Vincenzo Trama - All'ombra del fico - di Goran Vojnović, traduzione di Patrizia Raveggi

Vincenzo Trama – All’ombra del fico – di Goran Vojnović, traduzione di Patrizia Raveggi

Goran Vojnović

All’ombra del fico

Keller Editore – 480 pagine – Euro 20

Traduzione di Patrizia Raveggi

Link diretto al libro

Ci sono certi periodi storici che incidono nella pelle e come cicatrici rimangono a rendere distinguibili le persone, come se non si potesse più riconoscerle altrimenti. Per me leggere All’ombra del fico è stato un po’ così: andare a osservare nelle pieghe di ferite ancora aperte le vicende dei suoi protagonisti, cercando di leggervi almeno un po’ di quel senso di straniamento e alienazione che per motivi diversi – ma davvero diversi, poi? – hanno dovuto subire.  

All’ombra del fico è una grande saga familiare che si snoda nei tre cammini umani, sociali e geografici dei suoi principali protagonisti; nella storia di Goran Vojnović, tradotto per Keller da Patrizia Raveggi, c’è tutta la frammentazione di una nazione che ha vissuto il secondo dopoguerra nel segno di un’identità mai concretamente realizzata, quasi sospesa tra l’utopia e la sua definitiva consacrazione. Ricalcando il percorso stesso dell’ex Jugoslavia, le vicende personali di Jadran, di suo padre Safet e di suo nonno Aleksandr sembrano infatti rimandare a questa costante e affannosa ricerca, che di fatto non porterà a nulla per nessuno dei tre, se non a scontrarsi – a volte neanche verbalmente, ma solo idealmente – con le donne a cui si sono legati in vita, e che restano solo in apparenza sullo sfondo, come un’ombra – la stessa ombra? – di un fico che è l’elemento equilibratore, stabile, che nessun tumulto potrà sradicare, a imperitura memoria di ciò che la natura ha deciso di stabilirvi, piegando l’ottusa e maligna presunzione di onnipotenza umana.

Vojnović muove abilmente i fili di questa storia monumentale – ben 480 pagine – facendo compiere a Jadran un percorso a ritroso nelle vicende familiari di cui è profondamente intriso; forse solo così potrà comprendere il suo disagio che anche Anja, sua moglie, ormai non è più capace di accettare, sparendo letteralmente dalla sua vita. La sua ricerca sarà un affannoso guardarsi in uno specchio andato in frantumi, dove gli sarà possibile sì riconoscersi, ma sempre con il rischio di tagliarsi, o di vedere un’altra crepa a sottolineare differenze e imperfezioni, tutte solo presunte – o comunque minime, in una dimensione d’insieme – . È costante e poetico il continuo riferimento metaforico al destino vissuto dai popoli balcanici, che, come i personaggi di questo libro sembrano affannarsi a capire da che lato guardare la loro vita: è possibile percepirsi diversi quando ti dicono con le armi che lo sei? Che valore ha il concetto di popolo quando la tua stessa identità o quella di tua moglie, o del tuo amico più caro è messa in discussione e avete ora davanti a voi un nemico programmatico?

A inizio libro, quando Aleksandr si stabilisce nella casa a Momjano, in un’Istria ormai abbandonata dagli italiani, tutti condividiamo il pensiero di Jana: sarebbe molto meglio fermarsi nella città di Buje, dove c’è il minimo indispensabile per pensare ad una vita nuova, magari semplice ma non necessariamente contadina. Ma è in una pace simile e in quel silenzio che poi tutti sembrano voler tornare quando emerge il concetto di disgregazione etnica che getterà in subbuglio i Balcani: Safet scappa in un alveo sicuro, dove niente di moderno è pensabile, ma almeno può ragionare in termini se non di felicità quantomeno di serenità. La sua vecchia casa a Bosanska Otoka dove tutti scappano perché non c’è più niente, è l’unico posto dove può cercare di affermare con convinzione chi è, o almeno chi è stato. E Jadran, che di Safet è il figlio, non può non aver interiorizzato questa fragilità negli equilibri che dovrebbero invece sorreggerlo per farlo diventare un uomo maturo e consapevole. La disgregazione del suo rapporto di coppia è gemella di quella della sua nazione, che gli impedisce di individuare ogni punto di riferimento, semplicemente perché non c’è – ma c’è mai stato? – 

All’ombra del fico è un viaggio in una storia che non si può non leggere in un’ottica di ampia interpretazione geopolitica. Il fascino di una simile opera è proprio nella capacità dell’autore di saper coniugare a suo tempo il destino di una nazione privata della sua stessa identità e quello di una famiglia che vive parallelamente le stesse vicende, continuando a interrogarsi sul senso delle proprie scelte, se non della vita stessa – o della morte, come nel caso di Aleksandr -.

Domande, interrogativi costanti che lasciano spesso muti perché dare una risposta può fare male, molto più male. 

Come per Jana a volte il silenzio è l’unica risposta che possiamo gridare quando le scelte sono incomprensibili o ingestibili.

Leggere All’ombra del fico è un modo per ricordare che aldilà dei nazionalismi presunti o reali abbiamo la necessità di sentirci prima di tutto esseri umani, con radici che affondano in una storia che nessuna egemonia politica potrà mai modificare o pretendere di farlo: e questo, nel 2023, è un lascito che consegnerei volentieri nelle mani di qualche politico contemporaneo.


Vincenzo Trama