Vincenzo Trama – Intervista a Davide Ricchiuti

Noi del Foglio Letterario abbiamo una certa età ma non ci stanchiamo mai di rovistare nel torbido. Un tempo era il ciclostile, oggi è il podcast a offrire uno spiraglio di innovazione a chi cerca sciagurato! – di proporre cultura in Italia. Se le bacheche di Facebook sono state soppiantate prima dalle stories di Instagram e poi dalle minchiates di Tik Tok, noi, o baluardi dell’underground, affermiamo con veemenza che è nelle sperimentazioni sonore di internauti un po’ folli che c’è quello sbrilluccichio di tondelliana ricerca a cui siamo e resteremo sempre ancorati, patelle di verghiana memoria.

Ecco quindi che a mettere a ferro e fuoco il web ci pensa un soggetto strambo come Davide Ricchiuti, con cui ho avuto il piacere di scambiare chiacchere, vino e panino in quel di Pisa, alla sempre mitica fiera dell’ editoria (link). Prima, ovviamente, scambio di mail: febbrili, come la sua prosa puntellata di poesia, che abbiamo avuto il piacere di ospitare nelle nostre pagine (link racconto)

Davide, ricordi il nostro incontro? Che impressioni hai avuto dellentourage del Foglio Letterario?

Se non sbaglio, quando sono arrivato allo stand del Foglio Edizioni mi hai riconosciuto proprio grazie al nostro febbrile scambio di mail. Non perché mi si leggesse in faccia il contenuto di ciò che ti avevo scritto, ma per la foto del profilo di gmail. Per me, invece, è stato più facile capire a chi andare a stringere la mano perché tu avevi già pubblicato parecchi libri e racconti. A proposito, il sarcasmo di Se fossi postumo sarei Ba(ricco) che ho preso al Pisa Book mi ha piegato! Per non parlare dei tuoi editoriali sul Foglio: a volte sono talmente taglienti e corrosivi che si potrebbe distillare un vaccino per il Covid-19 dalle tue parole. Lentourage del Foglio mi ha accolto come se fossi uno di famiglia dal primo istante, e questa non è una cosa banale. Quando tu, Gordiano, Dargys e gli altri ragazzi mi avete invitato a rimanere con voi per pranzo, sebbene non ci fossimo mai visti prima di quel giorno, è stato come se quella domenica io fossi partito da Bologna per andare a trovare dei vecchi amici a Pisa. Ma amici di quelli con cui hai parecchie cose in comune e con cui hai sempre voglia di fare due chiacchiere.

Il tuo primo testo è stato selezionato nientemeno che da Matteo B. Bianchi e dal suo tina. Un esordio niente male, visto che parliamo del maggior attivista letterario degli ultimi 30 (non ce ne voglia Mozzi, che lo detestiamo come sempre). Come ti sei approcciato a tina e a una figura così importante?

D: In modo semplicissimo. Ho mandato un racconto via mail a tina e ho aspettato. Dopo una settimana Matteo in persona mi ha risposto che il racconto gli era piaciuto molto e lo avrebbe voluto pubblicare, ma cera un problema. Ogni numero di tina aveva sempre ospitato cinque racconti, e i cinque di quel numero Matteo ce li aveva già. Quindi non sapevo se Il bambino è scomparso sarebbe uscito sul numero 33 o più avanti. E così, nell’ attesa, ho passato alcune notti a revisionare il racconto. Mi sono anche permesso di chiedere un consiglio a Matteo riguardo al titolo. Avevo limpressione che fosse troppo esplicativo. Dava giàuna direzione precisa al lettore, e invece sentivo lesigenza di innescare la curiosità più che di spiegare. E così Matteo mi è venuto in soccorso. È andata a finire che il numero 33 di tina, stampato letteralmente come una mappa, è uscito con sei racconti. C’è l’avevo fatta, Il bambino è scomparso era in apertura. Quando c’è stata la presentazione di tina al Ghe Pensi Mi, una birreria di Milano, Corrado Fortuna ha letto il mio racconto durante la serata e levento è stato registrato live. È diventata la prima puntata del podcast TINA, prodotto da Storielibere.fm. A me, per esempio, è stato davvero utile il podcast perché non sono riuscito ad essere presente quel giorno. Ho incontrato poi Matteo appena ho avuto la possibilità di andare a Milano e vuoi sapere la verità? Le copie che mi ha consegnato quel giorno le ho perse in tram subito dopo averlo salutato! Non so come. Forse ero talmente concentrato sullimpossibilità che tutti quegli avvenimenti stessero succedendo davvero, uno dietro laltro, che ho perso qualsiasi aderenza alla realtà. Ma, in fondo, sono contento di aver contribuito a far leggere tina a qualcuno che quel giorno non se lo aspettava. Anche perché gli altri cinque racconti selezionati erano veramente validi.

Tina è l’ apogeo e l’ esempio di un sacco di esperimenti più o meno riusciti nel mondo delle riviste letterarie. Qui in Italia è soltanto da poco che il mondo culturale sembra essersene accorto, ma il fenomeno è in costante ascesa. Mi citi tre riviste che, secondo te, sono assolutamente imperdibili?

Se diamo per appurate Il Foglio Letterario – per la sua corposità, longevità e attenzione a tutti i fenomeni culturali e soprattutto controculturali in fermento sotterraneo – e tina – per tante ragioni, tra cui la carica sperimentale dei suoi contenuti e della sua forma – ti direi che mi è impossibile scegliere tre riviste. Ti posso segnalare alcune realtà con cui sono entrato in contatto e che mi hanno colpito finora, e non sono solo le riviste che hanno pubblicato miei racconti. Per esempio c’è Crack che associa un pezzo musicale da ascoltare per ogni racconto selezionato e che è nata da una diaspora interna a Carie, una rivista che rivolge una cura particolare alle illustrazioni dei racconti che ospita, così come fa anche Risme, di cui ci si può scaricare il PDF di ogni numero dal sito. Mentre su Risme è in uscita un mio racconto, né Crack né Carie hanno mai pubblicato un mio racconto, eppure le trovo tutte e tre realtà con una linea editoriale molto interessante. Poi ci sono altri esperimenti come Rivista Blam che è la prima, a quanto ne so, ad aver tradotto in LIS, lingua italiana dei segni, i racconti che pubblica. Sul canale YouTube c’è anche il mio, Influencer, tradotto dall’associazione Guanti Rossi. La cosa bella di Rivista Blam è che riesce ad usare internet in modo dinamico e costante, a Bologna si direbbe che è sempre sul pezzo. Poi c’è Clean Rivista, che predilige testi concettuali, sospesi, con un’atmosfera rarefatta e che sono valorizzati tanto quanto la fotografia di uno specifico autore a cui vengono associati. A Firenze RiVista dell’anno scorso ho scoperto anche che in Friuli Venezia Giulia ci sono addirittura due realtà che, oltre a internet, hanno scelto la stampa come mezzo di diffusione: la rivista La Seppia e Digressioni. La Seppia è stata creata da studenti universitari e si sta facendo strada sia su internet che sul cartaceo. Digressioni, invece, oltre che rivista è anche un micro editore indipendente. Tra le riviste online mi piace leggere Rivista Offline. È un ossimoro, lo so, ma per chiarire come nasce questo nome si può ascoltare la chiacchierata che ho fatto con i ragazzi della redazione nella puntata Sommersi | Rivista Offline LINK: https://www.spreaker.com/episode/24152334

Un racconto a cui tengo molto e che fa parte di un mio progetto più ampio sulla follia si trova proprio su Offline e s’intitola Nel diagramma delle nostre vite, a partire dal quale ho creato a inizio giugno anche un podcast in lingua portoghese. Quando sono iniziate le misure di contenzione della pandemia, mi trovavo a Lisbona e sono rimasto in Portogallo a causa della chiusura delle frontiere. Da mesi ormai sono qui e, a un certo punto, ho pensato di trasformare la permanenza in un’occasione per partecipare alla vita culturale portoghese, nel mio piccolo.

Altre realtà con cui sono entrato in contatto quando ero in Italia, e con cui mantengo una relazione tuttora, sono riviste letterarie che non si occupano solo di racconti. La tua rivista, così come la stessa Offline e anche Grado Zero, ad esempio, diffondono cultura in generale, con diverse rubriche. Sarò sincero: per come sono fatto io, quando leggo una rivista è perché sono affamato soprattutto di racconti. Per questo ti segnalo cose come un osservatorio permanente sul racconto che si chiama Cattedrale. E poi anche riviste che lasciano sfogare gli esordienti selezionati con storie un po’ più lunghe del solito. Tipo il Diario del Riccio della casa editrice indipendente Clown Bianco di Ravenna e Il Rifugio dell’Ircocervo, che esce ogni quattro mesi. Entrambe accettano fino a 40.000 battute.

Ma la verità è che in questi anni ‘20 noto un fermento incredibile sia sul fondale che sulla superficie delloceano letterario, se vogliamo rimanere nella metafora dei Sommersi. E siccome io non so nuotare benissimo, consulto chi di queste cose si occupa quotidianamente per rimanere a galla: Michele Crescenzo con la sua rubrica sulle riviste letterarie indipendenti, Ti ho rivista (su Satisfiction e Facebook) e Modestina Cedola, di cui leggo il blog Italians Book It Better.

Proprio delle riviste anche se sommerse parli nel podcast che conduci in Sommersi. Ti va di parlarmi un di come nasce questa tua esperienza?

Certo. Chi parla di riviste nel podcast è, in realtà, proprio Modestina Cedola, la blogger di Italians Book It Better. È lei l’esperta. E l’idea è quella di instaurare presto anche una collaborazione anche con Michele Crescenzo di Ti ho Rivista per altri progetti di podcast. Sommersi è un progetto aperto in cui io mi limito a fare ciò che mi piace fare: leggere racconti e fare una chiacchierata con i direttori editoriali delle riviste di cui ci occupiamo. Il format che ho scritto prevede una puntata al mese e ogni puntata comincia con la lettura di un racconto scelto e pubblicato dalla rivista stessa e poi si focalizza sullinterazione con chi quella rivista lha creata e la tiene in piedi. Sommersi sono tutti gli autori che popolano il fondale delloceano letterario che poi, grazie alle riviste, si trasformano in emergenti. Per questo motivo le chiacchierate che facciamo in questo podcast avvengono sottacqua e le letture dei racconti sono accompagnate da una ricerca sonora particolare portata avanti da Andrea Gianessi, compositore e sound designer. Andrea è uno dei cinque membri della piccola redazione che ho messo in piedi per realizzare il podcast. Oltre a me, Andrea e Modestina, ci sono anche Marina Calivi, che supervisiona i testi come autrice e Raquel in Dreams che si occupa delle illustrazioni legate a Sommersi.

Trovo coraggiosa l’ idea di proporre cultura tramite podcast et similia, anche se qui in Italia mi sembra che progetti come il tuo siano ancora lontani dall’ attecchire. Tu come valuti la situazione? Che sviluppi prevedi per esperimenti come il tuo?

Ci sono esperimenti che meritano davvero attenzione a livello di podcast. Io sono una delle oltre due milioni di persone che ascolta i podcast di Storielibere.fm, come Daimon di Violetta Bellocchio, Copertina di Matteo B. Bianchi e Morgana di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, ad esempio. Ma, essendo curioso di natura, mi piace spaziare un po’ dovunque alla ricerca di storie, anche macabre, come quelle che Pablo Trincia racconta in Veleno. Se è vero che quelli che ti ho nominato finora sono podcast parecchio conosciuti, è pur vero che esistono anche cose più di nicchia come Quarta di Copertina di Anna Rusconi, un podcast che sintrufola dietro le quinte dei libri più famosi e che mostra tutta l’ umanità e le contraddizioni della vita dei loro autori. Oppure Mis(S)conosciute che invece si occupa di autrici rimaste un po’ nell’ombra. Ma se vai su Spreaker, Spotify, Apple Podcast o su tutte le altre piattaforme di streaming digitali (tipo Podchaser, iHeart, Google Podcasts, Castbox, Podcast Addict) che trasmettono podcast ti si può spalancare un mondo. Tipo, hai una mezz’ora in cui vuoi rilassarti? Vuoi staccare dalla routine quotidiana e dedicarti solo ai tuoi interessi? Puoi scoprire cose belle come Bistory, il Lato B della storia. In un giorno di sole durante la quarantena ad Aprile, per esempio, avevo un desiderio enorme di uscire, viaggiare, partire, ma sapevo che non l’avrei dovuto né potuto fare in un periodo in cui il futuro era ancora molto incerto. E così ho trovato questa puntata di Bistory che mi ha permesso di fare un viaggio non nel futuro, bensì nel passato. Anzi, più che di un viaggio si parla di un’esplorazione in condizioni climatiche estreme: la spedizione con cui R. Falcon Scott, all’inizio del 1912, ha tentato di raggiungere il Polo Sud. Poi ci sono realtà come Querty, che è un network di podcast culturali a cui si può anche proporre il proprio podcast. Querty ha addirittura realizzato il più lungo streaming audio del mondo, che è durato più di 56 ore. Leggevo su Wired che lItalia è il quinto mercato a livello mondiale per fruizione di podcast. Insomma, non siamo messi così male anche se possiamo migliorare. Direi che non la vedo troppo grigia e, nel mio piccolo, tento di dare il mio contributo. A testimonianza del fatto che il podcast si sta piano piano diffondendo anche in Italia ti dico che cominciano ad esserci anche accademie che insegnano produzione e promozione del podcast, oltre a festival dedicati, tipo il Festival del Podcasting a Milano. Ciò che manca, forse, è una distribuzione capillare tale da far diventare un’abitudine l’ascolto di un podcast. Ti faccio un esempio: quando è uscito Cat Person di Kristen Roupenian sul New Yorker era un periodo in cui non riuscivo a fermarmi un secondo, avevo le giornate piene di impegni dal mattino presto fino a sera, ma avevo assolutamente voglia di leggere quel racconto. Così, prima di dormire, una notte, ho aperto il sito del New Yorker e ho scoperto che, sulla stessa pagina in cui era pubblicato il testo, c’era anche l’audio dell’autrice che leggeva il suo racconto. Ricordo di aver chiuso gli occhi con una sensazione di sollievo. Ho premuto Play e sono riuscito finalmente ad ascoltare Cat Person. Poi non ho dormito, però, perché sono andato ad ascoltarmi altri racconti. Però vedi che un accorgimento semplice come questo può dare vita a nuove possibilità per la fruizione dei racconti, per esempio.

In Sommersi leggi il racconto di una rivista da te selezionata avvalendoti del tappeto sonoro di Andrea Gianessi https://www.spreaker.com/user/11898367/sommersi-tina-la-rivistina-di-matteo-b-b.

Come mai la scelta di abbinare musica e parole in questo modo?

Sommersi è un esperimento aperto a tutte le riviste che vogliono partecipare, non faccio una selezione in questo senso. Riguardo alla musica che accompagna il racconto ti direi che più che essere un tappeto di suoni, quella di Andrea è una vera e propria interpretazione sonora del racconto, condotta in modo sperimentale. Nel senso che Andrea parte dai suoni prodotti dalle parole che pronuncio durante la lettura e li trasforma in cascate variabili di echi, battiti e sospensioni che tentano di seguire o amplificare latmosfera di ogni specifico racconto. L’idea di base è rispettare la coerenza drammaturgica del racconto, senza scadere nel didascalico. Per Sommersi ho pensato subito ad Andrea perché ho sempre seguito i progetti teatrali in cui è stato, ed è tuttora, coinvolto come Sound Designer alla Biennale di Venezia e ho capito che avremmo potuto lavorare bene insieme. Quello che cercavo era proprio una persona che avesse voglia di sperimentare le potenzialità del suono legato alle parole. Questa interazione nasce dal mio stesso modo di scrivere. Ho bisogno di immergermi in unatmosfera musicale, di percepire un ritmo e un ambiente sonoro ogni volta che inizio un racconto. E sento che questa necessità si palesa anche quando rileggo o rielaboro ciò che ho scritto. Tanto che quando ho partecipato al mio primo reading a Bologna, organizzato da Riccardo Fumagalli e Enrico Prevedello dei Racconti del Bar Z a La Confraternita dellUva, ho chiesto ad Ale Renzetti dei Tersø, gruppo bolognese di musica elettronica, di accompagnarmi dal vivo nella lettura del racconto Nel diagramma delle nostre vite. Ale ha portato con sé un Octatrack per campionare i suoni in tempo reale e il risultato è stato ancora più intenso di quanto avessimo immaginato allinizio. E visto che ci siamo, lo dico a tutti gli esordienti come me, tenete d’occhio il progetto dei Ragazzi del Bar Z. Quado capitano nella vostra città, provate a partecipare ai reading di racconti di esordienti che organizzano. Sono organizzati, simpatici e si beve pure una birretta tra un racconto e l’altro.

Cosa consigli a chi, come te, si vuole approcciare al mondo editoriale nel 2020?

Non credo di essere nella posizione di poter dare consigli a qualcuno. Posso solo dirti cosa faccio io per approcciarmi al mondo editoriale. Mi esercito per avere la capacità di sgonfiare il mio ego dopo che ho scritto qualcosa che mi sembra buono. Perché è vero che ci sono parecchi strumenti disponibili oggi, tanto che chiunque può addirittura autopubblicare il proprio libro e metterlo in vendita, ma non credo proprio che il fatto di saper o poter usare tali strumenti conferisca lo statuto di scrittore a qualcuno. Prendi, per contrasto, il caso di Rupi Kaur in Canada. Lei ha usato il self-publishing per il suo primo libro di poesie, Milk and Honey, prima che un editore si accorgesse di lei, ma stiamo parlando di una persona che ha partecipato per anni a reading e serate di Open Mic a Toronto. A fine serata il pubblico le chiedeva dove avrebbe potuto comprare una raccolta delle sue poesie. Insomma, Rupi Kaur aveva un riscontro diretto di interesse dal pubblico che la ascoltava. In questo contesto, capisco perfettamente la scelta di autopubblicare una propria raccolta. Poi sappiamo com’è continuata la sua storia: tour di reading in buona parte del mondo, ospite delle maggiori trasmissioni televisive e radiofoniche nei paesi anglofoni e una casa editrice che l’ha messa sotto contratto (in Italia i suoi lavori sono pubblicati da Tre60). Ciò che voglio dire è che chi si autopubblica un libro, senza avere un minimo riscontro che vada al di là di amici e parenti, salta una serie di passaggi che secondo me è importante conoscere. Mi sono iscritto ad alcuni gruppi di “scrittori emergenti” su Facebook dove mi capita di leggere post in cui qualcuno dichiara di scrivere solo per se stesso, e chiede che cosa ne pensino gli altri membri. A me pare che scrivere per se stessi equivalga a non voler avere a che fare col mondo editoriale. Ad oggi, circa una decina di miei racconti sono stati pubblicati da riviste letterarie e, più che dare consigli ad altri “sommersiche tentano di emergere, posso condividere con loro la domanda a cui tento di rispondere prima di inviare un mio racconto a chiunque. Questo racconto è autentico? Sebbene sia una costruzione di finzione, trasuda autenticità? Voglio dire: scrivi in modo approssimativo di cose che sai solo per sentito dire o hai fatto una ricerca per dare consistenza a una scena, a un’azione o a un personaggio del tuo racconto? Se, per esempio, il tuo personaggio è un neurologo, tu per primo sai distinguere la neocorteccia dal cervelletto? Se è il guardiano di un faro, sai che cosa sono i cristalli di Fresnel (anche se magari non li nominerai mai nel racconto)? E soprattutto, sei disposto a metterti in gioco? Cioè, tu scrivi il tuo racconto, lo rileggi e magari ti accorgi che c’è qualcosa che stona e lo correggi. Ma nel momento in cui mandi il tuo manoscritto a qualcuno, sei disposto ad accettare critiche o addirittura rifiuti? Hai il temperamento giusto per ricominciare da capo o per tentare altre strade, mantenendo però una tua coerenza, una tua voce? E, infine, sai a chi stai inviando il tuo manoscritto? Conosci la linea editoriale della rivista, della casa editrice o dellagenzia con cui vuoi entrare in contatto? Ecco, e ora la smetto di fare domande sennò fra un po’ viene l’ansia anche a me.

Fiera del libro o libreria indipendente?

In certe Fiere del libro si può venire a contatto con personaggi e autori che difficilmente si potrebbero vedere altrove. E poi si possono conoscere intere redazioni, come quella del Foglio Letterario, no? Anzi, di più. Si può anche bere un bicchiere di vino chiacchierando di letteratura, come abbiamo fatto noi. Ma la verità è che entro sempre con una certa ammirazione nelle librerie indipendenti. Penso a tutte le capacità di resilienza che deve avere chi decide di aprire una libreria indipendente, a partire da quelle imprenditoriali. È difficile realizzare i propri sogni senza dover passare attraverso la burocrazia nel mondo reale, no? Aggiungi al fatto di saper gestire un’ attività in proprio anche l’abilità di saper scegliere una linea specifica di case editrici e collane editoriali su cui puntare. Ti faccio un esempio che ha a che fare con la mia vita quotidiana a Bologna: se io entro da Igor, a pochi passi dal Pratello, so che troverò una gamma di libri che hanno a che fare con la cultura LGBTQ che spesso in altre librerie non trovo. Se vado a bere un bicchiere di vino a La Confraternita dell’ Uva, che è un bar libreria, so che i ragazzi che mi stanno servendo il vino sono anche degli appassionati lettori e sanno consigliarmi bene. Un libro tra quelli che loro hanno in esposizione sicuramente farà al caso mio. Un pomeriggio di tanto tempo fa mi è capitato di prendere un caffè nella traversa di una via centrale di Bologna e appena sono uscito dal bar ho scoperto una piccola libreria che si chiama Trame, gestita da persone affabili e con una solida conoscenza dei libri che hanno in vendita. Mi sono trovato talmente bene che ci sono poi tornato varie volte per assistere alle presentazioni che organizzano. Insomma, a volte si può creare proprio un rapporto di fiducia con i librai delle librerie indipendenti, se non addirittura di amicizia in un luogo del genere, no?

Ti lascio quest’ ultimo spazio per dirci un po’ quello che stai architettando nel presente e che stai maturando per il futuro. Spara!

Grazie per questo spazio. Sto scrivendo molti racconti che ruotano attorno a un tema specifico e sto cercando di dare una compattezza a tutto il materiale che ho. Voglio arrivare ad avere un progetto formato da storie che abbiano una coerenza di atmosfere, sensazioni, situazioni, da poter presentare a un agente letterario. In questo senso, il mio punto di riferimento è da sempre stata Jhumpa Lahiri con la sua raccolta L’interprete dei malanni. Secondo me qui l’autrice ha saputo raccontare storie di personaggi dislocati in parti diverse del mondo creando, però, una sorta di territorio spirituale comune – che è quello bengalese – e allo stesso tempo è riuscita ad affrontare temi complessi come la diversità e l’integrazione. Jhumpa Lahiri è capace di mantenere un equilibrio narrativo invidiabile nonostante lo sbilanciamento della vita quotidiana dei suoi personaggi. Anche libri suoi più recenti sono per me molto interessanti. Prendi Dove mi trovo. È un romanzo sì, ma ogni capitolo ha la lunghezza e l’autosufficienza di un racconto breve. So che le raccolte di racconti sono materiale un po’ controverso per l’editoria, e a questo proposito ci sono articoli molto interessanti di Rossella Milone su L’Espresso (Perché i libri di racconti non finiscono in classifica?), di Vanni Santoni su Vice (Perché in Italia abbiamo paura dei racconti?) e sulla rivista Tuffi (I racconti in Italia), che sviscerano la questione. Ma a me piace scrivere nella forma breve. Che ci posso fare?

Allo stesso tempo, oltre a Sommersi, sto lavorando alla realizzazione di un nuovo podcast. È ambientato in un (virtuale) locale notturno illegale che ho chiamato Capitolo Uno | Night Club Letterario. Vedi? Grazie ai podcast posso realizzare anche cose improbabili e posso fregarmene, per una volta, della burocrazia. Questo locale rimane aperto tutta la notte e gli avventori possono bere, fumare, trasgredire. Ma, a un certo punto della notte, chiamo sul palco dei musicisti jazz e un ospite ogni sera diverso, uomo o donna, che legge il capitolo uno di un libro a cui tiene particolarmente. E, alla fine, ci racconta anche perché ha scelto proprio quel libro. La prima puntata è online e ho ospitato Antonella Dilorenzo, autrice e direttrice di Rivista Blam che ha letto la prima parte di Febbre, di Jonathan Bazzi. È un’idea che in qualche modo si riallaccia ad alcune trasmissioni televisive americane degli anni 50 come, per esempio, lo Steve Allen Show (che guardo su YouTube, giusto per riallacciarmi a una delle tue domande precedenti). Scrivere e fare l’ host di Capitolo Uno è un modo come un altro per divertirmi, ma anche per conoscere e far conoscere libri che io stesso magari non ho ancora letto. Anzi Vince, fai un bel respiro e portati un libro quando verrai a trovarmi al Capitolo Uno, che io ho già pronto un buon bicchiere di Pignoletto per cominciare la serata.

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