Recensioni: “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri

L’ultimo romanzo di Massimo Maugeri “Cetti Curfino” (La nave di Teseo) è giunto alla terza edizione ed è tra i finalisti del Premio Chianti

Cetti Curfino è una donna bella e sfortunata. La sua voce è potente e vera, e narra una storia di ordinaria miseria e squallore. Il suo linguaggio è un impasto di italiano scorretto e dialetto italianizzato che va dritto al cuore. Le sue vicende s’intrecciano a quelle di Andrea, un giovane aspirante giornalista, sostanzialmente un disoccupato, colpito dalla bellezza e dalla personalità della fascinosa Cetti, reclusa per un delitto di sangue, madre, vittima di sfruttamenti e inganni. Andrea, alla ricerca di un sé che lo pacifichi e lo collochi nel mondo adulto, del quale non fa pienamente parte, succube com’è della zia che lo ha allevato al posto della madre, morta nel partorirlo, vuole scrivere un libro su Cetti. Terzo dei personaggi principali è l’adolescente figlio di Cetti, Sebastiano detto Seby o, nella parlata della madre, Sebbi. Storie dolenti che assomigliano a quelle di tante donne e di tanti ragazzi delle nostre tristi metropoli meridionali.

Le considerazioni che l’autore consegna al lettore, a romanzo finito, meritano attenzione. Parlano di vittime, carnefici, ignoranza … e anche di John Lennon. E vale la pena di scoprire cosa c’entri John Lennon con una storia di povera gente del Sud.

Voglio chiedere all’autore di raccontare la genesi di questo romanzo. Massimo, come nasce la tua Cetti?

La mia Cetti nasce prima in un mio racconto (pubblicato nella mia raccolta “Viaggio all’alba del millennio”, edita da Perdisa Pop nel 2011) e poi in una pièce teatrale basata sul testo del racconto (per la regia di Manuel Giliberti e l’interpretazione di Carmelinda Gentile). Ed è stata proprio la stupefacente interpretazioni di Carmelinda a fornirmi l’ispirazione per la scrittura di questo romanzo. Il personaggio (frutto, peraltro, della mia immaginazione) continuava a invadere la mia mente. Cos’altro sarebbe capitato a questa donna? Come continuava la sua storia? Il romanzo è nato proprio così…

Le tue “istruzioni per l’uso” finali sono molto interessanti. La lettura sociologica del romanzo mi è sembrata molto interessante. Cetti in fondo non è una vittima che si ribella, aspetta la salvezza da chi considera potente e non ha alcun dubbio sulla normalità della gestione clientelare della cosa pubblica. Probabilmente per Cetti l’espressione cosa pubblica non ha alcun senso. C’è, secondo te, una speranza di redenzione per questo Paese e soprattutto per il Meridione? E quale può essere, su questo versante, il ruolo dell’intellettuale e dell’artista?

La speranza di redenzione non può che passare, in prima istanza, dalla presa di consapevolezza dell’esistenza delle problematiche a essa legate. In fondo “Cetti Curfino” è, tra le altre cose, un romanzo di denuncia. E tra i vari temi affrontati c’è senz’altro quello che riguarda la mentalità clientelare diffusa e trasversalmente esistente tra i vari ceti sociali (compreso quello a cui appartiene Cetti). Il punto è che una mentalità così diffusa è capace di trasformare una evidente distorsione in una condizione “normale”. Possiamo domandarci: un libro come questo può contribuire ad arginare questo tipo di mentalità? Forse sì, ma solo se viene letto e discusso da tante persone (soprattutto tra i giovani e tra gli studenti, che sono il nostro futuro).

«La donna è il negro del mondo». Vuoi spiegare che nesso c’è tra questo titolo di una canzone di John Lennon e la storia di Cetti e di tutte le donne che soccombono alla miseria, alla mancanza di risorse e di strumenti per affrancarsi dalle loro catene?

Cetti Curfino subisce abusi molto gravi. E li subisce anche e soprattutto in quanto donna. Mentre scrivevo il romanzo ho più volte pensato a questa canzone di Lennon del 1972 (e l’ho più volte ascoltata). Il senso della canzone si incentra su questa amara considerazione: persino laddove le condizioni di disagio, assoggettamento e asservimento sono genericamente più forti ed evidenti per tutti, la donna finisce con il subirle in maniera ancora più grave. «La donna è la schiava degli schiavi», dice John Lennon in quella canzone. Temo che sia ancora vero in molte società del mondo. Temo che, in un certo senso, continui a essere vero anche dalle nostre parti. E qui, torniamo al caso di Cetti Curfino che – da questo punto di vista – assurge a un ruolo simbolico.

Grazie, Massimo.

intervista di Rosalia Messina