Sabrina Crivelli – I vampiri dal mito al grande schermo
Vera e propria icona horror, il vampiro ha una lunga e variegata tradizione nel cinema dai suoi primordi fino ai giorni nostri e molteplici sono state le sue declinazioni. Indubbiamente l’immagine delle sovrumane creature notturne è assai mutata nel tempo, soprattutto se confrontata con i suoi capostipiti, Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922 e Dracula di Tod Browning e Karl Freund del 1931, ambedue tratti dall’omonimo romanzo cardine di Bram Stoker del 1897. Molti sono quindi i volti acquisiti da tali immortali personaggi, dal convenzionale e tenebroso conte transilvano in Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog (1979) o in Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola (1992), ai fascinosi imperituri dalla pelle candida e dalla parvenza liceale della saga di Twilight, di “Buffy – L’Ammazza Vampiri”, o di “The Vampire Diaries”, agli eroi action, come Selene (Kate Beckinsale) in Underworld e Eric Brooks / il Diurno (Wesley Snipes) in Blade, ai sexy succhiasangue di “True Blood”, fino ai virali e ben meno accattivanti strigoi di “The Strain”. Tuttavia, assai prima che il mito della genia maledetta fosse portato in auge sul grande e piccolo schermo, esistevano una serie di leggende e credenze riguardanti già entità assai affini, di spiriti maligni e uomini tornati dall’Aldilà per cibarsi dei mortali. Dalle più remote radici folkloriche alle pagine dei romanzi gotici, fino all’approdo su pellicola, esploriamo dunque tutti i volti del nosferatu.
Le origini del mito tra storia e folklore
La comparsa dei vampiri risale anzitutto ai primordi della storia, a culture arcaiche, quali quella mesopotamica, ebraica antica, greca, romana e indiana: la babilonese Lilitu, che nella cultura giudaica divenne poi Lilith, le greco-latine empuse, lamie e strigi, l’indiana Baital, tutte queste oscure figure mitologiche avevano in comune il banchettare con i fluidi vitali e la carne umana. Anche il medioevo europeo contribuì ad ampliare la leggenda e le prime fonti riguardanti le storie di ‘redivivi’ risalgono al XII secolo; in particolare, il De Nugis curialum del religioso gallese Walter Map e la Historia rerum Anglicarum o Historia de rebus anglicis del prete agostiniano anglosassone Guglielmo di Newburgh, tra i materiali vari a carattere storico, raccoglievano testimonianze delle credenze popolari su fatti inquietanti e prodigiosi di anime tornate dalla morte per tormentare i vivi. Per ciò invece che concerne vere e proprie attività vampiresche, è necessario arrivare al 1672 in Istria, nel villaggio di Khring, quando le cronache locali riportano di un contadino, Jure Grando, che, defunto nel 1656, era ritornato dall’Oltretomba e seminava il terrore tra i paesani, nutrendosi del loro sangue e molestando le donne! Per risolvere il problema e ricondurre il redivivo al mondo dei morti a cui apparteneva, gli venne infilzato il cuore con un paletto di legno e, per sicurezza, gli fu anche tagliata la testa.
Successivamente, una diffusa fobia dei vampiri pervase poi Vecchio Continente, nella fattispecie Germania, Francia e Inghilterra durante l’Era dei Lumi. In principio furono avvistati molteplici succhiasangue nell’Europa dell’Est, a cui succedette un panico diffuso per la notizia di violente aggressioni delle assetate creature immortali nella Prussia occidentale e nella Monarchia di Habsburg tra gli anni ’20 e ’30 del Settecento. Proprio in tale contesto emersero due dei più celebri casi di vampirismo, quelli dei serbi Peter Plogojowitz e Arnold Paole, le cui storie vennero pubblicate sul viennese Wienerisches Diarium, contribuendo all’isteria di massa. L’uno, morto da poco, avrebbe fatto ritorno dal figlio qualche tempo dopo chiedendogli del cibo e, ad un rifiuto, avrebbe aggredito lui e i vicini, i quali sarebbero successivamente trapassati per gravi emorragie. Si credeva che il secondo, invece, morto in periodo di raccolta, fosse risorto e fosse stato la causa dell’inspiegabile moria di molti degli abitanti del luogo. In quegli anni dilagò quindi la “Controversia sui vampiri del XVIII secolo” tra detrattori dell’esistenza e suoi sostenitori che, mossi dalla superstizione, erano dediti a profanazioni di tombe per trafiggere i corpi dei defunti creduti non davvero morti. All’annoso dibattito e al fenomeno pose fine Maria Teresa d’Austria la
quale, dopo aver inviato il proprio medico personale ad indagare, concluse che le credenze non avevano alcun fondamento scientifico e vietò il dissotterramento dei cadaveri.
Il conte Dracula: dalla figura storica a quella letteraria
L’ampio repertorio di credenze proveniente dall’Europa dell’Est fu quindi una base fondamentale per la creazione della fisionomia del vampiro, la quale inizialmente era comunque tutt’altro che definita e assumeva variegate forme tra quella umana e di cadavere putrefatto. La sua versione più moderna, ossia simile a quella oggi diffusa nell’immaginario collettivo, si è tuttavia definita a partire dalla della letteratura ottocentesca. Un ruolo pionieristico giocarono Johann Wolfgang Goethe nel 1797 con la sua ballata La sposa di Corinto (Die Braut von Korinth) e John Polidori (1819) con il racconto Il vampiro, in cui per la prima volta compariva il nosferatu, non come tratteggiato dal folklore, ma come elegante aristocratico inglese, Lord Ruthven Conte di Marsden. Lo scritto ebbe un incredibile successo e ne seguì un prolifico filone composto da Varney il vampiro, o Il banchetto di sangue di James Malcolm Rymer (1845-47), da Carmilla (1872) di Sheridan Le Fanu (da cui Carl Theodor Dreyer
trasse liberamente il suo Vampyr – Il vampiro nel 1932), infine il celeberrimo Dracula di Bram Stoker.
Il volume, strutturato quale raccolta epistolare e di scritti dei protagonisti, segue gli strani e sinistri fatti esperiti dal giovane avvocato Jonathan Harker, inviato in Transilvania dal suo superiore Peter Hawkins, per curare l’acquisto di una proprietà a Londra da parte del Conte Dracula. L’anziano nobile transilvano, oggetto di molteplici terrificanti superstizioni locali, desidera infatti trasferirsi nella capitale inglese per trascorrervi la propria vecchiaia. Il nobile, all’apparenza normale, rivela con il trascorrere del tempo la sua reale natura, quella di mostro succhiasangue deciso a trovare un nuovo intatto bacino per le sue pratiche ematofaghe. Il personaggio letterario dall’incredibile fascino è il frutto di molteplici influenze e suggestioni che comprendono uno studio approfondito delle leggende popolari sui non morti, un controverso personaggio storico e un evento accaduto sul finire del XIX secolo. Quest’ultimo, nella fattispecie, è relativo a un singolare caso di isteria collettiva e legato al decesso della diciannovenne Mercy L. Brown dovuta alla tubercolosi. I sintomi, pallore, astenia e inappetenza, erano stati confusi dagli abitanti di Exeter per chiari segnali di vampirismo, tesi confermata dal fatto che la madre e della sorella fossero morte per lo stesso male (seppur qualche anno prima). Quando fu il turno del fratello e il padre decise di riesumare la salma della ragazza, lui e un manipolo di concittadini riscontrarono che il cadavere era assai meno decomposto degli altri, che capelli e unghie erano cresciuti e che la bocca sporca di sangue; non solo, le spoglie emisero un tetro suono gutturale. Il genitore, quindi, persuaso della diffusione di qualcosa di sovrannaturale all’interno della sua famiglia, infilzò il corpo di Mercy con un paletto di legno, gli diede fuoco e diede le ceneri da mangiare all’altro figlio ancora in vita (il quale contrasse il medesimo morbo poco dopo…).
Ultimo essenziale modello per il Conte Dracula fu un nobile transilvano davvero esistito, Vlad III di Valacchia, nato nel 1431 a Sighișoara (o Segesvár) nell’attuale Romania. Il nome ‘Dracula’ derivava, difatti, o dal suo patronimico, poiché era il figlio di Vlad II Dracul, membro della Casa dei Drăculești, vovoida di Valacchia (termine slavo di periodo medioevale che indicava sia un comandante militare che un principe ereditario), o poiché membro dell’ordine dell’Ordine del Drago da cui termine ‘Draculea’, ossia figlio del Dragone; in ultimo ‘drac’ in romeno significava
anche ‘diavolo’, sicché il nome poteva essere inteso come ‘figlio del demonio’. Vlad III era conosciuto anche come Țepeș, appellativo che significava l’impalatore e che gli fu dato postumo (dopo il 1550), dato il suo sadico apprezzamento – ed ampio utilizzo – della tortura di origine turca. Pare addirittura che avesse inventato numerose varianti del supplizio, ciascuna destinata a una determinata categoria, come l’asta d’argento per la nobiltà, quella incisa con una serie di tacche per i mercanti, oppure quella ricoperta di miele per gli sventurati 10.000 abitanti della rumena Sibiu (1460). Le nefandezze del principe valacco non si limitarono però alla suddetta sanguinaria pratica, ma compresero anche la decapitazione delle teste di due messi del Sultano turco Mehmed, dopo aver inchiodato loro il turbante al cranio, oppure lo sventramento di tutti i suoi ospiti la sera di san Bartolomeo del 1459, a Brașov. Secoli prima che Stoker iniziasse il suo illustre romanzo gotico, quindi, già circolavano diverse storie su Vlad III anche in forma scritta. Una delle prime risale al 1453, quando Mattia Corvino d’Ungheria fece circolare, presso la corte di Federico III d’Asburgo, un pamphlet intitolato Geschichte Dracole Waide (ossia letteralmente Storia del voivoda Dracula), poi messo in scena in forma teatrale dal poeta Michel Beheim. Da quel momento, in ambito tedesco si diffusero numerosi aneddoti mirati a minare la credibilità del principe rumeno e che lo trasformarono nel tempo in una vera e propria incarnazione del male, del tiranno sanguinario. Perverso e crudele sì, ma non immortale succhiasangue, accezione che con ogni probabilità fu un’invenzione di Stoker stesso, nata dal patrimonio di credenze popolari e dall’influsso dei precedenti letterati gotici.
Dracula arriva sul grande schermo: i primi film di Murnau e Browning
Dopo la pubblicazione negli ultimi anni dell’Ottocento del romanzo stokeriano, l’immortale principe transilvano ebbe sin da subito un successo incredibile e iniziò a diffondersi sempre più nell’immaginario collettivo. Tuttavia la sua prima comparsa sul grande schermo non fu immediata, ma è necessario attendere più di un ventennio (il 1922 per l’esattezza) per poter ammirare l’ombra del vampiro su pellicola. Inoltre, il primo film a ispirarsi a Dracula, ovvero Nosferatu il vampiro di Murnau ledeva invero i diritti d’autore e rischiò di essere cancellato dalla storia del cinema. Difatti, il cineasta tedesco non pagò il copyright alla vedova dello scrittore e lei gli fece causa. Sebbene fossero stati mutati molti dei nomi (Conte Orlok al posto di Dracula, Hutter di Harker, Hellen di Mina…), le ambientazioni (Wisborg invece di Londra) e alcuni dettagli della trama (Ellen si sacrifica per mettere fine all’epidemia di peste portata dal mostro), la donna vinse la causa e il regista fu condannato a distruggere tutte le copie esistenti, ma ne salvò una, grazie alla quale ora possiamo apprezzare il film. Concentrandoci invece sul vampiro, la sua prima rappresentazione sul grande schermo è profondamente legata alla distorsione visiva vigente nella corrente pittorica tedesca e teatrale attiva circa una decade prima. La trasposizione filmica del personaggio letterario è connotata infatti dall’estetica espressionista: da un lato la gestualità e la mimica facciale eccessivamente calcate del suo interprete, Max Schreck, sono affini al teatro di Max Reinhardt; dall’altro il trucco particolarmente innaturale dell’attore, che gli conferisce l’aspetto di una maschera mostruosa, ricorda la stilizzazione dei tratti fisionomici a cui erano sottoposte le figure femminili nei quadri prodotti da Kirchner durante la residenza a Berlino (ad esempio Due donne per strada del 1912). Secondo il miliare saggio del 1947 di Siegfried Kracauer intitolato Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, la comparsa di tale mostruosa creatura, come molte altre che popolavano la filmografia della repubblica di Weimar, traduceva il malessere della generazione di registi del dopoguerra e insieme costituiva la premonizione del futuro terribile regime hitleriano.
Per chiudere il nostro excursus non potevamo che scegliere il debutto vero e proprio al cinema del mitico Conte, ovvero la prima trasposizione ufficiale del libro stokeriano: il Dracula diretto da Browning e Freund nel 1931. Assai diverso sotto molteplici punti di vista, l’horror era in realtà l’adattamento di un omonimo spettacolo teatrale di Broadway del 1927 e vedeva protagonista un magnetico Bela Lugosi. Il vampiro nel film della Universal (Carl Laemmle ne era il produttore) non
era più una creatura al limite del deforme, ma un personaggio estremamente elegante, imbrillantinato e in frac, che si relazionava alla nobiltà londinese con fare ricercato e aveva un accento mitteleuropeo (l’attore era originario di Lugoj in Ungheria). La sua raffigurazione come dandy dai canini pronunciati e dalla pelle diafana invece che come mostro, che con il suo fare e il suo aspetto ingannava le sue vittime non facendo sospettare della propria ferina natura, fu diffusamente ripresa nella cinematografia successiva, divenendo probabilmente quella preponderante e la seduzione è divenuta quindi una delle sue principali caratteristiche. Che sia allora l’attraente straniero in cerca della reincarnazione della sua amata defunta incarnato da Gary Oldman in Dracula di Bram Stoker di Coppola, oppure il tenebroso Louis de Pointe du Lac interpretato da un Brad Pitt in Intervista col vampiro di Neil Jordan (tratto dall’omonimo romanzo di Anne Rice), o il giovane Edward Cullen / Robert Pattinson di Twilight, che sia antica o attuale, europea o americana, adolescenziale o più matura, in tutte le sue forme il modello costituito dal Dracula di Lugosi ha certo determinato gran parte dei successivi nosferatu.
Sabrina Crivelli
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