Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario n° 12 – Premi letterari e luoghi comuni. Parte seconda
Una volta qualcuno mi disse: «Se vuoi vincere un premio, parla di morte o di malattia». Mi trovavo alla cerimonia di premiazione di un concorso letterario ed ero ancora alle prime armi; quell’affermazione mi parve un luogo comune come un altro, la sentenza di uno scrittore risentito per essersi visto superare troppe volte da altri. Eppure negli anni avrei imparato a rivalutare quelle parole alla luce dell’esperienza, fino a considerare la persona che le aveva pronunciate come uno che in fondo sapeva il fatto suo. Del resto si sa: nei luoghi comuni c’è sempre una parte di verità. Non se ne dovrebbe fare una regola, certo, però è pur vero che esistono temi sensibili (laddove evidentemente il tema sia libero e non guidato da una traccia), attraverso i quali alcune giurie più di altre si lasciano convincere che quel racconto, proprio per gli argomenti di cui si occupa, sia migliore di altri che trattano questioni più amene. Dunque lo stile, in questi casi, passerebbe del tutto in secondo piano, appannaggio di drammi, storie di vita vissuta e compagnia bella. Che poi, vai a vedere, magari un racconto che si è occupato dell’imbarazzo suscitato da un pezzetto di prezzemolo incastrato fra i denti è scritto meglio di quello di un autore diverso che ha parlato di un lutto o qualcosa del genere. Si crea, a tutti gli effetti, quella che può essere considerata una distorsione valutativa, roba che in psicologia si chiama “bias”. Ma nei premi letterari – è pur vero anche questo – si può giocare anche d’astuzia, per cui alcuni raggiungono un compromesso tra ciò che gli va veramente di scrivere e ciò che una giuria vorrebbe leggere. Beninteso, ci sono giurie e giurie, ed è bene distinguere tra quelle composte da persone veramente competenti e obiettive, e quelle – diciamo così – spinte solo da una certa passione ma senza un’adeguata preparazione letteraria. La fortuna di capitare nel concorso giusto e di essere letti dalla giuria giusta non è assente dalla lista dei fattori che possono incidere sulla vittoria, mi verrebbe da dire.
Qualche anno fa, dopo essere arrivato finalista con un romanzo, mi trovai alla premiazione insieme a uno scrittore che già conoscevo, ma di cui non avevo letto niente. Il suo era un classico romanzo di formazione, dallo stile classico e dalla struttura lineare. La nota di originalità era data da un triplice punto di vista, tre amici di vecchia data che si alternavano nel racconto delle vicende, e così facendo, tra passato e presente, permettevano alla storia di andare avanti. Il mio invece era un romanzo piuttosto sperimentale, scritto mediante una sorta di flusso di coscienza (con un’interiorità che man mano veniva sviscerata in maniera tumultuosa), senza dialoghi, dal ritmo claustrofobico alla maniera di Thomas Bernhard (accostamento azzardato, lo so… e che non me ne voglia il povero Thomas, ormai estinto, ma era così per dare un’idea) e dai molteplici finali. Inutile dirvi quanto considerassi migliore il mio romanzo rispetto a quello, quando ne lessero degli estratti. Il fatto era che nell’altro romanzo i tre punti di vista erano del tutto indistinguibili, tre voci pressoché identiche, insomma se tu non avessi sentito il nome del personaggio non avresti saputo di chi si stava parlando. Errore da principianti, pensai. Eppure quel romanzo vinse il concorso. La piacevolezza della storia aveva del tutto oscurato le componenti tecniche, stilistiche ed emozionali, mentre io tornai a casa – seppur incazzato – con la sensazione di aver imparato qualcosa in più sui concorsi letterari.
Con questo articolo vorrei chiudere il discorso avviato nei pezzi precedenti a proposito dei premi dedicati alla scrittura, ma come ormai sapete sono soggetto a lunghe e imprevedibili digressioni, manco fossi Martin Amis. Comunque, visto che siamo arrivati fin qui, ci provo. Ed ecco dunque una rapida carrellata di luoghi comuni da smentire:
1 – I concorsi sono tutti truccati. Falso! Si è già detto la scorsa volta di badare a chi organizza il premio, e così direi di dare un’occhiata anche ai nomi dei giurati. In alcune occasioni i nomi sono noti e affidabili, e non c’è ragione di pensare che da questi vengano premiati amici e conoscenti. Il nome e la reputazione di un concorso, d’altronde, si costruiscono negli anni pure attraverso simili accortezze, per cui al bando marchette e favoritismi (che poi per premi importanti ci sia il monopolio dei colossi editoriali, questo è un altro discorso, e rientra più nelle dinamiche commerciali). D’accordo, come nel già citato premio DeA Planeta le decisioni possono essere quantomeno discutibili, ma prendiamo per esempio un concorso che negli ultimi anni è diventato un’istituzione: il Neri Pozza. Ricordo che la prima edizione fu vinta dallo sconosciuto Marco Montemarano, nome che infatti ai più non farà risuonare alcun ricordo ma che si portò a casa l’eccezionale cifra di 25mila euro come anticipo sui diritti d’autore. Con buona pace del signor Montemarano, c’è da dire però che in seguito è uscito dai radar dell’editoria che conta; tutto sommato questa dovrebbe essere un’ulteriore prova del fatto che la giuria e la casa editrice puntarono, più che su un autore da modellare come caso letterario, su un libro che era veramente meritevole di vincere;
2 – Non vale mai la pena partecipare a un concorso che richieda una quota d’iscrizione. Falso! Prima di assumere una posizione che rischia di diventare intransigente, si dovrebbe leggere bene il bando e informarsi su alcune questioni fondamentali, tra cui: a- il prestigio dato da certi premi che sì, chiederanno pure soldi per partecipare, ma se il testo risulterà il migliore saranno in grado di offrire una notevole contropartita. Per partecipare al premio Calvino (anche con raccolte di racconti e non solo romanzi), già citato la volta scorsa, per esempio è richiesta una cifra di € 100 (per i testi superiori a un certo quantitativo di battute si deve però pagare una maggiorazione), iscrizione salata dunque… ma chi si piazza tra i finalisti è quasi sicuro che un editore di alto livello busserà alla sua porta, in quanto ormai il Calvino è diventato un bacino di raccolta di talenti letterari. La gratuità non è necessariamente segno di onestà, d’altra parte c’è un ormai noto gruppo editoriale (Albatros – Il Filo, facciamo pure il nome) che pubblicizza selezioni gratuite sui giornali e poi vi recapita indistintamente a casa contratti di acquisto copie da oltre duemila euro o giù di lì (editoria a pagamento: altro tema da trattare assolutamente in una delle prossime occasioni). Qualche volta la partecipazione a un premio è un vero salto nel buio, per cui non esistono riferimenti precisi: magari è la prima edizione, magari l’editore è appena nato. Vi racconto il mio caso, che riassume queste due ultime cose. Nel 2016 partecipai al premio di Caffèorchidea, un editore che sorto allora e che sembrava – dando un’occhiata al sito – avere già un’identità precisa prima ancora di pubblicare il primo libro. La partecipazione al premio era a pagamento e in palio c’era la pubblicazione, ma non c’era alcun libro da utilizzare come parametro per sondare la qualità dell’editore (la carta, il progetto grafico, la distribuzione e tutte quelle cosette, sapete). Tuttavia leggendo bene il bando e soprattutto il manifesto delle intenzioni dell’editore, ebbi la sensazione che il tutto fosse organizzato con professionalità, così pagai l’iscrizione e inviai il libro. Qualche mese dopo mi venne comunicato che Istruzioni di fuga per principianti era risultato vincitore, e nel 2017 venne pubblicato. Ad oggi rimane una delle mie esperienze migliori nel campo delle pubblicazioni, e l’editore nel corso del tempo è cresciuto andando in ristampa con l’ottimo Business per bamboccioni di Marco Parracciani oppure facendo parlare di sé per libri come il recente Virginia nel cassetto di Stefano Biolchini. Se mi fossi fermato all’idea che pagare per un concorso è sbagliato, tutto questo non sarebbe mai avvenuto. Al contrario, ci sono premi gratuiti e accessibili a tutti, come il torneo letterario IoScrittore, organizzato dal gruppo GeMS, che fa registrare ogni anno migliaia di iscrizioni; la mia esperienza con questo concorso, per l’unica volta in cui vi ho preso parte, non è positiva, poiché qui vige il meccanismo di una sorta di giuria popolare (autori che leggono reciprocamente i propri incipit e si danno voti a vicenda in maniera anonima), che in quanto tale dà giudizi non sempre competenti (nel mio caso, per esempio, un autore mi disse che usavo male la punteggiatura, ma nel far questo mi scrisse un lungo commento di una decina di righe senza alcun segno di punteggiatura! Oppure un altro non sapeva che all’interno dei capitoli potesse esistere una suddivisione in paragrafi, perciò non aveva compreso la struttura del testo); inoltre, notai che la maggior parte dei libri che avanzavano di turno appartenevano alla categoria dei gialli/thriller/noir, generi privilegiati dal lettore medio (come avevamo già accennato la volta scorsa), che di solito è attento più alla storia che al valore letterario dell’opera. Insomma, per quanto mi riguarda posso affermare che la qualità dei lettori non fosse esattamente professionale e oggettiva. Di seguito altri premi, a pagamento e non, che trovate su internet, dateci un occhio: ilmioesordio (organizzato dalla piattaforma di autopubblicazione ilmiolibro.it), Romanzi in cerca di autore (organizzato invece da Kobo), InediTO – Le colline di Torino, premio città di Como, Fai viaggiare la tua storia (organizzato da Libromania e Autogrill), premio Zeno, premio Città di Castello, premio Luigi Malerba, premio Romanzo Italiano (organizzato da RTL 102.5 e Mursia); b – che cosa si vince. Sia chiaro: per me i concorsi letterari costituiscono una grossa risorsa, che mettano dei soldi in palio oppure no. Personalmente, è vero, non ci tengo più di tanto a ricevere coppe, medagliette e pergamene, del resto non sono il tipo di persona che si ritaglia un angolino in casa con tutti i suoi bei cimeli e attende che qualcuno lo venga a trovare per mostrarglieli; i miei sono tutti in uno scatolone polveroso in soffitta, se è per questo. È che trovo più invitante una contropartita in denaro o in pubblicazioni. D’altra parte, come abbiamo detto, molti concorsi richiedono una quota d’iscrizione, anche se minima (si parte da una cifra di 10 euro, che spesso viene motivata come “spese di segreteria”), soldi che poi vanno a formare il montepremi. Come si sarà capito, non sono un purista e non credo si debba partecipare solo a quelli gratuiti come ferrea presa di posizione, soprattutto quando la gratuità è soltanto figurata. Qualche concorso infatti non ti fa pagare l’iscrizione ma ti chiede di inviare 12 copie cartacee del libro: oltre al costo dei volumi in copisteria, devi metterci quelli della spedizione postale. Dove sta allora il vantaggio, quando in altre situazioni ti vengono richiesti quei dieci euro e la copia digitale del manoscritto?;
3 – Più il bando è articolato e più significherà che è serio e professionale. Falso! Se date uno sguardo alla miriade di premi che si possono trovare su internet, vi renderete conto che le formule – anche se spesso si assomigliano – presentano un’enorme variabilità. Il numero delle sezioni può riguardare una sola categoria (facciamo conto poesie) oppure molteplici (per esempio racconto e romanzo, edito e inedito, tema libero o con uno spunto da seguire). Poi vari articoli possono essere dedicati ad argomenti come le modalità per l’invio delle opere, i requisiti per la partecipazione, l’attribuzione dei premi e la cerimonia di premiazione, la giuria, le questioni sui diritti e sulla privacy. Alcuni concorsi richiedono la compilazione di una specifica scheda d’iscrizione, altri no. In ogni caso, non esiste alcun legame tra la complessità del bando e la sua qualità effettiva. A volte vengono indetti bandi facili e chiari, con pochi articoli, eppure si tratta di concorsi importanti; altre volte, il tutto appare prolisso e ripetitivo, magari persino caotico, cosicché si venga costretti a chiamare per avere delucidazioni. Essere concisi e lineari permette di rendere il bando comprensibile e incoraggia la lettura, forse anche la partecipazione;
4 – Se partecipo a un concorso e non vinco, vuol dire che il mio testo non vincerà mai in nessuna competizione. Falso! Non risultare vincitore a un particolare premio non dimostra niente, ma sarebbe opportuno riprovare un certo numero di volte anche con altri concorsi. Ciò che non piace o non convince determinati giurati o non è adatto per un premio, magari si allinea perfettamente a contesti differenti. Per cui, è utile non scoraggiarsi e perseverare. Certo, se dopo anni si prova ancora a inviare il testo che non ha ottenuto nemmeno una misera menzione a qualche concorso, una domanda bisognerà pur porsela, no?;
5 – Col cavolo che spedisco la mia opera, sennò mi possono rubare l’idea. Falso! Diverse persone mi hanno chiamato negli anni per chiedermi come tutelarsi, e tutte insistevano sul fatto che fosse d’obbligo iscriversi alla SIAE per mettersi al sicuro. Se vi va di pagare per depositare il vostro scritto e pagare anche una certa quota annuale, accomodatevi pure. Io ho sempre consigliato di fare un viaggetto alle poste, sigillare il tutto e farsi recapitare il plico a casa: il timbro postale in quella busta sigillata vi tutelerà da eventuali tentativi di appropriazione indebita, poiché dimostra che solo voi siete i possessori di quell’idea, ne rivela il giorno esatto in cui le avete dato una forma fisica, una concretezza materiale. Ehi, mi raccomando, quando vi arriva il plico ricordatevi che aspettavate da un giorno all’altro il pacco che voi stessi vi siete inviati… non apritelo!
Ebbene, è stata lunga ma ce l’ho fatta ad arrivare in fondo. Credo di avervi detto tutto quello che c’era da dire sull’argomento, e spero che a questo punto ne sappiate qualcosa più di prima. Potrei concludere con un altro luogo comune, che ci sta bene, qualcosa tipo “L’importante è partecipare” o “Comunque vada sarà un successo”. Macché. Non ci crederebbe nessuno, tantomeno il sottoscritto, che rosica quando arriva secondo e si sbarazza di tutte le reliquie relegandole in soffitta. Non nascondo l’importanza dell’essere e rimanere umili, eppure credo che avere motivazioni valide e magari un pizzico di ambizione sia l’unico modo per ottenere prima o poi qualche risultato, anche piccolo, ma comunque inquadrato in un processo di crescita. Se potete, allora, fategli vedere chi siete. Se non ci riuscite, provate ancora: non si tratta di fallimenti ma soltanto di tentativi. E buona fortuna.
Mirko Tondi
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