Gordiano Lupi - Marcel Proust e i profumi dell'infanzia

Gordiano Lupi – Marcel Proust e i profumi dell’infanzia

Nasco ad Auteil, nel 1871, periferia ovest di Parigi, dove mio padre Adrien fa il medico e mia madre – Jeanne Weil – si occupa delle faccende domestiche, come si conviene in una buona famiglia borghese. Vengo al mondo nella casa del prozio materno, Louis Weil, pure se resta Illiers la terra dei ricordi, il luogo che per tutta la vita, nella finzione letteraria, chiamerò Combray. Mia nonna materna – Nathé Weil – mi accompagna nell’arduo cammino delle lettere, mi aiuterà persino a tradurre Ruskin, mentre la renderò protagonista dellaRecherche, stella polare nel percorso impervio, guida per un battello ebbro. La mia infanzia scorre per i viali alberati di Parigi, la prima giovinezza è figlia di Boulevard Malesherbes, mentre nasce mio fratello Robert, molto più pratico di me, uno che non perde tempo dietro i colori della natura e i profumi del vento, ma studia medicina e segue le orme del babbo.

La maledizione che accompagnerà la mia vita si manifesta che ho appena dieci anni: di ritorno dal Bois de Boulogne mi sento mancare, il fiato non arriva, non comprendo il motivo, sarà mio padre a diagnosticare l’asma. Una triste malattia che m’impedisce di frequentare la scuola come vorrei, anche se i miei studi proseguono, sono uno dei migliori allievi del Lycée Fontaine, prendo buoni voti e vinco premi a ripetizione. Ma quel che più conta nella mia vita è il rifugio di Illiers, la casa della zia paterna Elisabeth, – che nella Recherche chiamerò Léonie -, vedova d’un commerciante di stoffe, dove trascorro vacanze e feste, dove scopro Dickens, Eliot e Gautier, pure l’amore per una donna, platonico quanto si vuole ma sincero. Marie de Benardaky è la mia Gilberte Swann, il prototipo femminile, unico amore adolescenziale, il solo provato per l’altro sesso in vita mia. Il primo racconto che scrivo è un tema sull’ultimo viaggio di Cristoforo Colombo e le mie doti letterarie fanno bella mostra nella classe di retorica di Maxime Gaucher, dopo aver letto Sand e Musset e aver iniziato a comporre le prose de I piaceri e i giorni.

Mi piacciono le terme, quando viene la bella stagione vado con mia madre a Salies-de-Béarn, in Nuova Aquitania, torno a casa rinfrancato, pronto ad affrontare le tempeste quotidiane e a tuffarmi nelle mie passioni. La filosofia entra nella mia vita di diciottenne inquieto che fonda una rivista studentesca, conosce Alphonse Darlu e fugge dal materialismo positivistico per non più tornare. Amori veri non ne vivo, platonici sì, ché la cocotte Lèonie Closmenil è il modello sul quale plasmerò Odette Swann. E poi ci sono i salotti, costante d’una vita decadente, primo tra tutti quello di Madame Straus dove incontro Mathilde Bonaparte e soprattutto Charles Haas, che diventerà Swann nella finzione letteraria. Tutti i miei personaggi sono frequentatori di salotti, come il dottor Pozzi è Cottard pure gli altri – Paul Bourget e il conte Primoli – finiscono nel romanzo della mia vita. Madeleine Lemaire ha un altro salotto e fa la pittrice, certo non è un’artista ma non le fa difetto la passione, sarà lei a illustrare I piaceri e i giorni. Madame Verdurin è lei, forse solo in parte, ci sono pure altre componenti, ma la prima ispirazione proviene dalla signora Madeleine. Amo Anatole France, al punto che gli scrivo una lettera piena di entusiasmo e di sincera ammirazione, gli chiedo di farmi la prefazione ai Piaceri, quindi lo immortalo nella Recherchesotto le mentite spoglie di Bergotte, il grande scrittore da salotto che campeggia in tutta la mia opera. Scrivo e mi entusiasmo di tutto, leggo Leconte de Lisle e Barrès, vado volontario in guerra a Orléans, quindi frequento Legge, facoltà che non fa per me, ma seguire i corsi di Bergson rinforza la mia formazione filosofica. Muore l’amata nonna, intanto, il mio primo sostegno fanciullesco mi abbandona, ho diciannove anni e rimpiango il suo amore, la sua fiducia nei miei racconti, il suo ruolo di paladina letteraria. Se non fossi stato con la nonna in Normandia, nel Grand Hotel di Balbec, febbricitante, spossato per il viaggio, se non avessi dormito in quel posto nuovo, ebbro di odori e di oggetti così poco familiari, se non avessi fatto a pezzi l’abitudine per immergermi anima e corpo in un brutto appartamento sul mare, se non avessi fatto questo, forse non sarei mai stato uno scrittore di ricordi, di eterni ritorni, di sensazioni smarrite. Per me il solo vero Paradiso sarà sempre un Paradiso perduto, come io sarò riluttante a morire, corrotto dall’abitudine, trasformato in un individuo capace di soffrire tutte le mancanze in un solo istante. Ormai lo so che l’abitudine è la pianta umana che richiede meno cure, che è la prima a spuntare sulla desolazione apparente d’una sterile roccia. Tutto il mio mondo esce fuori da una tazza di tè con una madeleineinzuppata, è il mondo della mia infanzia, di Combray e di Swann, ambiente e figura centrale del me stesso fanciullo, del mio tempo perduto. Altri salotti compongono la mia vita, dal circolo del tennis di Neuilly, a quello di Laure Hayman, altro modello per raccontare Odette; poi cominciano i veri amori, non più platonici, che nel romanzo nasconderò sotto nomi di donne, ma sono uomini come il pittore Jacques-Emile Blanche che mi farà un ritratto, come Beardsley e Whistler. Vado in villeggiatura a Cabourg, dove scopro il dolore della memoria, il ricordo come tappa struggente della mia vita tormentata, ritrovando mia nonna in un racconto, scrivendo leIntermittenze del cuore. Trascorre la mia vita mentre scrivo personaggi prelevati dai salotti, ripenso Madame Verdurin nella realtà di Madame d’Aubernon, fondo riviste come Le Banquet, scrivo racconti, uno lo dedico ad Anatole France e lo intitoloViolante, una storia che può solo parlare di mondanità. Laure Hayman e il suo salotto forniscono materiale per approfondire il carattere di Odette, ché gli scrittori pescano a piene mani dalla vita, pure se leggere è importante, visto che nel mio animo trovano posto Baudelaire, Vigny e Loti. Alterno scrittura e amori, conosco autori importanti come Gide ed Hervieu, scrivo L’indifferentee Malinconica villeggiatura di Madame de Breyvesche troveranno posto nei Piacerima il primo finirò per toglierlo, ché sembra meno riuscito.

I piaceriè il mio libro più triste, dedicato a un amico come Willie Heath, morto di tifo lo stesso anno in cui mi laureo in legge, soltanto a ventidue anni, pure se non è la mia materia. E finisco per laurearmi anche in lettere, il mio vero sogno, prendendo lezioni private, mentre vivo l’amore per un pianista venezuelano, Reynaldo Hahn, che resterà con me fino alla fine. Conosco Oscar Wilde soltanto di passaggio, leggo Tolstoj e Flaubert, finisco la mia opera giovanile con i racconti Confessione di una ragazzae Morte di Baldassarre Silvande. Lavoro in biblioteca e scrivo, ascolto Wagner e diventa una passione, leggo Carlyle ed Emerson, finisco i Piacerie comincio a scrivere il romanzo autobiografico della mia vita, quelJean Santeuilche pubblicheranno dopo la mia morte dove abbozzo i temi dellaRecherche.

Sono sempre stato sincero nella scrittura, non ho mai finto, così come non sono mai stato innocente, soltanto schietto, persino ingenuo, in fondo è la mia forza, la mia potenza di scrittore, un eterno dilettante capace di mettersi a nudo davanti al lettore. Per difendere la mia opera mi batto a duello con un gaglioffo come Jean Lorrain, un critico delle mie ghette che stronca I piacerie fa pettegolezzo letterario sulla mia vita, sugli amori inconfessabili che nascondo. Difendo il mio onore, lotto per la mia opera, senza spargere sangue, senza subire ferite, senza ferire. Quel triste personaggio non doveva mettere in piazza la storia tra me e Lucien, il figlio di Alphonse Daudet, autore di un libro letto da adolescente, quel Tartarino di Tarasconacosì divertente, così gioioso. Lucien resta il mio migliore amico per tutta la vita, peccato che l’amore sia a senso unico, un sogno impossibile da portare a compimento. Scrivo il Jean Santeuil, intanto, lo finisco ma non lo pubblicherò mai, saranno altri a farlo, per me è troppo personale, non è il romanzo che mi servirà per non morire. Finisco per appassionarmi alle vicende del capitano Dreyfus, accusato come spia soltanto perché ebreo, lo difenderò per tutta la vita, scrivendo pagine su pagine della mia opera. Traduco Ruskin, viaggio con mia madre, vado a Evian, quindi a Venezia, incontro Debussy, La Rochefoucauld e altri dreifusardi, mentre muore mio padre, lo perdo e lo piango che ho appena compiuto trentadue anni. E due anni dopo mi lascia anche mia madre, dopo un attacco di uremia, di ritorno dalla villeggiatura di Evian, mentre la mia asma si fa più fastidiosa e devo ricoverarmi in clinica per trovare una cura che renda la mia vita sopportabile, ma non serve a niente, torno a casa più solo e più malato di prima. Forse è questa solitudine che mi spinge a comporre la mia opera, ideata a partire dal 1906, un anno dopo la morte di mia madre, nella solitudine di un castello a Versailles, quindi nella nuova casa, al 102 di Boulevard Haussmann, dove un tempo vivevo con i genitori, dove torno a vivere e faccio tappezzare di sughero le pareti della camera da letto per lavorare più tranquillo. Nel 1907 comincio davvero a scrivere la Recherche, trentasei anni compiuti, dopo aver rivisto i luoghi dell’infanzia, dopo essere tornato a Cabourg, luogo di villeggiatura nella giovinezza. Tutto il resto è un gioco, una prova letteraria, sia le prose a imitazione di Balzac e Flaubert pubblicate sul Figaro, che il Contre Saint-Beuve, un saggio romanzesco che in parte ricorda la Recherche, confondendosi con le sue pagine, con i suoi temi, tanto che in alcuni capitoli ci finisce dentro. Abbandono l’idea del saggio mentre prende corpo Dalla parte di Swann, il primo volume della Ricerca, come metto da parte l’idea di scrivere una serie di opere sulla pederastia, su Parigi, su Flaubert, sulle donne, sulle chiese, sulle pietre tombali e sull’arte del romanzo. Torno a Cabourg, dove amo passare l’estate, frequento i figli degli amici d’un tempo, penso persino di sposare una donna, soprattutto scrivo tutta la parte dellaRecherchededicata a Combray, che poi sarebbe la mia Illiers, la casa del tempo perduto. Purtroppo nessuno vuol pubblicare il romanzo, neppure ilFigaro; la cosa mi fa un gran male, al punto che me ne torno al mare, nella tristezza solitaria della spiaggia di Cabourg dove ascolto Debussy e penso ai guai economici che mi tormentano. Non trovo un editore per la Ricerca, piovono giudizi negativi su Dalla parte di Swann, prima da Gide, poi da Fasquelle, editori di Flaubert e Zola. Per fortuna il Figaropubblica alcuni estratti proprio mentre il mio amore per il bel pilota Agostinelli prende corpo, con lui faccio molte escursioni sul mare in automobile, poi finisco per assumerlo come segretario, addetto a copiare a macchina la Ricerca, una scusa come un’altra per averlo vicino, per dare sfogo alla passione. Mi abbandona pure lui, comunque, fugge in Costa Azzurra dove frequenta una scuola di aviazione, così resto solo con quel romanzo impubblicabile che nessuno vuole. Un nuovo rifiuto arriva da Ollendorf, ma non posso veder marcire nei cassetti il risultato di sette anni di scrittura, so che quel romanzo sarà il mio segno distintivo, il mio lascito insostituibile. Mi rifiutano perché sono un dilettante mondano, gli editori diffidano di me, non mi leggono neppure. Finisce che nel 1913 pago le spese di stampa al giovane Bernard Grasset, così mettiamo in vendita Dalla parte di Swanne mi lascio intervistare da Le Tempssulla poetica di quelle pagine intense, sul romanzo della mia vita. Passa solo un anno e tutti si accorgono di aver fatto un errore, si rendono conto che avevo ragione a voler pubblicare il mio Swann; adesso lo vorrebbe chi l’aveva rifiutato, viene persino Gide a chiedermi il seguito del primo volume. Sono io che non voglio, per orgoglio credo, anche se faccio pubblicare alcuni estratti sulla rivista proprio mentre muore assassinato il caro Gaston Calmette, direttore del Figaro, cui avevo dedicato il primo romanzo. Non solo, muore in un incidente aereo anche l’amato Agostinelli e chiamano in guerra il mio editore, Grasset, che deve cessare ogni attività. Tutto gira per il verso sbagliato, soprattutto scoppia la prima guerra mondiale, una tragedia non da poco che si porta via due amici: Bertrand de Fénelon morto in battaglia e Emmanuel Bibesco suicida. Passo tutto il periodo bellico a Parigi, ci vivo persino sotto i bombardamenti tedeschi, ascolto Beethoven nella solitudine della mia casa, suonato da un quartetto d’archi. Scrivo il romanzo della mia vita. La Rechercheprende corpo, si modifica sotto le bombe, durante la tragedia della guerra, diventano sette volumi invece dei tre previsti, quindi cedo all’editore importante che la vuol pubblicare e licenzio la nuova edizione del mio Swann. Finisce la guerra e cambio casa per illudermi di dare una svolta alla mia vita, prima mi trasferisco al Bois de Boulogne, quindi in Rue Hamelin, vicino al Trocadéro, la mia ultima casa. Posso pensare solo al libro, con la Nouvelle Revue Française – l’editore importante – che pubblica il seguito di Swann, All’ombra delle fanciulle in fiore, e i miei scherzi in prosa, i Pastiche et Mélanges, persino gli scritti su Ruskin. Vado avanti per quel che resta della mia vita correggendo e ampliando la Ricerca, pubblicando I Guermantes, quindi Sodoma e Gomorra, terzo e quarto volume. Non ho dato la mia vita per niente, confido a un amico poco prima di morire. Ho solo cinquantuno anni quando una maledetta polmonite mi porta via, ma sono l’unico colpevole visto che mi rifiuto di curarla. Ormai il mio compito è finito, la Ricercaè pubblicata, almeno fin dove avrei voluto. Ho concluso il quinto e il sesto volume, La Prigionierae La Fuggitiva, sono in mano all’editore, non aspetta altro che darli in pasto al pubblico. Tutto quel che faranno gli altri della mia opera è una scelta non mia, devo subirla, ché lo scrittore decadente e fatuo diventa importante, pare. Pubblicano cose che non avrei mai voluto vedere stampate: Contre Sainte-Beuve,JeanSanteuil, persino il Tempo ritrovato, che scovano tra gli appunti in un cassetto, ma non era finito. E quanto hanno sbagliato i critici sul mio conto, dicevano che sarei rimasto uno scrittore sconosciuto, pur vincendo il premio Goncourt; asserivano che ero un malato immaginario, uno stravagante frequentatore di salotti, un decadente scrittore di parole inutili, di descrizioni ridondanti e noiose. Io so solo che l’arte sconfigge la morte – l’ho scritto nel Tempo ritrovato-, quindi ho abbozzato un progetto letterario per rendermi immortale nel Jean Santeuile l’ho definito nella Ricerca. Ho parlato di letteratura e vocazione artistica, di aristocrazia e salotti, di amore e gelosia, di omosessualità e infanzia. Il bacio della buonanotte che mia madre non mi ha dato, pure se lo chiedevo con ansia e l’attendevo con il batticuore, è servito a farmi sperimentare la mancanza, a rendere concreto il sapore del ricordo. Ho usato i miei amici per comporre i personaggi, come fanno tutti gli scrittori, ma non ho mai utilizzato formule facili, non ho prelevato dalla realtà senza fare uno sforzo narrativo ma ho creato personaggi miscelando caratteri. Resta il fatto che si sono indignati in molti pure se non volevo mettere nessuno alla berlina. Sono stato soltanto uno scriba, un traduttore della natura, non ho mai avuto la dote di immaginare e inventare, soltanto quella di percepire. Dipingo ciò che vedo, non quel che so, proprio come Ruskin, esistono solo il mio occhio indagatore e la natura, non ci sono filtri; la memoria non c’entra niente con i ricordi, altrimenti sarebbe un freddo inventario del mio passato. Percepisco un suono, un sapore, un odore e con questo rivivo il passato, tutte le sensazioni rimaste fuori dal tempo, in un angolo riposto del mio cuore. La mia madeleineinzuppata nel tè resuscita un’infanzia che credevo perduta mentre di notte scrivo in una stanza tappezzata di sughero, priva di suoni, protettiva, lasciando il tempo del riposo al sorgere del sole. Il mio tempo perduto – passato o sprecato – rivive con la percezione d’un profumo e d’un sapore, mentre attendo la morte che sento ogni giorno più vicina. La sola vita realmente vissuta è la letteratura, perché solo l’arte supera e risolve le contraddizioni della vita. Una lotta contro il tempo, contro la morte, sono i miei anni del dopoguerra, per finire l’opera della mia vita che mi avrebbe reso immortale. La mia Ricerca, sincera e spontanea, che mi è cresciuta tra le mani, aggiunta dopo aggiunta, foglietto dopo foglietto, summadi margini e di paperoles. Non mi sono mai interessati i fatti e le trame, non scrivo per far progredire una storia, per far andare avanti il lettore, descrivo con lentezza situazioni ferme, mostro fatti e finisco per lasciarli sospesi in una sorta di firmamento letterario. Non ho perduto il mio tempo ricercandolo per tutta la vita, questa è la sola cosa di cui sono certo. E non so dire se al termine di tutta l’esistenza l’ho davvero ritrovato, non lo so dire e non m’importa dirlo. Credo che la cosa importante sia stata cercare nei mille profumi della mia infanzia il motivo per cui sono vissuto. Vi lascio in consegna il mioTempo ritrovato. Fatene buon uso.

Gordiano Lupi