Sergio Calzone – Storiacce editoriali – Un Cenone (o pranzone) di quattro portate quattro (più un aperitivo)
Un Cenone (o pranzone) di quattro portate quattro
(più un aperitivo)
Cataldo Pelonelluovo, editor di Edizionimavalà, è invitato al cenone di Natale dal suo Principale il quale, come tutti gli editori di tutta Italia e di tutto il mondo, sente di dovere all’indefessa professionalità del Pelonelluovo piccola parte del proprio successo, suggellato dall’aver sfondato, quest’anno, il muro delle cinquecento copie vendute, ovviamente considerando tutti i dieci libri in catalogo che vantano le Edizionimavalà.
Cataldo non sta nella pelle. Si agghinda. Poi, trova che la cravatta sia insufficiente all’onore di entrare per la prima volta nella sala da pranzo del proprio Editore medesimo stesso: corre, allora, in un negozio lussuosissimo del centro città e acquista, profondendo tutti i compensi ricevuti in cambio dei suoi minuziosissimi editing, un papillon di seta grigio-perla che, il negoziante assicura, è stato creato in esclusiva per il principe Carlo d’Inghilterra e per il signor Lucia, meglio conosciuto come Federico Leonardo Lucia, o, come Cataldo lo guardava basito, la mascella pendula, per Fedez, insomma!
Così protetto, Pelonelluovo suona timidamente al campanello del lussuoso secondo piano di via Caldera, a Quinto Romano che, in barba (e capelli) al nome, non si trova subito dopo il Tuscolano, ma nello squisitointerland (si è a vocazione intercontinentale o non lo si è) milanese; secondo piano che, tuttavia, l’Editore non ostenta a causa del suo ormai leggendario buon gusto, testimoniato del resto da nove delle raffinate copertine dei propri libri in catalogo (il decimo, orribile poiché presenta il primo piano del viso di una giovane donna, è stato caparbiamente voluto dall’autore il quale, avendo pagato la pubblicazione, ha imposto il suo spaventoso cattivo gusto).
Dicevamo che Cataldo suona, con indice non del tutto fermo, il campanello di cotanta dimora. Gli viene persino aperto e fatto accomodare sull’ultima creazione di Sofapoltrone, leggermente urticante alle delicate chiappette del Nostro, nonostante la protezione di un paio di calzoni in pelo di cammello battriano e di un boxer uomo elasticizzato di colore grigio bava di lumaca.
L’imbarazzo dura poco: la dentuta coniuge dell’Editore (potremmo dire l’editora o, in tempo di #MeToo, forse editoressa) gli porge perentoriamente un bicchiere da rosé colmo, cinguettando:
«Mio marito, sa?, l’Editore, è anche barmàn: saggi, saggi, se quest’aperitivo non è un bijou», allungando a cuore le labbruzze tinte di un rosso-marroncino, simile a sangue in via di coagulazione.
Convien bere. Il sapore è familiare, eppure Cataldo, troppo emozionato, non prova neppure a identificarlo: beve, trangugia, reprime un ruttino; sorride, beato.
Lui, l’Editore, si manifesta:
«Caro, caro Pelonelluovo, uomo prezioso, homo unicus». Perché l’Editore ha frequentato i Salesiani e sa ciò che dice. «Allora, com’è che l’è piaciuto l’aperitivo?»
«Piacc-iut-o! Piacc-iut-o, Eccellenza!»
«Su, Pelonelluovo, siamo in casa e siamo a Natale; stiamo per banchettare: non mi chiami Eccellenza come in ufficio! Per lei, oggi, sono soltanto Gastone, suvvia…»
«Gast-on-e», mormora l’altro, reverente e instupidito dalla confidenza con cui l’Editore lo tratta nella Sua Stessa Dimora, sita al secondo piano di via Caldera, a Quinto Romano che, in barba (e capelli) al nome, non si trova subito dopo il Tuscolano, ma nello squisito interland (si è a vocazione intercontinentale o non lo si è) milanese.
«Ebbene», gli sorride benignamente il Grand’Uomo, «ha ben riconosciuto gli ingredienti del mio coccolai, vero?»
«Non completamente». E Cataldo ha deciso di rischiare ciò che vi è da rischiare. «Vi è un sentore, un vago…, come un ricordo, un’aura: Lei mi comprende di certo…»
Il Padrone di Casa sorride ancora, indulgente:
«Un coccolai in suo onore! Sono andato a miscelare degli “un” senza virgola al femminile, dei “gli” riferiti sempre al femminile, dei doppi spazi tra una parola e l’altra, e, come guarnizione finale, l’avrà visto, un “solo” al posto di “soltanto”. Eh?» Ed Egli resta in sorridente attesa.
Pelonelluovo è sopraffatto:
«Geniale… Geniale… Assolutamente geniale. Soltanto Lei poteva… Soltanto Lei!»
«In tavola!», trilla la dentuta coniuge dell’Editore, avanzando verso la mensa parata a festa e decorata, accanto a ogni bicchiere, di spiritosissime statuette raffiguranti Paperon de’ Paperoni.
Conviene sedersi a cotanto desco. La dentuta trilla:
«Non saranno che quattro portate, signore: trovo così pacchiano abbuffarsi, mentre tanti poverini non hanno, in questo giorno, che il Cannavacciuolo o il Cracco…»
«Giustissimo, Contessa», arrossisce il Cataldo.
«Uuh! E come vuole incominciare, se non con le lasagne?», continua a trillare la dentuta. «Ecco qua: Mio Marito, sa?, l’Editore, ha dettato le ricette: saggi, saggi, se queste lasagne all’accento non sono un bijou!»,allungando a cuore le labbruzze tinte di un rosso-marroncino, simile a sangue in via di coagulazione.
«Incontornabili!», esclama Pelonelluovo che, a ogni buon conto, ha letto tutto il dizionario dei sinonimi e contrari. «Come, come si può arrivare a tanto?»
L’Editore si asciuga le labbra con l’orlo del tovagliolo legato con due cocche dietro il collo:
«Semplicissimo, amico mio, ma anche delicato: si fa un primo strato di “sì” senza accento. Mi segue? Poi un secondo strato di “dà” senza accento. Mi segue sempre? Poi un terzo strato di “lì”, sempre, badi ben, badi ben, senza accento e si conclude con un quarto strato di “è” senza accento, che sono quelli che, gratinati, formano questa crosta che, a mio modestissimo parere, dà quel tocco di classe all’insieme. O no?», proteso, le labbra unte, verso Cataldo.
Il quale Cataldo sobbalza e trattiene appena in tempo una “è” senza accento che, non ancora del tutto manducata, sta per sparare in viso al Supremo:
«Geniale!»
«L’ha già detto!»
«Eh?»
«Geniale, l’ha già detto prima!»
«Allora, talentuoso! Assolutamente talentuoso!»
«Via, non esageri, adesso…» E il Supremo si schernisce, accennando di no con il capo.
«Secondo piatto!», trilla la dentuta coniuge dell’Editore. «Indovini! Maiale con zucca!»
«Sarà una delizia…», si prostra il Cataldo.
«Altra ricetta mia», suggerisce con inalterata bonomia l’Editore, stuzzicando in pari tempo un porretto che gli è cresciuto dove dovrebbe esservi il Pomo d’Adamo: «Assaggi, assaggi. Assaggi, dunque!», vedendo il sorriso ormai ebete di Pelonelluovo il quale ha scoperto soltanto allora che non vi sono tracce di vini sul desco.
Assaggia:
«Felicissimo! Oddio, semplicemente felicissimo!»
«E le dico, sa?, non è difficile: ho semplicemente dato istruzioni che si mescolassero mails di autori che chiedono diritti di, pensi, buon Cataldo, diritti di autore! E questo per il maiale, si capisce. Per la zucca è più facile: si usano le auto-definizioni di “scrittore esordiente”. Ah! Ah!» Il ventre gli sobballa: «Dica lei, buon Cataldo, come fa a essere scrittore uno che non ha ancora esordito! Ah! Ah!» Il riso gli fa andare di traverso il boccone di zucca (o di auto-definizione). Tossisce, scatarra, tossisce ancora. Ma gli occhi ridono sempre.
«Ci vuole un’insalata, no?», espone incisivi, canini e premolari la dentuta coniuge dell’Editore. «Ma questa, me lo lasci dire, proprio perché l’idea è, ovvio, dell’Editore, è davvero originale! Pensi, signor Cataldo (posso chiamarla in confidenza signor Cataldo, visto che è nella nostra casa, alla nostra tavola, mangia il nostro cibo?). Pensi: rapa. Sì (con l’accento, ah!, ah!), esclusivamente rapa. Soltanto Lui poteva avere quest’idea, n’est ce pas?» (aveva avuto una donna delle pulizie ivoriana fino al primo giorno di paga; poi, più).
Interviene l’Editore:
«Rape, in casa editrice, ne abbiamo a schedari pieni, nevvero? Cinque puntini di sospensione, accento esclamativo e interrogativo insieme come nei fumetti, “lo” al posto di “l’ho”, “te” per la bevanda “tè”, “bhe” per “beh”, “hey” per “ehi”, “oh cielo” per “oh, Cielo”. Se ne hanno, di rape, finché se ne voglia!»
«Un piatto originale, originalissimo!»
«Grazie, grazie, lei è troppo buono». Con un grazioso gesto della mano, minimizza il Supremo.
«E un tiramisù, lo vorrebbe, eh?, birichino?», dentuta e, ora, anche civettuola.
«Sarà impagabile…», gorgheggia Cataldo, ormai in stato catatonico.
«Ammetto che la ricetta è semplice». L’Editore quasi si scusa. «Tirar su… Per tirar su, basta mescolare con cura fatture non pagate alla tipografia con obiezioni sulla qualità dei libri, aggiungere IVA non versata, tasse eluse e, come spolverata finale, a effetto, diritti d’autore non pagati. Diritti! Si rende conto, Cataldo? Noi gli facciamo il piacere di pubblicare i loro libri e quelli vorrebbero anche essere pagati! No. Meglio spolverare la superficie del tiramisù».
«Acuto, di genio, di talento, ingegnoso, brillante, dotato, intelligente!», grida, d’un fiato, Pelonelluovo che rigurgita tutta la voce del Dizionario Treccani dei sinonimi e contrari.
E, mentre lo spirito diceva questo, l’animo piangeva in modo talmente pietoso, che Cataldo si sentì morire e cadde per terra come cade un corpo morto.
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