Giancarlo Ghezzani – Il ritorno buonista del Diritto
All’interno del complesso costrutto che abbiamo imparato a chiamare società civile è possibile identificare diverse tendenze che possono essere assunte dagli individui che la compongono. Una delle peggiori è quella che coniuga i sensi di colpa dovuti a una vita agiata a un sottile delirio d’onnipotenza. Sebbene gli amici mitteleuropei siano maestri nel condensare interi concetti in singole parole piuttosto chic – anche se poi risulteranno essere più lunghe della spiegazione del concetto stesso – esiste in questo caso anche nella lingua italiana un vocabolo capace di rappresentare la piaga che è stata ed è in parte responsabile dei grandi problemi sociali di moltissimi periodi storici.
Ogni volta in cui ci siamo resi conto di star cadendo nuovamente in questa piaga, era sempre troppo tardi: l’invisibile incensiere dell’ipocrisia aveva oramai addensato l’aria di un opaco, etereo buonismo– o Gutmenschentum, per chi non avesse capito. Qualsiasi ambito osserviamo, non ci risultano esempi di applicazioni buoniste che poi non siano sfociate in un estremismo sfrenato, sofisticando concetti e traguardi che la civiltà umana ha tanto faticato a ottenere e perfezionare nel tempo. Il più tremendo degli esempi può essere identificato nelle interpretazioni che le religioni hanno subito nel tempo. Non esiste religione che nel corso della sua storia non sia stata offesa e macchiata di stragi compiute in nome o in difesa di essa. Questi e altri scempi sui quali non ci soffermeremo sono stati dettati da uomini che credendosi dotati di una moralità superiore rispetto ai propri simili hanno imposto ciò che credevano giusto, discriminando e facendo sentire colpevoli tutti coloro che, per ovvie ragioni culturali, la pensavano diversamente.
Ecco cosa succede a pensare che la morale superi la ragione. È utopico supporre che esista una morale universale che muova tutti gli uomini verso la pace, che spetti a ciascuno di noi imporla violentemente a coloro che non l’hanno saputa cogliere. Purtroppo si sta confondendo il frutto di un secolare laboratorio sociale come il diritto con un qualcosa di volubile e volatile come la morale, che, sì, è direttamente correlata al diritto, ma non dovrebbe averci nulla a che fare. Ciò che è giusto non è sempre detto che sia ciò che è corretto.
I diritti, gli stati di diritto, questo mondo di diritto, sono tutti basati e cristallizzati attraverso questo contratto etereo e protéico condensato in parola. Sta di fatto che prima di essere riconosciuto da una qualsiasi collettività, tutto quello che definisce il diritto debba essere accettato, riconducibile alla cultura e alla morale della società alla quale si intende farvi fare riferimento. Quindi – definendo corretto quanto detto e accettando che quella sia la definizione di criterio imprescindibile di esistenza per una collettività coesa – non si può più definire fondamentale e globale qualsiasi diritto – nemmeno quelli alla vita, libertà e dignità – poiché questi concetti non possono essere ricondotti a tutte le società, culture e, conseguentemente, dettami morali di questo pianeta. È possibile quindi arrivare alla conclusione che sia sbagliato parlare di diritti umani: bensì possiamo ritenere corretto parlare della volontà presa dal mondo occidentalizzato di voler uniformare, anonimizzare e globalizzare il retaggio datoci dalla cultura romana e cristiana, cambiandone i nomi e mascherandone le origini, ma mantenendone i significati.
Esistono quindi valori, non diritti, perché i valori appartengono e partono dalle persone e dalle piccole comunità che esse compongono e sviluppano: non si possono quindi imporre o dare per scontati. Bisogna abbandonare la presunzione che tutti gli uomini nascano con una morale che soprassieda la cultura nella quale si sviluppa psico-attivamente. Lo scopo ultimo dell’uomo di diritto non è e non deve essere quello di vanificare e sminuire quella che è la cultura delle singole società. Si tratta invece di elevarle con l’intenzione prima della crescita dell’individuo. Qualora il retaggio preso in esame dovesse andare in contrasto con quello che sono la morale e la concezione di diritto nata dall’esperienza secolare sviluppata dai primi grandi imperi europei e oramai fatta propria di tutte le popolazioni ritenute civilizzate, va intrapreso un approccio propedeutico alla comprensione del perché si sia sviluppato un simile atteggiamento nei confronti dell’essere umano da parte di queste culture. Per modificare tale atteggiamento non si deve ricorrere alla pugna o alla caccia all’eretico: bisogna invece ricorrere alla ragione attraverso cui saremo in grado di sviluppare argomentazioni tali da far superare questa fase “barbarica”.
Non esiste argomentazione capace di abbattere la forma più pura e raffinata di verità. Di conseguenza, prima di parlare di diritti e edulcorarli o estremizzarli con la morale, è necessario imparare a riconoscere perché siano stati abbracciati e come fare affinché tutti sviluppino la sensibilità necessaria ad appropriarsene senza distruggere quella che è la propria identità: anche perché, altrimenti, vorrà dire che siamo ancora alla ricerca di una forma migliore di diritto e che i nostri valori non sono poi così rodati alla vita globale – non che ora si rasenti la perfezione sociale, ma quantomeno, grazie al nostro retaggio, siamo messi “tra i meno peggio” nel panorama mondiale.
Bisogna diffidare di coloro che hanno trasformato il diritto in sinonimo di morale che finge di porre radici nella cultura del diritto stesso o, meglio ancora, nei valori che lo fondano. Dobbiamo tornare ad avere consapevolezza della cultura che ci è stata tramandata e di come essa si stia affermando lentamente in tutto il mondo mettendosi costantemente alla prova dell’assolutezza dei suoi principi. Allo stesso tempo però dobbiamo portare pazienza e non esportare valori come fossero borracce d’acqua, perché già adesso stiamo ricadendo nel buonismo sfrenato che spinge a regalare diritti al primo che passa senza nemmeno che fosse richiesto o minimamente concepito quanto sta venendo imposto. Dai discorsi ai falò delle vanità è un attimo. Pensiamo a ciò che è giusto prima di sentirsi corretti dopo aver discriminato chi la pensa diversamente. La verità è assoluta, la morale no.
Giancarlo Ghezzani
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