Gordiano Lupi – Will Eisner
Raccontare la città sarà il mio tema
Will Eisner (1917 – 2005), maestro indiscusso del fumetto
Scrivo fumetti e amo la città dove son nato, la New York che canto, ma non sono un sentimentale, come scrisse un editore di cui non ricordo il nome. Ho dedicato quattro romanzi grafici a una New York decadente e nera, brutale e indifferente, cinica e perversa. Il mio sentimento nasce dalla realtà che osservo, non è sentimentalismo, riconosco le cose, la città che vivo è dentro me, nel bene e nel male, perciò la canto. Nasco così tanti anni fa da non ricordare quando, forse erano i tempi della Genesi, da giovane vendo giornali, faccio tante cose, m’invento fumetti per i quotidiani, un inserto diffuso come il pane; il protagonista m’è sopravvissuto, si chiama The Spirit, pure lui racconta la New York degli anni Trenta. Credo nei fumetti, il mio solo modo di comunicare, ci ho sempre creduto, da giovane anche più che al termine di questa vita quando ancora cerco di scrivere il mio capolavoro. Credo nel fumetto per adulti, cose come The Spirit e PS Magazine, storie educative e simboliche, ci credo anche quando potrei andarmene in pensione. Morire con la matita in mano è il mio destino, narratore populista ancora non troppo popolare, dopo sessant’anni di fumetti, fino alle storie su New York e al Contract whit God. Leggete le mie lettere d’amore alla Grande Mela, son lettere d’amore d’un realista, uno che vede il lato negativo del suo amore. Son lettere d’amore un po’ diverse, desideri insoddisfatti, amori poco salutari, vite di persone ai margini, destini contorti che portano alla tomba, vignette vergate con la rabbia e col rancore, pagine intrise di speranze tradite e contraddette. La mia Grande Città che si racconta, piccole storie mute desunte dalla strada, personaggi fatti della stessa consistenza dei sogni, racconti che non sprecano parole ma inondano d’immagini la tavola. Osservo la gente e scrivo, disegno chi vedo, scruto le strade del presente, indago il passato, rivedo le vetrine e i palazzi d’una città che non ho dimenticato.
Pagine di taccuino macchiate d’inchiostro diluito, linee morbide segnate in grigio scuro, titoli schizzati a mano, son le mie storie rapide come un lampo, dove tutto accade nello spazio d’un racconto; faccio rivivere fantasmi del passato, invento storie d’invisibili che si perdono nel tempo, uomini e donne che vanno alla deriva. City People Notebook non è che quello, son frammenti, pagine nel vento, emozioni colte di sorpresa che si stemperano nel sogno d’un tramonto. Scrivo le storie legate a un palazzo, un fantasma che vorrebbe salvare i suoi bambini, racconto una donna innamorata d’un poeta, un violinista che muore col palazzo e la vita d’un uomo ossessionato. Piccole storie truci che esprimono il mio solo sentimento, vorrei New York come non è mai stata, vorrei che le cose non andassero nel modo in cui la vita mi costringe a scriverle. Le città in fondo son tutte uguali, vivo la mia per questo la racconto, un mucchio di edifici e un po’ di gente, crepe del suolo e vita fremente, che turbina nei bassifondi. Il ritratto della città visto dalle scalinate dei caseggiati, come fossero spalti d’uno stadio, ponti levatoi del ricordo, punti di ritrovo, piccoli palchi, posti a sedere sicuri nell’arena, da cui assistere alla parata della vita. Una grande città che si aggrappa al cielo in cerca del suo spazio, ma che sprofonda verso i bassifondi percorsi da metropolitane luccicanti, su binari che partono da parchi malandati, dispersi in una vita periferica fatta di rettili di ferro, in un intrico di rotoli d’acciaio, serpeggiando attraverso gli edifici, incuneandosi nelle piccole esistenze, fino a penetrare le viscere cittadine. La mia grande città, alveare di cemento e acciaio, brulicante di esseri viventi che depositano rifiuti ed escrementi agli angoli di viuzze immaginarie, dentro bidoni di ferro, ossidati dalla vita, in mezzo al caos, tra le ferite di esistenze immobili, con ricordi spezzettati, non ricomponibili per niente. Racconto la città e i suoi odori, le sentinelle agli angoli del corso, gli idranti distrutti, i suoni persistenti e fastidiosi, tutti i rumori, la sinfonia unica e impossibile d’una vita fatta di ricordi. I muri della città son la sua anima, raccolgono le urla, coreografia della danza d’una vita, proteggono abitanti ed escludono, trattengono e imprigionano, amati e odiati muri fatti dagli uomini per limitare il tempo.
Palazzi di città che hanno un’anima, isolati che conservano le vite, dove la gente vive un’esistenza, punti di riferimento per piogge e lacrime, scrosci di risate, drammi personali sconosciuti. Vedo la città come una giungla, racconto le creature che ci vivono, l’ambiente circostante, dipingo una triste coreografia del quotidiano. Lavoro infaticabile fino alla fine, in cerca del mio capolavoro, anche quando vinco diversi premi Eisner, ironia d’un disegnatore che vince un premio alla memoria del se stesso ancor vivente, pure se vecchio. Sono come un mio amico musicista jazz che continua a suonare per tutta la vita, lui sta cercando la Nota, mi dice. E così vado avanti anch’io, cercando la mia Nota. Forse l’ho trovata, forse no. Chi può saperlo? E poi non sta a me dirlo.
Gordiano Lupi
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