"Reinaldo Arenas, l’autodistruzione per il sesso" di Guillermo Cabrera Infante

“Reinaldo Arenas, l’autodistruzione per il sesso” di Guillermo Cabrera Infante

Reinaldo Arenas, l’autodistruzione per il sesso

di Guillermo Cabrera Infante

da Vidas para leerlas – Londra 1998

Tre passioni caratterizzarono la vita e la morte di Reinaldo Arenas: la letteratura, intesa non come gioco ma come fuoco che consuma, il sesso passivo e la politica attiva. Tra queste, la passione dominante era, come è sotto gli occhi di tutti, il sesso. Non solo nella sua vita ma anche nella sua opera. Fu il cronista di un paese retto non più da un impotente Fidel Castro, ma dal sesso.

Una recente diatriba pubblicata sul settimanale Juventud Rebelde (che dovrebbe chiamarsi Senectud Obediente), mette in allarme, con la prosa di un foglio parrocchiale, contro quel che chiama “fornicazione eccessiva”, alla quale si consegnano libertini ma non liberi, i cittadini obbligati a lavorare nei campi, ma definiti volontari con uso orwelliano del termine. L’editoriale accusa certi improvvisati agricoltori urbani di fare non solo esibizione collettiva del coito più sfrenato, ma di mettere in pratica emulazioni notturne tra ambo i sessi. In altre parole, l’orgia perenne, come il fogliame sempre verde.

Il richiamo all’ordine davanti al disordine del sesso non è una novità a Cuba. Un decreto regio già nel 1516 (a poco più di vent’anni dalla scoperta) condannava le pratiche sessuali dei nativi, inoltre la corona proseguiva con disgusto accusando i cubani di lavarsi troppo. “Perché sappiamo bene”, concludeva il monito reale, “che simili pratiche recano molto danno. Abbiamo fatto progressi da Carlo V in poi: i cubani, per la poca acqua e la mancanza di sapone, adesso si lavano molto meno rispetto ai loro antenati. In compenso le pratiche contro natura prendono nuovo vigore.

Scrittori omosessuali come Lezama Lima e Virgilio Piñera, ormai defunti, ma anche il poeta mancato Emilio Ballagas, lasciarono una visione omoerotica del mondo, esprimendola sempre per evasione o sotterfugio, con insinuazioni più o meno velate, che nel caso di Ballagas, divennero bei versi epiceni. Persino Lezama (che con il suo capitolo ottavo di Paradiso fece scandalo, nel 1966, tra i lettori cubani repressi dal regime e lo stesso Lezama soffrì in seguito un mostruoso ostracismo), lavorava nei romanzi e nelle poesie per oscure similitudini, per metafore, come nella sua nota dichiarazione: “Mi sento come un invasato penetrato da un’ascia soave”.

Persino il mio paese, Gibara, produsse motti notevoli seppur anonimi. Uno era “Do il culo a domicilio. Se portate il cavallo esco nel campo”. Un altro era una prova efficace per indicare la follia: “Mettere le palle sopra un un’incudine e picchiarle con un martello”. Un altro era esclamare: “Si sciolse la metafora”, per esprimere una perversione, un disordine. La stessa dichiarazione era una metafora. Mai come in Paradiso questa frase folklorica si trasformò in un sistema poetico. Ma i suoi lettori nativi volevano leggere un realismo sfacciato e grossolano che Lezama disdegnò immediatamente. Non faceva per lui. Neanche Virgilio Piñera, che vedeva se stesso come l’epitome della pazza letteraria (cosa che gli costò il carcere nel 1961, il pericoloso disprezzo di Che Guevara all’ambasciata cubana di Algeri, diretta da Juan Goytisolo, ultimo ad abbandonarla), mai ebbe la franchezza orale (in tutti i sensi) del suo discepolo Reinaldo Arenas.

Le memorie di Arenas, Antes que anochezca (Prima che sia notte, in Italia edito da Guanda, ndt), pubblicate adesso, sono scritte in carne cruda, in uno stile tra l’indecente e l’innocente. Proprio come la sua vita. Dice Borges che non esiste atto osceno: è osceno soltanto il suo racconto. Nel libro di Arenas, così vicino a Borges, non solo è osceno il racconto, sono osceni tutti gli atti. Tuttavia, questa narrazione non ha niente a che vedere con Piñera e con Lezama, suoi mentori e maestri, ma si ispira direttamente a un altro straordinario libro cubano che domina per la sessualità in generale e per la pederastia in particolare. In questo libro è reso palese il cosiddetto gioco di mano cubano: l’omosessuale passivo è una donna estrema, l’omosessuale attivo è un supermaschio, perché ragiona e amoreggia con i maschi. Non è strano che Arenas renda omaggio a Carlos Montenegro. Il romanzo – confessione di Montenegro si chiama Hombres sin mujer (Uomini senza donne, pubblicato nel 1837, rieditato a Malaga e in Messico da poco, mai uscito nella Cuba castrista) e il suo autore è interessato solo alla vita sessuale in carcere.

Reinaldo Arenas va oltre Montenegro, perché parla del sesso in carcere, in libertà, in città, in campagna, durante la sua fanciullezza e nella vita adulta; la sua sessualità si manifesta tra bimbi, con ragazzi, adolescenti, bestie di fattoria, alberi, tronchi e frutti, commestibili o meno, con acqua, pioggia, fiumi, anche con il mare! E persino con la terra. Il suo pansessualismo è, sempre, omosessuale. Tutto ciò lo rende una versione cubana e contadina di un Walt Whitman della prosa, in certi casi anche di una prosa poetica che è una raccolta delle più disparate occasioni.

Reinaldo era un contadino nato e cresciuto in campagna. Educato dalla Rivoluzione, concepito per diventare scrittore, finì quasi per rovinarsi. Molte volte mi sono chiesto perché il regime castrista che lo costruì, cercò così tanto di distruggerlo. Una risposta possibile è che Arenas non fu mai rivoluzionario e fu sempre un ribelle, che dimostrò con la sua vita e con la sua morte (Siccut vitae, finis ita, dicevano i romani) di essere un uomo coraggioso. Dotato di un talento rozzo, che con questo libro postumo sfiora quasi il genio, ha vissuto proprio come è morto, sin dal primo giorno la sua esistenza è stata un lungo coito ininterrotto. A volte solitario, quasi sempre in compagnia di altri uomini. Ma se è vero, come avverte Cyril Connolly, in un libro che pare un giusto epitaffio per Arenas, La tumba sin sosiego (La tomba senza pace), che un uomo che in vita sua non conosce neppure una donna, muore incompleto, è altrettanto vero che Reinaldo, avendo avuto una vita omosessuale così attiva, non parve mai incompleto. È vero che ebbe una relazione sessuale con una cugina (una di quelle cugine di campagna, sempre avanti rispetto ai loro cugini), ma è una cosa lontana che si perde nei meandri della memoria. I due non avevano ancora sei anni e il loro più estremo piacere di coppia fu quello di mangiare terra fino al parossismo, non certo erotico quanto gastrico.

Arenas, che sembrava più un antico romano che un contadino, non era un romano delicato. Più gladiatore che poeta di corte, era rozzo, rude, coraggioso e non sapeva che cosa fosse la paura. Anche se, come tutti i veri coraggiosi, il primo sentimento che confessa è la codardia. Mi chiedo se questa confessione, tra tante audaci confessioni, non sia altro che una vanteria. Ma la sua vita è stata una rischiosa avventura in un bosco penetrabile di peni, lasciando dietro di sé tracce del suo seme e della sua scrittura. Era un Hansel che nella leggenda ha voluto essere per sempre Gretel. Ma nel mito politico è stato un Roger Casement del tropico, con le sue nefande confessioni, va considerato un patriota delle isole.

Nato ad Aguas Claras, una borgata tra Gibara e Holguín, estremo oriente dell’isola, più che povero è stato un miserabile sin dalla culla. Bastardo e fantasioso, nelle sue confuse letture adolescenti partecipò a una guerriglia confusa che combatteva una guerra ancor più confusa contro un nemico invisibile, dove si attaccava briga ma più che altro si cercava cibo. Quando Fidel Castro prese il potere, venne all’Avana come migliaia di ragazzi di campagna, proprio come i contadini laziali cercavano di raggiungere Roma. Era un adolescente quando vinse un premio con il suo primo romanzo, Celestino antes del alba (Celestino davanti all’alba), il cui titolo ricorda quello del suo ultimo libro. Celestino è un’opera poetica assurda, molto vicina allo stile di Faulkner, ma più contemporanea nella sua paranoica descrizione di un bosco di asce e di un nonno che abbatte ogni albero su cui il nipote scrive una poesia. Allegoria o paranoia? Il suo secondo romanzo, El mundo alucinante (Il mondo allucinante), è un capolavoro del romanzo in lingua spagnola. Ma con quel libro vinse soltanto un secondo premio in un concorso locale, mentre avrebbe dovuto vincere molti primi premi continentali. Premio speciale cubano fu che il romanzo non è stato mai pubblicato in patria. Arenas, ansioso come ogni scrittore novello di essere pubblicato, mandò il manoscritto all’estero e commise un delitto imperdonabile. Fu con quel gesto che cominciò quello che le buone e le cattive coscienze dell’isola definiscono il suo problema. Il suo problema divenne grave e persino acuto quando fu condannato per pederastia, un crimine che sembrava di lesa maestà. Reinaldo si dette alla fuga per tutta l’isola, infine, come il protagonista perseguitato di Yo soy un fugitivo de una cadena de forzados (Io sono un fuggitivo dai lavori forzati), riuscì a mormorare dall’oscurità: “Adesso… rubo”.

Non finì così la storia di Arenas, ci fu un secondo finale, che vide lo scrittore, come Edmundo Dantés, addirittura peggio che Dantés nel castello di If, prigioniero tra assassini senza nome, non solo, anche tra omosessuali che non erano checche allegre ma dementi disperati. Passò il resto della sua vita nella prigione più grande, l’isola stessa (in un campo per omosessuali, nell’Avana omosessuale), fino a quando la sua penultima fuga avvenne tra i naufraghi dell’esodo del Mariel, quando riuscì a scappare a Miami usando un sotterfugio come rifugio.

Poi arrivò il momento della sua estrema libertà a New York, di altri libri, di altri amanti, ma nell’ultimo finale della sua vita venerea fu catturato dall’Aids e morì suicida per sfuggire a una morte atroce. In un’ultima foto si vede Arenas come è sempre stato: non un romano ma un indio cubano, con il volto triste che esprime in una metafora estrema tutta la prigionia della sua vita.

Il suo ultimo libro è un romanzo, una memoria, una fusione tra fiction e vita, il racconto di un’esistenza che imita dolorosamente la fiction: quella realtà atrofizzata che è la sua ultima fuga. Una fuga a una sola voce. Sesso e Arenas che confessa di aver scopato con più di cinquemila uomini nel corso della sua vita e nessuno lo applaude. (Applaudirono forse a Georges Simenon quando confessò di aver scopato con più di diecimila donne? Era per il numero o per il sesso?).

Prima, leggendo o non potendo leggere i libri liberi di Arenas, credevo che avrebbe dovuto restare a Cuba per ripetere i successi di Celestino e de El mundo allucinante. Come altre volte, mi sbagliavo: Arenas avrebbe finito per essere un profugo di professione, non uno scrittore. Per lo scrittore che pianificò serie di romanzi e mille altri progetti, Antes que anochezca (Prima che sia notte) è un libro in parte di difficile lettura, non per lo stile ma per il doloroso veleno di cui è intriso. Scritto in gara contro la morte, arruffato, spesso non scritto male quanto scritto appena: dettato, parlato, gridato, questo libro è il suo capolavoro. Non avrebbe mai potuto essere scritto a Cuba, non certo da un funzionario ma neppure da un fuorilegge. C’è chi ha paragonato Arenas a Genet, delinquente sensibile, o con Céline, professionista dell’amarezza: due scrittori privi di senso dell’umorismo. In realtà una vera similitudine con il suo stile va ricercata nel romanzo picaresco, perché il suo protagonista è un picaro sessuale: in definitiva uno scopatore. Lo stile del romanzo di Arenas fa venire a mente quel primo romanzo, opera maestra della narrativa erotica, che è Il Satyricon. Anche se nel libro di Petronio, dove i pederasti sono eroi e i sodomiti eroine, ci sono rapporti eterosessuali, depravati, teneri o fugaci, ma comunque ci sono. Nel romanzo della vita di Arenas non ci sono altro che peni e pene.

Ma se qualcosa dimostrano queste memorie è che mentre più a Cuba imperversava la persecuzione contro gli omosessuali, rinnovata auge godeva (è la parola giusta) l’omosessualità, privata e pubblica. L’isola, subiva una regressione economica e politica, ma regrediva sotto l’impero di un solo senso. Il confino, la persecuzione e i campi di concentramento per omosessuali sembravano, se diamo credito alla scrittura di Arenas, più uno sprone che un limite. Adesso con gli omosessuali malati dietro le sbarre degli infami lazzaretti per chi ha contratto l’Aids, Castro continua ad affermare che l’omosessualità è un’ossessione dominante. Solo le recinzioni elettriche e le sbarre sono buone per coloro che non vengono definiti compagni ma solo cittadini. In realtà, in modo più familiare, per il governo sono dei malati.

Contraddizioni del comunismo, visto che L’Avana è di nuovo un paradiso, ma solo per i turisti; adesso tra i fritti proibiti che vengono offerti tanto ad Adamo quanto a Eva, ci sono le puttane più affascinanti (visibili in Havana di Jana Bokova) e i froci più ambiti, per la gioia di chi viene spesso a passare le vacanze sull’isola. Non elargiscono prestazioni erotiche per denaro, che niente compra, ma in cambio di un ingresso a un cabaret, per passare la notte in un night-club e in una camera d’albergo solo per stranieri. Questo è l’unico modo per farsi beffe dell’apartheid castrista. A meno che non sia, va da sé, un informatore della variante tropicale della Sicurezza di Stato, così da passare dall’estasi alla Stasi.

Traduzione di Gordiano Lupi

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