Sarò lì dove sarai – Selene Pascasi
SARÒ LÌ DOVE SARAI
Fermati, paralizzati, bloccati, fai come vuoi ma aspettami diamine! Mantieni il patto, almeno tu, e ricordati che sono in attesa di te da novembre. Sì, da mesi ormai non faccio altro che parlare ai tuoi odori, alle essenze delle viole e persino all’erba infestante con cui sono in lotta da una vita.
Già. Questo è stato l’anno più atroce di sempre, cara primavera mia, e la gravidanza emotiva che ha preceduto il tuo arrivo è stata più che isterica. Folle, è la definizione giusta.
Sai, ti ho parlato a lungo nelle notti a metà che mi abitavano i silenzi. Notti indenni per il corpo, assassine per la mente. Notti in cui le gambe, scortate dal loro equilibrio statico, si esorcizzavano senza preavviso. Deliri elettrici, scariche di adrenalina repressa che non sapevano dove fluire per poter scaraventare via il dolore. Sarebbe bastata una carezza o magari una stretta ma la pelle è bambina e, quando riposa orfana, si ribella alla solitudine. È così che va.
Tu lo sai bene. Hai raccolto le mie confidenze senza mai osare consigliarmi.
Forse è per questo che ti ho scelto, per svuotare il sacco delle inquietudini.
Sei primavera, sei donna, sei tempo. Sei intrisa di colori, sogni, promesse mantenute, orchidee ed un pizzico di disincanto. Affidarti le mie ombre mi ha procurato un senso di benessere che nessuna stagione avrebbe saputo suscitare. Neanche il mio adorato inverno, da non credere.
Un inverno, quello giunto al termine ma ancora impresso sulla schiena della sera, che ho odiato a sensi accesi. Tutta colpa di quel vecchio ciabattino e dei suoi racconti strampalati.
«Buongiorno Melina, come va?».
«Secondo te?».
«Perché rispondi ad una domanda con un’altra domanda? E’ da quando eri piccina che hai questa noiosa abitudine! Potresti, almeno una volta, rispondere in modo nudo e crudo? Chiedo troppo?».
«E tu, Mario, non dovresti esserti rassegnato al mio modo di fare?».
«Mi arrendo, tanto da te non avrò mai una risposta. Piuttosto, siediti e ascolta.».
«Dimmi.».
«Ricordi la signora Adele? La ricamatrice con cui ero fidanzato prima di trasferirmi qui?».
«Ho trent’anni. Tu quasi ottanta. Posso ricordarla, secondo te?».
«Hai ragione, scusami. Insomma, la storia la conosci. Ebbene, stamattina, mi è parso di vederla. Qui, fuori la bottega. Penserai che io sia impazzito, ma era esattamente come la conobbi. Giovane. Fiera. Bellissima. Uno spettacolo!».
«Si, concordo. Stai farneticando.».
«È umano pensarlo, ma giuro che non sono matto. Se solo fossi stata qui…».
«Ti credo, stai tranquillo. E non ho neanche risposto con una domanda! Chissà, nevicherà.»
Gli occhi di Mario si irrigano di pianto e stupore innocente. Gli prendo la mano, come si fa con i bambini. Trema. Le vene esposte a raso chiedono riposo. La bocca, con le sue labbra secche di età e di sacrifici, si inarca appena sugli angoli. Accenna un sorriso, mostrando denti superstiti.
Placa i battiti. Si rassicura. Il suo sguardo mi piove addosso come un temporale di emozioni.
Resta immobile a fissarmi. Nelle pupille dignitose leggo ogni attimo della sua esistenza, l’amore per Adele, la mancanza di figli mai nati, le ambizioni soffocate dalla povertà.
Non capisco come sia possibile ma la sua anima, ora, è parte di me.
Abbassa le palpebre. Vola altrove.
Ha smesso di piovere. Un raggio di sole mi si posa sulle guance per asciugare il pianto.
L’arcobaleno accoglie Adele e Mario. Avranno tante cose da dirsi, quei due.
La primavera è arrivata. Non sbagliavo ad attenderla con la meraviglia nel cuore.
Selene Pascasi
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