Mirko Tondi - Brandelli di uno scrittore precario - n° 18

Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario – n° 18

Brandelli di uno scrittore precario

Lavorare sulla struttura (Parte prima)

La volta scorsa abbiamo esaminato tutte le possibili differenze tra racconto e romanzo, chiamando in causa soprattutto il concetto di forma. Nell’affrontare questo argomento collegato, vorrei dunque ripartire da lì. Esiste un punto di contatto tra queste due distanze, ed è rappresentato dal romanzo breve (o racconto lungo, vedete voi). Nella prefazione a Gli addii, ottimo romanzo breve di Juan Carlos Onetti, lo scrittore spagnolo Antoio Muñoz Molina dice che “Il romanzo breve, se scritto bene, riunisce le virtù supreme del romanzo e del racconto, ed elude i limiti di entrambi. Il romanzo breve esige il rigore costruttivo del racconto e allo stesso tempo permette il volo di immaginazione proprio del romanzo”. Alcuni scrittori difatti hanno dato il loro meglio alle prese con una lunghezza contenuta, e si potrebbe anche ritenere che Il grande Gatsby (già ampiamente citato all’interno della rubrica, ma anche in questa occasione ci ritorno sopra) nella sua compattezza riesca a condensare un intreccio esemplare all’interno di una struttura pressoché inappuntabile. Ora, come si sa, la perfezione è per pochi, davvero una manciata di eletti sulla Terra, che solo a nominarli avvertiamo gli echi perpetui delle loro opere. Sappiamo dunque che sono inarrivabili e per questo non sarà mai possibile imitarli fino in fondo, poiché la perfezione è – per sua stessa natura – irripetibile. Qualcuno magari là fuori sarà già pronto a porre in evidenza un qualche difetto di quel capolavoro o di altri, ma certo, asserendo come recita uno dei più diffusi luoghi comuni che la perfezione non esiste, e così aprendo un dibattito sull’oggettività delle cose. Ma la verità è che, eccezioni a parte, molto spesso ciò che ci attrae davvero in un romanzo è al contrario la sua imperfezione, perché questa ci rivela l’umanità dello scrittore, ci dice che chi ha concepito quel libro non è affatto un essere meccanico ma appunto una persona che pulsa di vita e, in quanto tale, fallibile. Perciò Il grande Gatsby sarà preso qui unicamente a modello nel tentativo di illustrare dei concetti, anche perché si tratta di un classico che ha molte probabilità di essere stato letto. Oltre alla trama principale (quella che segue la vicende di Jay Gatsby, del suo passato misterioso e della volontà di riconquistare l’amata Daisy), si snodano i binari paralleli delle sottotrame, sui quali viaggiano i personaggi e si incrociano le loro vite. Così, il narratore Nick Carraway ci racconta di Gastby, ma allo stesso tempo è biscugino di Daisy e avrà una breve relazione con Jordan, amica di Daisy stessa; quest’ultima è sposata con Tom, che a sua volta ha una tresca con Myrtle, la quale è la moglie di George. L’intrigo di amori, tradimenti e amicizie produce una tessitura fitta e incredibilmente tesa, fino al climax (di cui abbiamo parlato un paio di numeri fa, proprio qui) e all’epilogo, con il racconto del funerale di Gatsby, la luce verde tirata nuovamente in ballo, e una significativa metafora nelle utilissime righe (che mi ricorderò di adoperare quando parleremo di finale, più avanti).

Stiamo parlando nient’altro che di struttura, la maniera in cui la trama viene dipanata attraverso le pagine e assume una certa costruzione architettonica. La trama si regge in piedi grazie anche alle sottotrame, che contribuiscono a darle sostegno e a permetterle di svilupparsi. Se volessimo schematizzare il romanzo di cui abbiamo appena parlato per mezzo di una mappa concettuale (o meglio, a essere precisi, in questo caso un diagramma a ragno), ecco allora cosa ne potrebbe risultare:

Gli schemi, come torneremo a dire in seguito, possono rivelarsi proficui anche in fase in progettazione di un’opera. E mettiamo quindi il caso che avete dei personaggi ma non ancora una storia precisa in cui collocarli: solo per il fatto di vedere scritti i loro nomi e i loro ruoli, potete cominciare a tracciare dei collegamenti che a loro volta costituiranno dei possibili snodi narrativi, da descrivere in un capitolo o nell’altro.

A cos’altro servono le sottotrame? Beh, hanno più funzioni, e tra queste: ampliare la storia, renderla più complessa e interessante; rafforzare la base del plot; raccontare il passato; in certi casi deviare l’attenzione, creare un diversivo e quindi dare più respiro alleggerendo la trama; agire sulla tensione; sottolineare un messaggio; espandere i contenuti a un pubblico maggiore; arricchire la vita dei personaggi e perciò definirli meglio. In ogni caso le sottotrame devono avere una stretta connessione con l’intreccio principale, anche se possono non essere tutte chiuse, e comunque devono tendere all’obiettivo di portare avanti la storia. In sostanza, devono essere funzionali alla narrazione: non converrà insomma imbastire delle sottotrame che rubino spazio alla trama o un numero eccessivo di sottotrame (così come non converrà, in un racconto breve, inserire delle sottotrame che non si avrà modo di approfondire per mancanza di spazio). E c’è da dire poi che le sottotrame si muovono vicino all’asse protagonista-ostacoli/conflitti-desiderio. Sul conflitto il discorso è piuttosto articolato, e ci torniamo meglio la prossima volta (sempre per non rischiare di rendere troppo densi e troppo lunghi questi articoli, pensati per una lettura sul web). Va da sé che le sottotrame sono utilissime anche nei film; qualche anno fa frequentai un seminario di sceneggiatura cinematografica e ricordo che come pellicola esemplare in questo senso – proprio per la scrittura eccellente del suo plot – venne fatto il nome di Tootsie (una commedia diretta da Sydney Pollack nel 1982, con Dustin Hoffman come interprete principale).

Più in generale, quando si discute di trama, si fa sempre riferimento a Vladimir Propp e al Formalismo russo, un movimento letterario che si consolidò a San Pietroburgo oltre un secolo fa. Nel prossimo numero parleremo, tra le altre cose, in maniera più dettagliata di schemi ideali per comporre una trama, anche se per il momento ci limiteremo a citare due concetti a questa legati, poiché entrambi possono incidere sull’impianto strutturale: il tempo e il punto di vista. Vedremo come le scansioni temporali possono modificare l’ossatura di una storia, e per ora basterà dire che questa dimensione non può prescindere dalle ormai ampiamente sfruttate nozioni di fabula e intreccio (dove la prima intende una presentazione degli eventi in ordine lineare e cronologico, mentre il secondo è il modo in cui quegli stessi eventi vengono disposti dall’autore, e dunque con la possibilità di sfalsarli a piacimento e far ricorso a tuffi nel passato o anticipazioni del futuro); il punto di vista sarà invece utile per comprendere come l’impiego di varie voci permetta di conferire spessore, componendo possibilmente i capitoli e le sezioni di un romanzo. Insomma, c’è ancora molto da dire, per cui mi ritroverete qua tra non molto.

Mirko Tondi