Rocco Rosignoli - Canti di Natale

Rocco Rosignoli – Canti di Natale

Originariamente pubblicato sul quotidiano online RossoParma,

Antonino Editore, il 18 dicembre 2014

E siamo a dicembre, e come a ogni  dicembre anche quest’anno si ripresenta puntuale l’annosa questione del Natale. E questo mi dà l’occasione di pensare alla grande quantità di canti che riguardano il Natale stesso: a volte sono canti d’argomento religioso, altre volte più profano. Benché la consuetudine del canto di Natale sia nata in Italia (uno dei primi fu composto da Sant’Ambrogio in persona), è nei paesi anglosassoni che la tradizione ha trovato la sua massima espressione. Questo perché la riforma luterana dava alla musica un ruolo molto importante all’interno delle cerimonie religiose. In inglese un canto di questo tipo prende il nome di “Christmas Carol”. Il celebre racconto “Canto di Natale” di Dickens, che vede protagonista l’arcigno Mr. Scrooge, si intitola proprio “A Christmas Carol”, in omaggio alla tradizione natalizia anglosassone.

Tra i numerosi Carol, ho scelto di parlare di un canto in particolare:  The cherry tree Carol, il canto dell’albero di ciliegio. Questo canto fa parte di quel repertorio di folklore che fu raccolto dal ricercatore inglese Sir Francis Child a metà del diciannovesimo secolo, e che viene generalmente indicato con il nome di  Child Ballads. Ballate inglesi e scozzesi, dal testo spesso molto antico, ma la cui musica risulta difficilmente databile per le ovvie ragioni legate alla trasmissione orale.

The cherry tree Carol  racconta una storia apocrifa che vede protagonisti Giuseppe e la vergine Maria, cui viene attribuito il titolo di Regina di Galilea (nonostante fosse in realtà la genealogia di Giuseppe, secondo i vangeli di Marco e Luca, a vantare ascendenze regali). La coppia sta viaggiando, Maria è incinta e Gesù deve ancora nascere. I due si fermano vicino a un albero di ciliegie, e Maria chiede a Giuseppe di raccoglierne qualcuna, perché ha le voglie. Giuseppe a quanto pare non è molto contento che la moglie sia incinta, e sembra un po’ incredulo di fronte alla versione dei fatti che la moglie gli ha fornito: infatti le risponde, piuttosto piccato, di chiedere al padre del suo bambino di raccogliere le ciliegie per lei. Il problema sorge quando il padre del bambino effettivamente decide di farlo: dal ventre della vergine, Gesù, che è uomo e dio e dunque padre di se stesso, ordina al ciliegio di chinarsi per permettere alla madre di raccoglierne i frutti. L’albero, naturalmente, obbedisce alla voce del Creatore, e Giuseppe, capito il suo errore, crolla in ginocchio e chiede perdono.

La canzone e la sua natura di aneddoto leggendario ci danno una lettura più umana dei personaggi del Vangelo: una Maria incinta che come tutte le donne incinta ha le voglie, un Giuseppe che comprensibilmente non sa ancora se credere che una moglie giovane e bella sia rimasta incinta senza conoscere il corpo di un uomo. Lo strano scenario dell’albero di ciliegio, poco compatibile con l’antica Palestina, in cui la vicenda dovrebbe svolgersi, sembra avere la funzione di avvicinare la vicenda a un ambiente europeo. Ma il ciliegio è anche un legno ampiamente utilizzato in falegnameria, e questo lo lega in qualche modo alla figura di Giuseppe e alla sua professione: non è in fondo assurdo che il terreno di dialogo tra il falegname Giuseppe, padre adottivo di Gesù, e il vero padre, creatore dell’universo, venga trovato all’ombra di un ciliegio.

Le  Child Ballads  vennero riscoperte nel secondo dopoguerra: molti dei brani della raccolta furono reinterpretati da numerosi artisti, protagonisti del folk revival internazionale. Tra questi, una figura di spicco è chiaramente Joan Baez, che del “Cherry tree carol” incise una sua versione. È probabilmente a questa che si ispirò Angelo Branduardi quando nel 1977 incise la propria, tradotta dalla moglie Luisa Zappa e intitolata  Il ciliegio, nell’album  La pulce d’acqua. E lì, sorpresona: Gesù, Giuseppe e Maria non vengono nemmeno nominati.

La vicenda è grosso modo affine a quella narrata nella versione originale (o meglio, nelle varianti rintracciabili). Il protagonista, di cui non conosciamo il nome, si qualifica come “il vecchio giardiniere”. La giovane donna di cui è innamorato, e che ha voluto per sé, è cantata come una donna splendida, che “sorrideva tra le ciglia / e il mio cuore riscaldava. / Era l’ultimo mio fiore, / e l’inverno viene già.” Un uomo anziano dunque, che sente la prossimità della morte e non sa rinunciare all’ultimo fiore che la vita gli offre, la bellezza e l’amore di questa giovane donna. Ma un giorno la giovane va dal vecchio giardiniere, a chiedergli le ciliegie del suo albero preferito, “perché presto un figlio avrò”. Il giardiniere, preda della rabbia, dà la stessa risposta che dava Giuseppe a Maria: “Chiedi al padre di tuo figlio / di raccoglierle per te”. A questo punto si verifica anche qui un fatto straordinario: non è il bambino a parlare dal ventre, non c’è una voce dal cielo che risponda alla rabbia del vecchio. L’unica risposta a quanto dice il giardiniere è un’azione, ed è l’azione del ciliegio stesso: “Fu il ramo suo più alto / che il ciliegio chinò, / ed il padre di suo figlio / così la accontentò.” Un finale misterioso, che lascia un dubbio su quanto effettivamente è successo: il padre del bambino era il ciliegio? O piuttosto, la totalità della natura? La fusione tra uomo e pianta ci rimanda direttamente a un orizzonte panico, di completa fusione tra l’uomo e la natura che lo circonda. Questa visione pastorale di derivazione classica era stata riscoperta e idealizzata durante il Rinascimento, epoca alla cui tradizione musicale Branduardi ha sempre guardato con attenzione (e talvolta anche attinto, più che per una semplice ispirazione).

Ma il finale aperto ci dà la possibilità di formulare anche un’altra ipotesi, forse più ardita ma in qualche modo collegata alla versione inglese del canto. Per il falegname Giuseppe l’agnizione della divinità del nascituro avviene sotto il ciliegio, il legno del suo mestiere. Allo stesso modo per il vecchio giardiniere l’albero è frutto del suo lavoro, e da quell’albero arriva la rivelazione enigmatica di una paternità. Una rivelazione che è, come nel caso di Giuseppe, anche una sorta di investitura: una legittimazione di quella paternità non biologica (?) di cui questi uomini saranno portatori. Il messaggio di un Natale anomalo, che ci rammenta che prima ancora che di legami di sangue la famiglia è fatta di rapporti d’affetto.

Rocco Rosignoli