Matteo Mancini - Ernesto Gastaldi: La genesi dello spaghetti thriller

Matteo Mancini – Ernesto Gastaldi: La genesi dello spaghetti thriller

Gustosissima novità in arrivo per il Foglio Letterario che, sulla scia di importanti realtà come la Sellerio dei vari Camilleri, Malvaldi e Manzini, presenta un progetto che ha l’imprinting per essere ricordato nel tempo. L’editore di Piombino ha deciso di ideare una collana interamente dedicata al giallo, schierando in prima linea uno dei suoi collaboratori di maggior prestigio. La definizione non è né di circostanza né altisonante, ma risponde a dati oggettivi che conferiscono lustro non solo all’editore ma a tutti gli autori presenti nel suo catalogo. Stiamo infatti parlando di uno dei maggiori sceneggiatori italiani legati al cinema di genere (limitiamo il conteggio alle dita di una mano), una vera e propria leggenda per gli appassionati italiani e stranieri. Padre dello spaghetti thriller, precursore italiano nella fantascienza, specialista nello spaghetti western e sceneggiatore di alcuni dei più riusciti polizieschi all’italiana meglio conosciuti quali poliziotteschi. Un titolo su tutti, per fare capire che il suo nome è qualcuno, èIl Mio Nome è Nessuno, capolavoro crepuscolare che ha in Sergio Leone e nel nostro uomo qua presentato la fonte di origine. Ho dunque l’onore e la soddisfazione di introdurre i lettori in una breve galleria di ricordi dedicati al grande Ernesto Gastaldi. Già autore del romanzo autobiografico Come Entrare nel Cinema e Restarci Fino alla Fine (2017), del saggio Come Scrivere un Giallo (2017) oltre che del romanzo fantascientifico dalle forti venature satiricheIl Lodo Alfa (2008) e di un volume contenente le sceneggiature originali de I Giorni dell’Ira e de Il Mio Nome è Nessuno, tutti editi da Il Foglio Letterario, i lettori della casa editrice di Gordiano Lupi hanno l’occasione di gustarsi un Gastaldi che ritorna alle origini, un tuffo carpiato nel passato, per abbracciare quel giallo che lo aveva lanciato nell’olimpo del cinema italiano. E quale migliore occasione, in questi tempi di stanca cinematografica, per formare, imitando anche i successi editoriali di Umberto Lenzi, una collana, si spera lungimirante grazie alla benedizione dei lettori, di una serie di brevi romanzi che, a loro modo, rievocano il felice tempo che fu e inducono giovani lettori alla riscoperta del nostro cinema di genere più qualitativo?

Immergiamoci allora nella storia della vita di Ernesto Gastaldi.

GLI INIZI A BIELLA E AL CSC.

Ernesto Gastaldi nasce in provincia di Biella nel 1934. Fino a vent’anni ignora cosa sia una sceneggiatura e non si interessa di cinema. Si diploma in ragioneria e trova lavoro in Banca, a Biella, vivendo come molti altri suoi coetanei. Le giornate trascorrono anonime, prive di brio e di interesse per il giovane Ernesto che capisce presto che quello non può essere il suo futuro. È troppo estroso, voglioso di raccontare storie, di inscenare spettacoli, per atrofizzarsi nell’anonimato di un ufficio, tra scartoffie e file di numeri. Un giorno, triste per esser stato lasciato da una ragazza, viene avvicinato da alcuni amici che, per tirarlo su di morale, cercano di smuoverlo dall’apatia.

«Ernesto, ci sono matti di Biella che hanno girato un film, lo proiettano nella sala della Democrazia Cristiana, perché non vai a vederlo?”Ernesto decide di accettare l’invito e assiste alla proiezione di un film indipendente intitolato Ombre sulla Città. In sala c’è anche l’ex fidanzata, che però è in compagnia di un altro ragazzo. Sulle prime la cosa getta nello sconforto il giovane, ma passa presto. La magia del cinema rapisce la fantasia di Ernesto, lo prende per mano e lo fa volare in un mondo di sogni. A fine proiezione se ne vanno via tutti, meno Ernesto, che chiede informazioni su ciò che ha visto.

«Ragazzo, questo è il cinema» gli dicono «Ma tu non sai nulla?» Ernesto scuote il capo. «Vieni, allora, che te lo spiego.» La cosa lo appassiona e lo porta ad avvicinare gli autori del lungometraggio. In particolare conosce e diventa amico di Giuseppe Sacchi, un genietto che qualche anno dopo, con Telebiella, farà cadere il monopolio pubblico della Rai Tv italiana, molto prima dell’avvento di Silvio Berlusconi. Sacchi è il regista del film, è lui a dargli le prime nozioni. Inizia a spiegargli le tecniche di ripresa e i segreti del mestiere, tra cui il montaggio. Per farlo capire meglio lo invita sul set dove sta girando quello che Gastaldi ricorderà quale il primo western italiano. Siamo nel 1954, dieci anni prima dei successi di Sergio Leone. Sacchi, supportato da un gruppo di amici di Biella, produce e dirige Cowboy Storyche, seppur poverissimo, conquista la Coppa Agis del festival di Montecatini del cinema d’amatore quale film più spettacolare. Il successo motiva il gruppo di Biella e in particolare Ernesto Gastaldi che insiste con Sacchi per scrivergli una storia e i relativi dialoghi.

«Voglio provare a fare il salto di categoria verso la carriera professionale» confessa Gastaldi. Il gruppo non lo prende sul serio. Ridono tutti, come se il nuovo componente del gruppo avesse detto una barzelletta. Nessuno sospetta di avere a che fare con un personaggio che farà la storia del cinema di genere, per cui la sortita del giovane Ernesto va oltre alla semplice chimera, sconfina nei territori immaginifici della follia.

«Ti scriverò io i dialoghi e le azioni del tuo film, Peppo, e vedremo se poi la cosa che ti ho detto è impossibile.»

Detto fatto. Ernesto Gastaldi scrive il copione e cerca, furbescamente, di sconvolgere i cliché non scritti e i tabù oltre i quali nessuno osa andare. Solo in questo modo può compensare i limiti economici e le gravi difficoltà nel curare sotto il profilo visivo il prodotto. Fin dagli inizi, Ernesto è un uomo pungente, ironico, dalla risata facile, ma sopratutto capace di vedere laddove molti altri non riescono a spingersi, a leggere le situazioni e a volgerle a proprio favore, mettendo sempre davanti leggerezza e la battuta giusta al momento giusto.

La sua è una storia scandalosa, coraggiosa, che mira a fare scandalo. All’epoca il Presidente del Consiglio è un tale che si chiama Giuseppe Pella ed è di Biella. Gastaldi pensa bene di concepire una storia in cui un noto onorevole di Biella commercia cocaina in balle di lana; non solo, fa vincere i cattivi e fa mettere in scena attrici che compaiono con le tette al vento. Intitola il tutto La Strada che Porta Lontano, un titolo che vuole esser profetico e soprattutto di buon auspicio.

«Peppo, fidati» assicura all’amico regista «per conquistare le vette, si deve osare. Cosa abbiamo da perdere?»

Il film esce per la prima a Montecatini, dove partecipa quale fuori concorso al festival, essendo superiore alla lunghezza dei venti minuti statuita dal nuovo bando. Per ragioni economiche, il film è senza audio. Poco male, Gastaldi e gli altri componenti della troupe si nascondono dietro il telone della proiezione e, mentre le immagini scorrono, doppiano in diretta i vari personaggi, con versioni che cambiano da una proiezione all’altra. Non si limitano a questo. Nella loro pochezza di mezzi, sono perfezionisti. Creano effetti sonori con la voce e fanno girare dei dischi per dare l’idea della presenza di una colonna sonora. Tutto estremamente artigianale, eppure maledettamente efficace. Quando le luce del cinema si spengono nessuno sembra interessarsi al progetto. Gastaldi si affaccia in sala e nota solo nove spettatori. C’era da attenderselo, ma se non si rischia non si rosica. Le cose però cambiano in modo repentino dopo pochi minuti. Qualcuno, un fenomeno che conosce la psicologia delle persone, esce dal cinema e comincia a urlare che in sala c’è un film in cui ci sono donne nude e in cui vincono i cattivi. Un battito di ciglia e la sala diventa piena zeppa di spettatori, tanto che finiscono i posti a sedere e il pubblico deve stare in piedi.

Fu uno scandalo” ricorderà Gastaldi. Gli organizzatori, dei preti, a fine film, rimproverano la troupe, perché nessuno fino ad allora aveva visto una roba del genere, soprattutto nessuno aveva visionato il prodotto prima di accettarlo. La notizia finisce sui giornali, giunge persino a Roma. L’organizzazione viene accusata di aver presentato un film immorale e a poco servono le difese dei responsabili che dichiarano di essere stati all’oscuro su ciò che il gruppo di Sacchi aveva presentato. È un affronto insostenibile cui fa seguito l’accusa ai danni del gruppo di Biella di aver offeso la buona fede degli organizzatori.

Due giorni dopo arrivano a Montecatini il regista Blasetti (tra i maggiori docenti del Centro Sperimentale Cinematografico), il presidente di Cinecittà Tito Marconi e il corrispondente dell’attuale Ministro dello Spettacolo De Pirro. I tre pretendono di vedere il film e assistono a una proiezione. Il gruppo di Biella, emozionatissimo e in difficoltà a sistemare i cavi dietro le quinte, doppia di nuovo il tutto, ben celati oltre il bianco schermo.

«Ora questi gli fanno chiudere col cinema» commenta qualcuno, anche perché, poco prima di far partire il film, uno della troupe si rivolge al ministro, baldanzoso di vedere l’opera e spazientito nell’aspettare i tempi tecnici, urlandogli di non rompere le palle con conseguenziale svenimento del politico. «È uno scandalo inaudito, ma come si permettono?» Eppure, a fine proiezione, Blasetti parte in quarta e va nell’hotel dove pernotta il gruppo.

«Dove sono quei matti di Biella?» Li fa chiamare, si complimenta e propone loro di accedere al Centro Sperimentale Cinematografico. L’obiettivo è centrato. Tutti guardano Gastaldi che, sornione, se la ride in silenzio. La sua follia è valsa il salto nel professionismo, o meglio, è valsa la grande chance, perché c’è ancora da superare l’esame di accesso.

Sacchi e Gastaldi arrivano a Roma nel periodo di ferragosto. Si ricordano di un regista che avevano conosciuto due anni prima a Biella, Aldo Florio. Florio offre accoglienza, ma soprattutto indirizza i due sul set di Guerra e Pace (1956) diretto da King Vidor, dove stanno cercando delle comparse. Gastaldi entra così nel mondo del cinema, quale comparsa, togliendosi la soddisfazione di fumare una sigaretta in compagnia di Audrey Hepburn, dopo aver salvato il girato evitando che il paraluce dello zoom battesse sull’aiuto regista, avvicinatosi troppo alla macchina da presa in azione.

Terminata la giornata, Ernesto si reca al Centro Sperimentale Cinematografico. Il centro è chiuso, ma il segretario gli apre e lo fa entrare.

«Chi sei?»

«Sono Gastaldi!»

«Ah, bene… Blasetti mi ha parlato di te, vuoi aiutarmi?» E così propone a Gastaldi di aiutarlo a scegliere, da una lunga serie di buste contenenti domande di ammissione, quaranta nominativi di candidati da ammettere all’esame per accedere al centro in qualità di attori e venti in qualità di registi.

«Certo che l’aiuto» dice Gastaldi «però quando troviamo la mia busta la mettiamo lì, tra quelli scelti.» Una richiesta inevitabile, dato il contesto. Detto, fatto.

Tra le buste appare quella di una bella ragazza in bikini che si chiama Mara Chianetta.

«Questa me la porto a letto!» commenta il segretario che pone subito la busta tra coloro che sono ammessi all’esame. Gastaldi ancora non lo sa, ma quella ragazza diventerà sua moglie, un amore che non conoscerà rotture e lo accompagnerà per tutta la vita. Quando arriva il giorno dell’esame, Gastaldi non fallisce il grande appuntamento e viene ammesso al Centro. Passa anche l’amico Sacchi che però poi abdica preferendo tornarsene a Biella.

La vita di Gastaldi al Centro Sperimentale non è delle più facili. Ha una formazione culturale tecnica (diplomato in ragioneria) che mal si concilia con i leziosismi classici dei colleghi. Questi ultimi si interessando di filosofia e argomenti aulici, stuzzicano Gastaldi che va in difficoltà. Lui è appassionato di fantascienza, in particolare è un avido lettore dell’appena nata collana Mondadori che va sotto il nome di Urania. Nessuno sembra conoscere cosa sia la fantascienza e guardano Gastaldi con un’espressione simile di chi va in giro con la puzza sotto il naso. A un certo punto la permanenza di Gastaldi va in dubbio, rischia la bocciatura, ma è Blasetti a salvarlo.

«La borsa di studio gliela do io, con il mio stipendio, se mandate via lui, vado via anche io!» La permanenza viene così salvata e con essa arriva anche l’agognato diploma. La strada per avere successo nel cinema, però, è ancora molto lontana.

LA GAVETTA DOPO IL DIPLOMA AL CSC.

Il periodo successivo al diploma al Centro Sperimentale non è florido di opportunità. Gastaldi, che ha abbandonato un posto tranquillo e ben remunerato come quello di dipendente bancario, arranca, a Roma, costretto a pubblicare romanzi, che escono per collane Mondadori e altre concorrenti. È un modo come un altro per racimolare fondi con cui tirare a campare. La sua aspirazione però non si modifica, resiste, si consolida nelle difficoltà: vuole fare cinema. Eppure passano tre anni di inattività, dal 1957 (anno del diploma) al 1960. Un periodo fatto di rifiuti, incomprensioni, porte chiuse in faccia. Fino a quando Renato Polselli gli offre l’opportunità di assisterlo quale aiuto regia oltre che affidargli il copione de L’Amante del Vampiro. “Morivo letteralmente di fame” ricorderà Gastaldi. È l’inizio di una lunga carriera. Nel giro di qualche mese, Gastaldi finisce sotto l’ala protettiva di Ugo Guerra che lo ingaggia per scrivere una serie di copioni senza poi accreditarlo. La cosa va avanti finché il produttore Goffredo Lombardo si accorge che Guerra usa un “negro” ovvero un ghost writer, sostituendo poi il proprio nome a quello dello sconosciuto autore. Se ne accorge perché percepisce una diversa mano nella stesura della prima e della seconda parte di Sodoma e Gomorra(1962) affidato alla regia di Robert Aldrich.

«Sei uno stronzo, Ugo…» commenta Lombardo «Tu hai scritto il secondo tempo, ma chi è quell’asino che ha scritto il primo?»

Lombardo c’ha visto giusto, ma ha sbagliato ad attribuire le parti di storia.

«Goffredo, il primo tempo l’ho scritto io, mò ti presento chi ha scritto il secondo.» Per Gastaldi la gavetta è finita, viene riconosciuto come promettente sceneggiatore. Ora non deve più andare a destra e a sinistra a proporre copioni, venendo sistematicamente respinto; ora sono gli altri a cercarlo.

LA SCALATA VERSO IL SUCCESSO

All’inizio scrive di tutto, dalla commedia all’avventura, passando per l’horror. Nel 1965 debutta anche alla regia, lo fa per scommessa, prendendo al balzo un confronto tra i produttori Luciano Martino e Mino Loy. Il primo sostiene che per esser un buon regista si deve saper raccontare le storie, per il secondo invece è determinante essere un grande tecnico della macchina da presa.

«Fermi tutti» urla Gastaldi, che passa di lì per caso. «Io sono uno che racconta storie, di macchina da presa me ne intendo relativamente poco, proviamo! Vediamo chi di voi due ha ragione.»

L’idea piace. Vengono investiti appena ventisei milioni e viene prodottoLibido (1965), che Gastaldi dirige insieme a Vittorio Salerno. Il ruolo principale va a un attore debuttante, che non conosce quasi nessuno, ma che farà strada: Giancarlo Giannini. Il ruolo femminile invece va a Mara Chianetta, in arte Mara Maryl, la moglie di Gastaldi.

Ho fatto il regista solo per rispettare un patto con mia moglie: lei doveva girare solo con me regista, io girare solo con lei protagonista” ricorderà Gastaldi, che convincerà la moglie, per il bene del matrimonio, a non lasciarsi infatuare da proposte lavorative di altri registi.

Il film è un inaspettato successo, apre la strada al genere e induce il duo Martino/Loy a investire forte su questa tipologia di film, spianando la strada al giallo lenziano e legandosi in modo indissolubile con Gastaldi (diventerà il loro sceneggiatore di fiducia). Incassa oltre 500 milioni, in particolare va forte all’estero. È la nascita ufficiale del giallo all’italiana e Gastaldi ne è il padrino. La pellicola va così bene che funge da base della tesi di laurea in economia di Gastaldi incentrata sulle industrie che fanno prototipi. Faranno seguito altre cinque regie, tra il 1967 e il 1992, nessuna delle quali però all’altezza dei risultati del debutto.

Tuttavia è nel settore delle sceneggiature che spicca l’estro eclettico dell’autore. Ne arriva a scrivere una dozzina l’anno (nel 1966), senza contare quelle che non andranno a buon fine. A fine carriera si conteranno circa centoventi sceneggiature, con altrettante rimaste nel cassetto. Gastaldi si destreggia con eccezionale capacità in generi molto diversi tra loro e pone la firma su autentici capolavori del cinema bis. Quello che più sorprende però è che non riesce a convincere nessuno a produrgli le sceneggiature di fantascienza, suo genere di predilezione che resta così inespresso. Chissà cosa avrebbe potuto fare se supportato a dovere. Nonostante questo mette la firma su quello che è, ad avviso di chi scrive, il miglior film di fantascienza italiano. Lo chiama direttamente Carlo Ponti, marito di Sophia Loren e produttore del film La Decima Vittima (1965), scontento del copione che gli ha consegnato il regista Elio Petri (famoso per il capolavoro premiato, cinque anni dopo, con l’Oscar, quale miglior film straniero, intitolato Indagine su un Cittadino al di sopra di Ogni Sospetto). Ponti dice a Petri che farà rielaborare il testo, giudicato troppo farsesco, da uno sceneggiatore americano, invece chiama Gastaldi, ma questo Petri non lo saprà. Il soggetto è ripreso da un celebre racconto breve di Robert Sheckley, autore di fantascienza americano, vero e proprio modello del genere distopico che, anni dopo, ispirerà anche il romanzo L’Uomo in Fuga (1982) di Stephen King (che si firma Robert Bachman). È l’occasione propizia che Gastaldi cerca, peraltro da grande lettore della collana Urania conosce bene lo scrittore. Petri però, pur avvalendosi di attori come Marcello Mastroianni (in un bizzarrissimo look con i capelli ossigenati) e Ursula Andress, non capisce troppo il genere, è più legato ad altre tipologie di film. Torna al farsesco e la cosa getta nello sconforto Gasaldi che non ama troppo ricordare questo film, vedendolo alla stregua di una grande occasione persa. A nostro avviso resta comunque un grande gioiello, strepitoso per fotografie e scenografie, peraltro girato negli interni dietro casa dello scrivente, a Tirrenia, negli studios Cosmopolitan, ex Pisorno.

Sono gli anni in cui Gastaldi si appresta a debuttare alla regia, ha già alle spalle una quarantina di copioni, tra i quali quelli di importanti gotici quali L’Orribile Segreto del Dr Hichcock (1962) di Riccardo Freda, in cui azzarda ad andare oltre ai soliti cliché, scrivendo una storia sulla necrofilia, e La Frusta e il Corpo (1963) di Mario Bava, dove anticipa quel retrogusto sadico e perverso che irromperà definitivamente nel genere con Dario Argento. Suoi i copioni anche dei più tradizionali La Vergine di Norimberga (1963) e I Lunghi Capelli della Morte(1964) di Antonio Margheriti. È tuttavia col giallo e col western che firma i suoi lavori più memorabili.

Tiene a battesimo l’ascesa del giovane Sergio Martino, per il quale scrive tutti i gialli con Edwige Fenech protagonista. Opere dalle importanti venature erotiche miscelate a una forte componente onirica. Escono così Lo Strano Vizio della Signora Wardh(1970), l’ipnotico e stralunato Tutti i Colori del Buio (1971) e Il Tuo Vizio è una Stanza Chiusa e solo io ne ho la Chiave (1972), oltre che lo splendido I Corpi Presentano Tracce di Violenza Carnale (1973) e il discreto La Coda dello Scorpione (1971). Non solo, scrive la trilogia thriller diretta da Luciano Ercoli e interpretata dalla procace moglie dello stesso, la spagnola Nieves Navarro (alias Susan Scott), che ha ne La Morte Cammina con i Tacchi Alti (1971) il miglior film del terzetto. La trilogia prende le mosse dopo la cessione da parte di Gastaldi in favore di Ercoli, che si trova a improvvisarsi regista perché non ha i soldi per pagarne uno, di un copione (pena fallimento della casa di produzione dello stesso) che avrebbe dovuto dirigere lui stesso con Mara Chianetta protagonista e che si sarebbe dovuto intitolare Venere Più,poi modificato ne Le Foto Proibite di una Signora Per Bene (1970). Sempre di Gastaldi sono i copioni di altri importanti spaghetti thriller quali Così Dolce… Così Perversa(1969) di Umberto Lenzi e Perché quelle Strane Gocce di Sangue sul Corpo di Jennifer (1972) di Carnimeo. Quando poi si afferma il genere poliziesco, dopo l’uscita nel 1969 de La Polizia Ringrazia,sempre collaborando col duo produttivo Luciano Martino e Mino Loy, Gastaldi pone la propria firma su altre pellicole destinate a fare la storia del genere, una su tutte: Milano Odia: La Polizia non può Sparare (1974), con un allucinato e cattivissimo Tomas Milian, diretto da Umberto Lenzi, che tira cocaina sul set per caricarsi. Per il regista grossetano firma anche Il Cinico, l’Infame, Il Violento(1977) altro grande successo, che vede protagonisti Tomas Milian, Maurizio Merli e John Saxon. Suo anche il non riuscitissimo, comunque spettacolare specie per il prologo,Milano Trema: La Polizia Vuole Giustizia(1973) e il noir La Città Gioca d’Azzardo (1975) di Sergio Martino.

Scrive poi circa diciotto spaghetti western, collaborando soprattutto con Tonino Valerii (per il quale scrive i capolavori I Giorni dell’Ira, parabola dell’allievo che supera il maestro andata in visione nel 1967,e Il Prezzo del Potere, in cui propone in salsa western l’episodio dell’assassinio di J.F.Kennedy,oltre che l’aldrichianoUna Ragione per Vivere e una per Morire) e Giuliano Carnimeo (per il quale scrive due episodi della sagaSartana, andando a miscelare il western col thriller, nel tentativo di proporre qualcosa di innovativo), suoi compagni di corso al CSC, ma anche con Sergio Leone che gli affida i copioni de Il Mio Nome è Nessuno (1973) e di Un Genio, Due Compari, Un Pollo (1975), oltre che del gangster movie C’era una Volta in America (1983), di cui Gastaldi scrive il primo trattamento.

Stende anche un soggetto, svelando i retroscena a Bud Spencer. L’attore napoletano, credendo che Gastaldi abbia ceduto i diritti a una produzione fallita, ne parla a Enzo Barboni che stende il copione deLo Chiamavano Trinità, rubando l’idea ai produttori a cui Gastaldi aveva trasferito il copione. Purtroppo per Bud Spencer, la casa di produzione non è per niente fallita e arriva subito a battere cassa. Bud Spencer, pena citazione a giudizio, si trova costretto a recitare gratuitamente in un altro western, indirizzato alle famiglie e ai piccoli, intitolatoSi Può Fare… Amigo(1972), scritto da Gastaldi per la regia di Maurizio Lucidi. Un modo, come un altro, per rimediare alla frittata.

Negli anni ’80, travolto dalla crisi che inizia a investire il cinema italiano, anche Gastaldi vede restringersi il proprio campo d’azione. Mette comunque la firma sui due post atomici derivativi firmati da Sergio Martino, non troppo riusciti sul versante di scrittura, ma dei cult assoluti nel cuore degli appassionati ovvero 2019 Dopo la Caduta di New York (1983) e Vendetta dal Futuro (1986), film quest’ultimo divenuto famoso per la tragedia in cui perse la vita il protagonista Claudio Cassinelli, precipitato con un elicottero di scena e sostituito da controfigure per ultimare la pellicola. Firma inoltre l’interessante mafia movie di Damiano Damiani, fresco de La Piovra, Pizza Connection (1985).

Una panoramica questa non completa, ma esaustiva, lo speriamo, per evidenziare l’importanza di uno sceneggiatore che ha fatto la storia dei generi e che ora il Foglio Letterario ripropone in una veste che, pur non essendo nuova, è tale da permettergli di donare al pubblico le ultime stoccate per colpire il cuore degli appassionati e far loro battere un colpo, di paura o di passione starà a voi dirlo dopo aver letto i suoi nuovi romanzi.

MATTEO MANCINI INTERVISTA ERNESTO GASTALDI

Dopo aver effettuato una lunga panoramica sulla carriera cinematografica di Ernesto Gastaldi, passiamo ad analizzare la parte di carriera, forse, meno nota del nostro autore, così da offrire un quadro il più completo possibile e introdurre il nuovo progetto ideato in simbiosi con Il Foglio Letterario. Ci riferiamo alla carriera da scrittore, quella attraverso la quale, a inizio carriera, Gastaldi riusciva a racimolare un po’ di fondi per poter continuare a investire sul proprio incerto futuro da diplomato al CSC. Un periodo di magra, tra attività da ghost writer al servizio di Ugo Guerra e il tentativo di piazzare copioni sempre diversi, scritti nel giro di pochi giorni,con la possibilità, in ultima analisi, di piazzare qualche romanzo per le collane Urania e Giallo Mondadori, così da poter tirare a campare.

Chi meglio di Ernesto Gastaldi può raccontarci questo periodo, quello meno analizzato nelle sue tante interviste apparse nei volumi, tra i quali si ricordano Aldo Lado & Ernesto Gastaldi – Due Cineasti, Due Interviste (2014) di Jan Svabenicky e La Paura Cammina con i Tacchi Alti (2017) di Stefano Iachetti, entrambi editi da Il Foglio Letterario.

  1. Buona sera, Maestro. Innanzi tutto la ringraziamo per dedicarsi ancora al pubblico, in questo ritorno alle origini, se vogliamo, quale scrittore di gialli. Un occasione propizia per continuare ad ammirare il suo estro soprattutto per chi è cresciuto abbarbicato sulle poltroncine dei cinema, prima, e poi, una generazione dopo, davanti a una tv, munito di vhs, fino alle assai meno romantiche generazioni attuali che ricorrono a divx, blue-ray e dvd per assaporarsi i film da lei scritti, ma anche un modo per farsi conoscere da un pubblico nuovo, così da rievocare quei lontani tempi che, purtroppo, sono svaniti troppo presto come neve disciolta dal sole estivo.

Dopo questa dovuta premessa, entriamo nel vivo. In molte delle interviste che ha rilasciato, ha dichiarato che fino all’incontro con Peppo Sacchi lei ignorava cosa fosse una sceneggiatura. Eppure, lo spunto creativo di scrivere storie lo possedeva già. Mi risulta infatti che a 17 anni aveva già pubblicato una raccolta di poesie dal titolo Luci e Ombre. Di cosa si trattava e come nacque l’interesse per la scrittura?

E.G.: Credo sia nato con me. A otto anni iniziai il primo romanzo sui pellerossa della zona di Yellowstone, scritto su un quaderno a quadretti della terza elementare, purtroppo rimasto incompiuto. Ero stato colpito dalla lettura di “Matiru re delle pelli rosse”di Ugo Mioni, il mio fu un tentativo western!

Il Natale seguente regalarono a mia sorella un teatrino dei burattini, lei non lo usò mai e me ne impossessai. Vivevo a Biella, in un enorme complesso ex-convento del 1300 con un grande cortile di orti, uno per ogni condomino. C’era una ventina di bambini dai tre ai quindici anni e allestii spettacoli facendo pagare due centesimi a persona. Con gli incassi comprai un’altra dozzina di burattini. Inventavo storie che non ricordo, ma avevo sempre un folto “pubblico”. Entrato nell’adolescenza incontrai Guido Gozzano e scrissi poesie. Una diceva:

Nacqui, e nessuno si accorse di me:

era nato uno.

Vissi, e qualcuno mi vide, mi amò

E mi scordò subito.

Morii, e un bimbo disse: Guarda

È morto uno.

Un’altra:

Tic-tac, tic-tac,

-chissà – chissà-

mi dice l’orologio

-si va – si va-

e segna freddo il tempo.

Ore di gioia o di dolore

Per lui duran lo stesso:

son sempre ore.

-Fermati, fermati,

son giovane…-

-tic-tac, tic-tac-

verrà, verrà

la tragica ora

della tua vecchiezza!

Si va, si va

e non si torna indietro.-

Ora la “tragica ora della vecchiezza” è arrivata.

  1. Dopo il debutto con questo volume, fresco di diploma al CSC, inizia a interessarsi alla narrativa. Quanto di questo interessamento era dovuto a una sua passione e quanto, invece, a un’esigenza alimentare?

E.G: Iniziai a scrivere soggetti per il cinema andando a bussare a tutte le Case Cinematografiche di Roma (allora erano parecchie), lunghe anticamere ma nessuno leggeva le mie storie. Avevo davvero fame. 

  1. Prende le mosse con un genere letterario in cui riuscirà a eccellere anche in veste di sceneggiatore, anticipando il giallo lenziano, sebbene fosse la fantascienza il suo genere di elezione. Debutta, nel ruolo di scrittore, con alcuni gialli scritti sotto pseudonimo. Nel 1957 da alle stampe Brivido sulla Schiena seguito, l’anno dopo, da Sangue in Tasca. Come nasce la genesi di questi romanzi e che cosa si ricorda di loro? Se non ricordo male ha anche dei curiosi aneddoti legati alla riscossione delle somme promesse quale corrispettivo per la vendita dei diritti, dico bene?

E.G.: Avevo scoperto alcuni mini-editori che pubblicavano gialli da edicola e pagavano, se inseguiti, 60mila lire a volume. Ne scrissi un paio. 

  1. Si ispirava a qualche autore in particolare nella stesura di questi gialli? Che tipo di differenze percepiva tra la stesura di un romanzo piuttosto che di una sceneggiatura.

E.G.: Non sono mai stato un grande lettore di gialli.

All’epoca, tranne il film amatoriale con Peppo Sacchi, non avevo ancora scritto sceneggiature. Buttavo giù le storie come mi venivano senza seguire una scaletta. Avevo scoperto che, inventato un buon personaggio, questi scriveva la sua storia da solo…

  1. Sempre nel 1957 ottiene un premio dall’Istituto del Dramma Italiano con l’opera teatrale A… Come Assassino, che poi fu messa in scena da Spaccesi e anni dopo, nel 1966, proposta per il cinema da Walter Brandi, senza che lei ne curasse la sceneggiatura. Come mai pensò di scrivere un’opera teatrale: era una via per cercare di aprirsi strade alternative rispetto al cinema oppure rispondeva a un’esigenza determinata? Come fu accolta l’opera? Si tratta della stessa opera con cui ha deciso di aprire la collana dedicata al giallo con Il Foglio Letterario oppure ha introdotto delle modifiche sostanziali rispetto al soggetto originario? Mi risulta che il testo sia stato pubblicato anche in America. 

E.G.: Una mia compagna del Centro Sperimentale, l’attrice Tina Gloriana, recitava al Teatro delle Muse dove all’epoca facevano solo gialli. Andai a vederne alcuni ma indovinavo l’assassino dalle prime battute, spesso era il cameriere. Tina mi spronò a provare a scriverne uno, lo feci, ma quando il testo era pronto la stagione teatrale era finita. Non ricordo come il testo arrivò all’Istituto del Dramma Italiano, mi premiarono e questo significava un contributo pubblico per chi l’avrebbe messa in scena, si fece avanti la Compagnia di Spaccesi. Non ero interessato, non andai neppure alla prima facendo arrabbiare tutti: avevo altro da fare, ma chi si ricorda cosa!

Il plot della commedia è quello de romanzo che ho riscritto più volte, una versione è stata pubblicata in USA dalla Raven’sHead Presse. Quella che uscirà con IL FOGLIO è assai diversa.

  1. Nel 1960, anno in cui usciva il primo film costruito su una sua sceneggiatura (L’Amante del Vampiro, diretto da Renato Polselli), da alle stampe, preceduti dal racconto breve Galassia in Fuga (1959), due romanzi di quello che era, mi pare di capire, il suo genere preferito: la fantascienza. Dove è nato questo amore per il genere e quali autori apprezzava di questo settore?

E.G.: Sì, “Una storia da non credere” ancora con Mondadori e “Tempo Zero” per Cosmo di Ponzoni. La mia passione per la SF nasce con Urania: “Le sabbie di Marte” di Clarke.

Da bambino una mia cugina ventenne mi portava di notte sui prati di Graglia e ci sdraiavamo a guardare le stelle di cui conosceva i nomi e cominciai a sognare di mondi lontani, poi da adulto lessi Agostino e mi colpì la sua battuta sul tempo “Se non me lo chiedono lo so, Se me lo chiedono non lo so più” e Fermi che si chiedeva “Ma dove sono tutti?” Meditai sul fatto che potevano essere qui.

  1. Approda sulla leggendaria collana Urania, tuttora in auge per Mondadori, con Iperbole Infinita, un romanzo in cui viene ripercorsa tutta la storia della civiltà umana. Cosa può dirci di questo volume, dato alle stampe con lo pseudonimo di Julian Berry, e come giunse alla sua pubblicazione su una collana che, all’epoca, proponeva solo autori stranieri?

E.G.: Me lo chiese anche Umberto Eco che conobbi al Festival di Fantascienza di Trieste del 1963, lui non era ancora noto ma capii subito di avere incontrato un genio.

Coabitavo con un campione di bridge che mi sfamava con le sue vincite e un giorno mi disse di aver incontrato un amico di Giorgio Monicelli che allora dirigeva Urania e che gli aveva proposto di scrivere un romanzo di fantascienza. Poiché ero un grande lettore di quel genere, l’amico mio mi propose di scriverlo facendo a mezzo col compenso che era di 150mila lire. Così pubblicai “Iperbole Infinita” (era “Iperbole Cosmica” ma l’editore non sapeva nulla di matematica – ogni iperbole è infinita per definizione-) ma dovetti firmarlo con un pseudo che suonasse americano e fui “Julian Berry”. Monicelli mi volle conoscere e quando mi vide si stupì che avessi 23 anni (ironia del destino: quando un mio racconto “Italian Beauty” andò in finale al Premio Solinas, la giuria si stupì che avessi 75 anni!)

  1. Nello stesso anno pubblica un secondo romanzo di fantascienza, questa volta per la collana Cosmo, intitolato Tempo Zero. Che tipo di fantascienza le interessava e come venivano accolti questi romanzi dai lettori, ne conserva piacevoli ricordi?

E.G.: Quante copie si siano vendute da Mondadori e peggio quelle in edicola non l’ho saputo mai essendo pagato a forfait, nessuno era tenuto a dirmelo. Della SF mi interessa sopratutto il tempo: ho letto tutto il leggibile sul tempo, SF e divulgazione scientifica. 

  1. Un terzo romanzo di fantascienza esce, in sette puntate, sull’Urania nel 1961, dal numero 266 al numero 272, col titolo Una Storia da non Credere. C’è un motivo particolare che portò l’editore a proporre in modo spalmato questa storia oppure si tratta di una scelta casuale? Di cosa si trattava?

E.G.: Era troppo breve per un romanzo. Quel racconto era una specie di scherzo fatto al mio amico Julian Birri a cui avevo rubato in parte lo pseudo. Stava facendo carriera come pubblicitario in una grande compagnia internazionale e mi raccontava delle sedute di brain storming in cui si valutavano gli slogan. Io ero in parte colpevole della sua carriera non voluta (voleva fare il giornalista) perché nei giorni della fame aveva vinto un concorso per lanciare il tampax ed ero io ad avergli suggerito lo slogan “In quei giorni puoi anche nuotare.” Julian ha fatto una grande carriera arrivando ai vertici e me lo ha rinfacciato per tutta la vita. “Hai fatto di me un fallito di successo!” Dicevo degli slogan: mi telefonava da Milano e sghignazzavamo tanto erano stupidi. “Una storia da non credere” parlava di questo e citavo alcuni degli slogan ancora segretissimi, cosa che per poco non costò il posto al povero Julian. Nonostante la pseudonimo, riuscii a convincere Mondadori che era tutto casuale. 

  1. 10)Dal 1962 l’impegno in qualità di sceneggiatore si fa più pressante, è per via di questo che la sua produzione narrativa subisce un blocco oppure la considerava un mero ripiego in attesa di far fortuna nel cinema?

E.G.: Il tempo e i soldi. Per quanto le mie prime prime sceneggiature siano state pagate poco erano venti trenta volte i forfait dei romanzi. E poiché il cinema nostrano aveva preso a correre, ero troppo impegnato col cinema.

  1. 11)Tra una sceneggiatura e l’altra, gli capitava di scrivere racconti o romanzi poi rimasti nel cassetto? Se le capitava, li conserva ancora in un proverbiale cassetto rimasto nella soffitta oppure è andato tutto perduto?

E.G.: Ho scritto una marea di soggetti, quindi racconti, che non sono stati realizzati, alcuni sono andati perduti, ma molti li conservo in armadi di latta che arrivano fio al soffitto nel mio studio. M’è rimasto il magone dei racconti di fantascienza che non sono riuscito a imporre ai produttori.

  1. 12)Ha più volte parlato di aver scritto una storia che anticipava di venti anni l’uscita de Ritorno al Futuro di Robert Zemeckis, in cui immaginava di far retroagire nel tempo un personaggio che capitava a Pozzuoli nei primi anni quaranta del secolo scorso, annunciando a due sorelle che una sarebbe diventata la moglie del figlio del duce e l’altra una star del cinema mondiale. Che fine ha fatto quel copione? Ha mai pensato di fare un romanzo?

E.G.: A che scopo? Ormai è “bruciato” dal film americano.

  1. 12)Nel 1991 pubblica con la Mondadori Voglio Entrare nel Cinema – Storia di uno che ce l’ha fatta. Il volume è stato definito un romanzo autobiografico ed è stato di recente riproposto da Il Foglio Letterario, per il quale ha anche pubblicato un manuale su come scrivere un giallo (Come Scrivere un Giallo). Credo si tratti di uno dei volumi di maggior successo in cui parla di sé stesso. È tutto vero quello che troviamo tra le pagine oppure ha un po’ romanzato qualche parte? Che aneddoti può dirci su questa pubblicazione?

E.G.: Tutto rigorosamente vero. Il caso nella mia vita ha giocato un ruolo determinante, quasi sempre in positivo. Mi sono divertito a scrivere quell’autobiografia: era morto Sergio Leone e avevo capito che il grande cinema commerciale era finito, e io con esso.

Aneddoti? Forse il mio primo contatto col grande cinema professionale, come comparsa in GUERRA e PACE di King Vidor. Facevo il pope. L’aiuto regista Mussetta, un cristone alto due metri, voleva far correre cinquemila romani di ferragosto fingendo di essere il popolo di Mosca che scappava da Napoleone. Urlava di non sudare! Nessuno correva in quell’afa e allora si munì di frusta e si mise al bordo dell’inquadratura che aveva in primo pano la carrozza con dentro Mel Ferrer e Audrey Hepburn: per evitare la frusta le comparse corricchiavano per qualche metro. Mussetta non s’accorse che la macchina da presa panoramica e il grande paraluce (si girava in cinemascope) lo avrebbe urtato mandando a ramengo il lavoro di un’intera giornata. Me ne accorsi io che mi tuffai su di lui atterrandolo. Credendo che fosse per la frusta, mi stava strozzando. Mi salvò l’ombra del paraluce che passò sopra le nostre teste. Mussetta lo vide e capì. Mi tirò su, mi spolverò,mi chiese dieci volte scusa e mi accompagnò alla sua sedia di aiuto regista promettendomi che da quel giorno in poi potevo andare a sedermi lì, guardare senza far niente e prendermi le tremila lire giornaliere che era la paga delle comparse. Mi sedetti e subito dopo nella sedia accanto si sedette la diafana Audrey che mi chiese una sigaretta. Mi guardai intorno: ero entrato nel cinema.

  1. 13)Nel 2009 torna alla fantascienza con Il Lodo Alfa, una sorta di omaggio a Sheckley intriso di una fortissima componente satirica che mette in ridicolo la nostra società e i nostri usi tipicamente italiani. Quando ha scritto il romanzo e come le è venuta l’idea?

E.G.: Era stato varato il Lodo Alfano che rendeva immuni le alte cariche dello Stato da qualsiasi reato, così mi divertii a immaginare quello che sarebbe potuto succedere. All’epoca Grillo chiama il Presidente Napolitano ”Morfeo” perché non interveniva mai e io immaginai che si svegliasse. Fui profetico: speravamo che il libro facesse scandalo e invece nessuno ci fece caso. 

  1. 14)Veniamo ora al progetto che ha lanciato con Il Foglio Letterario. L’idea, se abbiamo capito bene, è quella di dare il via a una serie di romanzi facenti parte di una collana denominata “I Gialli di Ernesto Gastaldi”. A chi è nata l’idea e cosa si dovrà aspettare il pubblico? Quante uscite sono previste annualmente e, soprattutto, si tratta di romanzi nuovi ovvero di riproposizioni dal passato, magari riprese dai copioni degli spaghetti thriller anni ’70 da lei firmati?

E.G.: Covavo l’idea da un po’ di tempo ma è stato Gordiano Lupi a manifestarla. I primi volumi saranno storie del tutto inedite, poi qualche plot lo prenderò dai miei thriller migliori. Mi piacerebbe scrivere il romanzo dal film “LIBIDO” ad esempio, quello che segnò il debutto di mia moglie Mara Maryl e quello di Giancarlo Giannini.

La periodicità delle uscite non la conosco, chiedere a Gordiano.

  1. 15)Altri progetti per il futuro?

E.G.: Quale futuro? Ormai è tutto dietro le spalle, come usava dire Vittorio Gassman.

La ringraziamo, in primis, per la sua carriera che, col suo enorme contributo, ha reso assai più interessante il cinema italiano e non solo questo e, in seconda battuta, per aver pazientemente dato ascolto a questo intervistatore, concedendogli del tempo che è sempre prezioso per ognuno di noi. Grazie, Maestro, e buona fortuna per il suo nuovo progetto.

E.G.: Speruma! Dicono da noi.