Luca Palmarini - I ragazzi della via Pál, un romanzo non solo per l’infanzia

Luca Palmarini – I ragazzi della via Pál, un romanzo non solo per l’infanzia

Via Pál si scrive con una sola A. Vorrei iniziare così a parlare di questo libro, ricordando come per anni nella nostra lingua quella strana via che diede il nome a questa famosa opera per l’infanzia venisse tradotta in italiano con due A, per cercare di rendere l’idea della pronuncia di quell’ungherese, una lingua lontana  e complicata. 

I ragazzi della via Pál, scritto nel 1907 dall’ungherese Ferenc Molnar, io da bambino, prima di leggerlo, lo confondevo sempre con i ragazzi della via Gluck, per una dozzina d’anni il gruppo di supporto del molleggiato. L’opera ha creato nel mio immaginario privato una certa idea della Budapest austro-ungarica dagli eleganti palazzi della Belle Epoque che si specchiavano sulle acque del Danubio. Quando ero un ragazzino l’unica soluzione che avevo per vedere una città era quella di andare a prendermi un volume della Treccani, comprata da mia madre con grandi sacrifici per fare studiare al meglio il suo figliolo, leggere e vedere la foto in bianco e nero del posto che mi interessava. In questo modo, su quell’enciclopedia, ho visitato molte città dell’Europa orientale, posti lontani per un ragazzino di dieci anni, resi ancora più nebulosi dalla cortina di ferro.   

Lo stesso feci con Budapest quando presi in mano il romanzo di Molnar. Il libro lo lessi come si doveva leggere a quell’età, ovvero per svago e per il sapore dell’avventura. Qualche tempo fa ho deciso di rileggerlo e, come a volte capita, ho trovato un’opera completamente diversa. 

Il mondo descritto nel romanzo di Molnar è andato in polvere molto tempo fa. Le vicende guerresche tra i due gruppi di ragazzi si svolgono nel 1899. La generazione di quei ragazzi è stata decimata dalla Prima Guerra Mondiale. Inoltre, il tempo è inesorabilmente passato, difficile ai nostri tempi trovare gruppi di ragazzi che organizzino una battaglia di tal genere che oggi ci ricorda più un gioco di ruolo.

Non penso di sorprendere nessuno nell’affermare che si tratta di un’opera impregnata di nazionalismo. Infatti, tra il XIX e il XX secolo i romanzi collegati a quest’ideale erano pratica comune in tutta Europa. 

I giovani protagonisti dell’opera difendono la loro “terra” e “patria”, la lotta assume quasi un carattere nazionale che va mantenuto anche a costo di possibili perdite umane.  I ragazzi parlano di se stessi, usando il termine “esercito”. Eppure qualcuno vi vede, a parer mio giustamente, una satira verso quei nazionalismi che imperversavano allora nel vecchio continente. Allo stesso tempo si coglie tra le righe il presentimento dell’incombere di quell’immane tragedia che sarebbe stata la Grande Guerra.   

Un altro punto interessante è il tono polemico di Molnar che si coglie quando egli mostra come nella  Budapest dei primi del Novecento lo sviluppo delle città stesse distruggendo i luoghi dove i ragazzi trovavano uno spazio per giocare all’aperto. Questo accresce maggiormente l’idea di mondo perduto che il libro offre, ma allo stesso tempo avvicina inaspettatamente l’opera alla canzone di Celentano che da bambino mi creava una certa confusione. 

I giovanissimi protagonisti giocano a fare la guerra, imitando la severità dell’ordine militare di allora, sembrano quasi essere le parodie di quei soldati che in quegli anni il kaiser Guglielmo e Francesco Giuseppe amavano muovere sulle loro mappe posizionate su enormi tavoli, in una sorta di antesignano Risiko. Questi piccoli soldati che sembrano essere innocui nel loro gioco, finiscono invece per innescare una vera tragedia. Qui Molnar sembra deridere gli imperatori e le gerarchie, ci fa comprendere che la guerra è inutile, ma non si prodiga nel trasmetterci un messaggio di pace, concentrandosi invece sui tragici presagi che aleggiano sin dalle prime pagine. 

Questi giovani sono dei grandi protagonisti, raccontati senza alcun accento nostalgico per quello splendido periodo che è l’infanzia, senza nessuna retorica innocenziale, Si tratta, invece. di personaggi che sembrano essere veri, praticamente adulti, inseriti in un gruppo dove ognuno di essi ne altera gli equilibri. 

Il personaggio principale è Nemecsek, il ragazzino biondo che paga con la propria vita la scelta di lotta del gruppo, un sacrificio che da una parte nelle logiche militari sembra quasi essere una perdita calcolata, come nelle tesi di von Klausewitz, dall’altra si rivela, nel pieno della sua inutilità, terribilmente reale. L’eroe muore in un inquietante delirio di carattere militare, specchio dell’assurda teoria del “morire per la patria” cui sarebbe stato meglio sostituire il “vivere per la Patria”. L’idea della guerra nei ragazzi della via Pál si presenta come un’entità  che si guarda con un grande rispetto, dal basso verso l’alto; i ragazzi-soldati sembrano rivolgersi ad essa dandole del Voi. Le regole che essa propone sono da rispettare pienamente, senza discussioni. La gloria non è al primo posto; lì si trova e si troverà sempre e solo l’onore. Rileggendo il romanzo a distanza di anni, ho riscoperto come in un complicato meccanismo si potessero notare le dinamiche createsi all’interno dei due gruppi, come ad esempio la perdita del potere da parte del capo e le azioni eroiche che fanno guadagnare grande valori ai “soldati semplici”. Nonostante la guerra venga condotta senza quartiere, uno dei punti base si rivela essere la lealtà nei confronti del nemico. Il concetto è inteso in modo così profondo da farci persino dimenticare che in fondo si tratta di un gioco. 

Riguardo a questi punti l’opera è rimasta attuale per quasi un secolo; solo negli ultimi anni le cose stanno cambiando: oggi il ruolo del capo passa a chi è più intrapredente, più cinico e prepotente, mentre la saggezza, l’equilibrio e l’onore sono concezioni ormai vetuste e chi le possiede è un perdente. È come se nel romanzo avessero vinto le camicie rosse. Però, nonostante questa generale decadenza dei valori, chi legge l’opera non può fare a meno di schierarsi nella lotta al fianco di quei ragazzi che combattono con grande onore e spirito patriottico. 

Le descrizioni che Molnar fa delle loro complesse personalità ci danno la sensazione di conoscere questi piccoli eroi da sempre, gioiamo e soffriamo con loro, in ogni battaglia.

Rileggetelo e poi ditemi. 

Luca Palmarini