia, oppure un incipit. Nulla vieta, se si partecipa a concorsi a tema, di prendere un racconto scritto precedentemente e riadattarlo in base alle esigenze del momento, così da aderire al tema di riferimento Per i romanzi invece il limite può essere rappresentato non tanto dal tema ma dal genere letterario; sono molto frequenti, per esempio, i concorsi dedicati al giallo, al thriller e al noir (generi molto commerciali, tornando al discorso di poco fa). Va detto inoltre che certi concorsi sono promossi da editori che pubblicano determinati generi, quindi nei bandi vengono giustamente esclusi gli altri generi che non appartengono al proprio catalogo;

  5. I diritti rimangono a me?Qui vale di nuovo la distinzione tra racconti e romanzi. Solitamente, quando si tratta di racconti e c’è in palio la pubblicazione in un’antologia, i diritti rimangono di proprietà dell’autore, che può riutilizzare il testo in altre occasioni (si intende raccolte personali o pubblicazione su un blog o una rivista, ma non su un’altra antologia collettiva). In situazioni del genere semmai si dovrà stare attenti a quegli editori che utilizzano il concorso solo per vendere la successiva antologia agli autori coinvolti, senza nemmeno poi distribuire il libro e fare presentazioni in giro. È chiaro che ognuno di coloro inclusi nel volume acquisterà una o più copie del libro, per cui più elevato è il numero degli autori e meglio è (per l’editore, ovviamente). Per esempio, diversi anni fa ho partecipato alla prima edizione di un concorso dal quale fummo scelti in 40 per un’antologia di autori vari. Il secondo anno non partecipai, ma leggendo i risultati mi accorsi che gli autori erano diventati 80, il doppio! L’anno ancora dopo l’editore pensò bene di dividere il libro in due volumi distinti (dalla A alla M e dalla N alla Z), aumentando ulteriormente i “vincitori”. Altro caso invece è quello relativo ai romanzi. Qui, per forza, sottoscrivendo un contratto con un editore, i diritti saranno suoi per un certo numero di anni, elemento indicato da uno degli articoli del contratto stesso. Al contrario delle antologie, però, per le quali non si percepirà alcun diritto d’autore (lì il guadagno va tutto all’editore), per i volumi a firma singola verrà corrisposto il dovuto per i libri venduti nel corso del periodo stabilito (purtroppo spesso, soprattutto nel caso di editori medio-piccoli, questo non avviene. Fanno i furbetti, ovvio, ma provate a insistere per ottenere quello che vi spetta. E se avete un avvocato in famiglia o tra gli amici più cari, forza, fategliela pagare!).

Credo di essere più o meno a metà dell’opera, eppure mi tocca fermarmi qui. Ho esaurito lo spazio a disposizione, come al solito. Per concludere potrei tornare alle frasi fatte e usare una formula del tipo “chiudiamo il cerchio” o “finiamo in bellezza”, ma il cerchio lo chiudo la prossima volta e non ho bellezza da proporvi se non un semplice e misero ciao. Alla prossima.

Mirko Tondi